Archive for Maggio, 2015

12 Maggio, 2015

Marco D’Eramo, Expo

by gabriella

Storia delle esposizioni universali: meraviglie, infamie e declino. Tratto da Micromega.

Cerimonia-apertura-esposizione-di-Parigi-1889-Indovinello: cosa vi fanno venire in mente i nomi di Genova, Daejon, Lisbona, Hannover, Bienne, Aichi, Saragozza? Scommetto che nessuno ha in tasca la risposta esatta: queste città sono state sedi delle Expo rispettivamente del 1992, 1993, 1998, 2000, 2002, 2005, 2008. Questo per dire quanto indelebile è stata la traccia lasciata dalle più recenti Esposizioni universali nella memoria planetaria.

Chi di noi ricorda che nel 2002 Bienne fu sede di una Expo? E dove si trova Bienne? (Svizzera).
Peggio: quale marchio ha lasciato nei nostri cuori Yeosu? Eppure questa città è stata sede dell’ultima Expo (2012) prima di quella di Milano: appena trentasei mesi fa. Non propongo neanche la domanda di riserva per sapere di quale nazione è Yeosu (Corea).

In soli pochi anni oblio e indifferenza hanno sepolto quegli eventi. Basterebbe questa costatazione a svelare il patetico provincialismo con cui l’italico rullio di tamburi mediatici ha accompagnato l’inaugurazione dell’Expo milanese. Verrebbe da parafrasare la fulminante battuta di un presentatore a un concerto di jazz di qualche anno fa: “Ecco a voi il meglio del trombonismo italiano”, solo che in questo caso “trombonismo” non si riferisce al trombone sostantivo, ma al trombone aggettivo.

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11 Maggio, 2015

Marco Barone, “Chi” è l’INVALSI

by gabriella

world bankStralcio la parte centrale dello studio di Marco Barone sulla composizione e gli intrecci di consulenze e interessi degli organismi che operano per l ‘INVALSI, l’ente che valuta gli apprendimenti degli studenti italiani, il cui Presidente è direttamente nominato dall’esecutivo. Come mostra Barone, questa organizzazione opera in sinergia con enti legati alla Banca Mondiale e alle organizzazioni degli industriali e con istituzioni che si prefiggono la diffusione o il consolidamento dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole di tutto il mondo. Osservare la composizione bypartisan delle associazioni e fondazioni che sostengono l’INVALSI chiarisce più di ogni altra cosa perché gli accademici abbiano difeso così debolmente la scuola e quali siano le forze politiche che concretamente operano per l’abbandono del progetto costituzionale e per un nuovo modello di istruzione in Italia.

Per la formulazione delle sue prove, l’Invalsi si avvale in particolar modo dei test preparati dal TIMSS and PIRLS International Study Center, adattati al contesto italiano, il cui direttore è stato consulente della Banca Mondiale. La cosa interessante è che TIMMS e PIRLS sono in stretta connessione con il Boston College, fondato dalla Compagnia di Gesù nel 1863, e specialmente con l’International Association for the Evaluation of Educational Achievement, che ora chiamerò brevemente IEA, cosa comunque ben visibile sul sito del TIMSS and PIRLS.

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11 Maggio, 2015

Tullio De Mauro, Il disegno di riforma della scuola va ritirato

by gabriella

Tullio De MauroSecondo il linguista nel ddl manca un quadro complessivo di riassetto del sistema scolastico. E oltre a criticare il preside-manager, l’autonomia scolastica, il depotenziamento del collegio dei professori, nota le carenze del provvedimento: nessun intervento per riavvicinare la scuola alla Costituzione e per contrastare l’enorme piaga dell’analfabetismo di ritorno. La scuola italiana è ancora tra i migliori modelli al mondo, ma ha bisogno di risorse e di ripensare la didattica della scuola superiore.

