Breve storia delle riforme del lavoro degli ultimi trent’anni, ad usum delphini.
Dagli anni novanta, i governi, tanto di centro destra che di centro sinistra, hanno introdotto diversi cambiamenti al mercato del lavoro, in nome della competitività e della piena occupazione giovanile, ma nei fatti tutte le riforme sono strettamente legate alla visione secondo cui il lavoro è una merce da scambiare sul mercato.
Termini come pensione di anzianità e retributiva, liquidazione, CCNL, contratto a tempo indeterminato e reintegro del lavoratore hanno perso progressivamente significato a favore di parole come flessibilità in entrata e uscita, deregolamentazione, precarietà, collocamento privato e libertà di contrattazione fra il datore di lavoro e il lavoratore.
Nel 1995 (legge 355/1995) il passaggio del sistema pensionistico dal metodo retributivo (la pensione è calcolata in proporzione agli ultimi anni di salario) a quello contributivo (la pensione viene calcolata in funzione dei contributi versati durante l’arco della vita lavorativa) e l’istituzione della gestione separata dell’Inps è stato il primo passo verso lo smantellamento del modello di lavoro in essere dagli anni settanta grazie all’approccio bipartisan da parte delle forze politiche. La riforma contributiva su cui era inciampato il governo Berlusconi, viene approvata senza problemi dal suo successore Lamberto Dini, sostenuto da una maggioranza molto ampia di centrodestra e di centrosinistra.
Commenti recenti