Anna Lombroso commenta per il Simplicissimus la tesi di Edward Banfield sulle basi culturali dell’arretratezza, notando come la distruzione dei diritti e garanzie sociali che si accompagna alla postmodernità abbia rivitalizzato residui arcaici mai davvero archiviati.
Proprio l’insuperabilità italiana della famiglia, già grado elementare dell’eticità hegeliana, sintetizza così la peculiarità di una società già passata alla necrosi della modernità, senza averne goduto gli splendori, mostruosità pre e post-moderna nello stesso tempo.
Quello che una volta era considerato “Familismo Amorale” – secondo la definizione coniata dall’antropologo americano Edward Banfield per descrivere il comportamento degli abitanti del Borgo di Chiaromonte in Basilicata, nel quale si massimizzavano “unicamente i vantaggi materiali di breve termine della propria famiglia nucleare, supponendo che tutti gli altri si comportino allo stesso modo” – è stato talmente tollerato da diventare una sorta di autodifesa legittimata, che portava naturalmente l’individuo a perseguire solo l’interesse della propria famiglia e mai quello della comunità.
Edward Banfield (1916 – 1999)
“Il primo centro di potere è la famiglia”, scriveva Barzini, corollario del “tengo famiglia” di Longanesi. “L’organizzazione legittima o illegittima della quale la famiglia fa parte, è il gruppo, il clan, il partito politico, la camarilla, la combriccola, la consorteria, la setta, l’associazione, l’alleanza aperta o segreta, ma per quanto potenti possano essere altrove queste consorterie, di rado esse hanno l’importanza che hanno sempre avuto e hanno tutt’ora in Italia”. E Gramsci: “al partito politico e al sindacato moderni si preferiscono le cricche, le camorre, le mafie, sia popolari sia legate a classi alte”.
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