La sua voce è pacata. Il giudizio è fermo: “Il provvedimento va ritirato”. Tullio De Mauro ragiona senza ideologismi, argomenta e analizza i dati. Illustre italianista, storico docente universitario di Linguistica alla Sapienza di Roma e, per un brevissimo periodo, ministro dell’Istruzione ha le idee chiare sulla buona scuola: “Non è una riforma, nel ddl manca un quadro complessivo di riassetto del sistema scolastico”. Una bocciatura, netta, per il governo Renzi.

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7 Maggio, 2015

Anna Angelucci, La valutazione negli Stati Uniti: storia di un fallimento

by gabriella
Milton Friedman (1912 - 2006)

Milton Friedman (1912 – 2006)

L’intervento di Anna Angelucci al Convegno “Educare alla critica: quale valutazione?”. Liceo Classico Mamiani, Roma, 26 novembre 2013.

Economisti che sui problemi della scuola si costruiscono carriere, imprenditori e faccendieri a caccia di nuovi guadagni, insieme a politici e burocrati compiacenti, stanno imponendo il governo tecnocratico nella scuola e nell’università, un governo che inneggia all’individualismo e alla competizione sfrenata, dove l’istruzione ridotta a prodotto di mercato, e che liquida come anacronistico retaggio del passato ogni dimensione del sociale. Una pletora di decisori senza idee che, a dispetto di ogni evidenza, vogliono imporre oggi in Italia quello che la storia mostra aver fallito altrove. In questo scenario il test non è neutro e non è innocuo: è un dispositivo di controllo che agisce come strumento performativo retroattivo, trasformando ciò che facciamo e il senso di ciò che facciamo a scuola .

La “cultura della valutazione” nasce nella seconda metà del secolo scorso negli Stati Uniti d’America, imposta dal modello economico neoliberista, che applica anche all’istruzione il principio imprenditoriale dell’analisi costi-benefici a breve termineLe scuole saranno più efficienti se saranno sottoposte alle leggi del mercato capitalistico e, come tutte le aziende, entreranno in concorrenza le une con le altre per attirare i loro clienti: gli studenti», così Milton Friedman, nel 1955, in “The role of Government in education”].

reaganPer fare questo occorreva individuare un’entità misurabile circoscritta, una unità di misura e uno strumento di misurazione, che permettesse di valutare “oggettivamente e sistematicamente” il livello degli  apprendimenti di uno studente, di una classe, di una scuola, di uno Stato.

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6 Maggio, 2015

Freinet

by gabriella

Célestin Freinet (1896 – 1966)

Célestin Freinet, maestro elementare per quarant’anni nel sud della Francia, proveniva da una famiglia contadina, ma dopo la prima guerra mondiale, nella quale era rimasto gravemente ferito, aveva potuto laurearsi in lettere.

Internato e partigiano durante la seconda, Freinet concepiva la pedagogia come «scienza del condurre una classe», attività concreta di maestri e insegnanti non necessariamente dotati di spiccate qualità naturali, ma capaci di osservazione e di volontà di miglioramento.

La scuola deve essere laica, basata su un metodo naturale, fatto di strumenti ed esperienze della vita reale e vicina ai meccanismi d’apprendimento che i ragazzi sviluppano naturalmente. Deve essere, inoltre, un luogo in cui i bambini imparino ad essere liberi, non soggetti all’autorità dei maestri.

L’École Freinet aveva una struttura cooperativa che coinvolgeva i ragazzi nelle gestione e nella soluzione dei problemi, era una scuola attiva, nella quale gli allievi perfezionavano l’uso della lingua scrivendo un giornalino di classe che veniva poi stampato, per realizzare un prodotto che fosse tecnicamente perfetto e fonte di soddisfazione per gli autori.

La altre tecniche di Freinet erano il testo libero, composizione in cui i bambini si esercitavano a scrivere ciò che più gli interessava, invece di comporre un tema suggerito dal maestro, e il calcolo vivente che proponeva esercizi matematici quali soluzione di problemi concreti.

