Presentazione di Stato di miniorità, appena uscito per Laterza, su Le parole e le cose.
In trappola
Tre gabbie, tre topi. La scena che segue è molto triste. Alle povere bestie vengono somministrate scosse elettriche; non mortali, ma comunque dolorose. Il primo topo ha la possibilità di uscire dalla gabbia. Il secondo non può, ma gli è stato affiancato un altro topo su cui sfogare aggressività e frustrazione. Al terzo entrambe le opportunità – fuga e conflitto – sono precluse. Sottoposti a controlli, i primi due non accusano sintomi. Al terzo, che ha subìto impotente il sopruso, vengono diagnosticate perdita di pelo, ipertensione arteriosa e ulcera gastrica. L’impossibilità di agire fa ammalare.
Ma anche l’agency, la possibilità di azione, concessa alle due cavie più fortunate, è solo una forma di reazione disperata: fuga o aggressione non sono che una misera alternativa. Per i topi – animali sotto molti altri aspetti ripugnanti – sentiamo inequivocabilmente compassione. Ma ogni compassione contiene in sé, diceva Rousseau, un germe di identificazione. L’esperimento ci turba perché ci rappresenta, dice una nostra possibilità, o impossibilità, dà voce a un’esperienza condivisa, a un generale senso di impotenza, di mancata presa sugli eventi, di inibizione alla prassi.
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