In Le tecniche e la loro nascita, il maestro spiega come e per quali scopi ha sviluppato la propria didattica; nello scritto del del 1924 Verso la scuola del proletariato, Freinet si confronta invece con i pedagogisti dell’ottocento, concependo la scuola come un’attività rivoluzionaria, capace di costruire l’uomo, sottraendosi così alle esigenze strumentali di una società diseguale, quale quella borghese.

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3 Maggio, 2015

Ferdinando Imposimato, Difendete la scuola pubblica

by gabriella

lo-sciopero-del-5-maggio-dei-lavoratori-scolastici_306091Il discorso tenuto da Ferdinando Imposimato a Roma al convegno Adida del 24 aprile scorso, il suo appello agli insegnanti italiani perché difendano la scuola pubblica e scioperino il 5 maggio dal primo all’ultimo.

La scuola pubblica, la dignità e la libertà di insegnamento

Imposimato

Ferdinando Imposimato

Ringrazio tutti coloro che mi hanno chiesto di partecipare a questo incontro e di dare il mio modesto contributo alla difesa della scuola. Nel 70º anniversario della Liberazione, da cui è nata la nostra Costituzione, siamo chiamati a difendere la scuola pubblica dall’attacco del Governo contro insegnanti precari e di ruolo e i quota 96, vittime di gravi ingiustizie commesse da parte dei Governi degli ultimi 30 anni. È un attacco, quello attuato con la legge in discussione in Parlamento, contro la democrazia e la Costituzione e contro il diritto degli studenti a ricevere gratuitamente una seria educazione e formazione culturale e morale a vantaggio della loro persona e della collettività. A differenza dello Stato totalitario, lo Stato democratico, perseguendo l’interesse collettivo alla cultura, lascia alle persone libertà di formarsi e non stabilisce con arbitraria sopraffazione, quello che è etico e giusto insegnare (Atti costit. relazione A. Moro 18 ottobre 1946).

Questa libertà di contenuti oggi è minacciata dalla riforma del Governo.

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2 Maggio, 2015

Marco Magni, Scioperiamo per la scuola pubblica

by gabriella

Il 5 maggio scioperano gli insegnanti di ogni appartenenza e opinione in nome della scuola pubblica e della libertà d’insegnamento.

Non è retorica dire che il mondo ci guarda. Lo sciopero degli insegnanti del 5 maggio avrà molti occhi sopra. E’ l’Inghilterra, per prima, ad aver imposto la sua “buona scuola”. Era l’anno 1988, governo Thatcher. Poi, il mondo anglosassone, Australia, Nuova Zelanda. Quindi, gli Stati Uniti e la Corea del Sud. La Grecia vi è stata costretta dai diktat della Troika. In Russia c’è stata la riforma degli esami di stato. In Messico, attualmente, sono in corso lotte contro la “buona scuola” in contemporanea con l’Italia. (C’è anche la Spagna, ma confesso di saperne pochissimo).

Ovunque, ciò che è avvenuto, secondo la felice formula del sociologo australiano Smyth, si è basato sull’idea di “centralizzare ma dando l’idea di star facendo il contrario”. La parola d’ordine al centro delle riforme scolastiche sempre l’”autonomia” della scuola, il contenuto effettivo la trasformazione del dirigente d’istituto in “manager” dagli ampi poteri (assumere, premiare, licenziare gli insegnanti, selezionare e reclutare gli allievi sulla base del loro rendimento), direttamente responsabile dei risultati della propria scuola di fronte al potere centrale. Uno scambio, mediante cui il dirigente d’istituto diviene il “re” della propria scuola, ma nello stesso tempo viene vincolato al ruolo di agente della realizzazione pratica degli obiettivi di politica scolastica stabiliti dal potere centrale. Nominalmente “re”, “prefetto” napoleonico nei fatti. Esattamente quel che dice la “Buona scuola” e che ha già fatto riempire, in questi giorni di vigilia, molte piazze, in Italia, anche oltre ogni attesa.

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