Un vecchio barbone spiega la politica a una ragazzina che la odia in modo speciale. Camilla, infatti, non è solo una dodicenne che sente continuamente associare le parole “corruzione”, “inganno” e “disonestà” a quelle di “politica” e “politico”, è anche una ragazzina che ha perso il padre Roby, suicida per ragioni politiche.
Parlarle di cos’è davvero ciò che è caduto così in basso non è facile, ma il barbone, da tutti chiamato Aristotele, sa dove andare a prendere le parole.
Tre stralci di Camilla che odiava la politica [Milano, Rizzoli, 2008], il romanzo dedicato da Luigi Garlando alla prima adolescenza.
Perché, come, quand’è perfetto, l’uomo
è la migliore delle creature, così pure,
quando si stacca dalla legge e dalla
giustizia, è la peggiore di tutte.
Aristotele, La Politica
Prima parola: il capito
Aristotele si è procurato un vecchio fustino di detersivo vuoto. Lo capovolge e mi dice: «Siediti.» Mi siedo. Ormai mi sono abituata alla sua puzza.
Prende una delle tre biro nuove che gli ho portato e scrive la parola “politica” al centro di un foglio bianco.
«Dunque» ragiona grattandosi la testa con la penna blu, «il primo problema da risolvere è la parola “politica”, che non ti piace perché inizia come la parola “polipo”. Allora cambiamo l’ordine delle lettere. Guarda, Camilla, facciamo così…» Aristotele sbarra con una croce la lettera “i” e la riscrive sotto la parola “politica”, poi fa lo stesso con la lettera “l”, con la “e”, la “a”, la “p” e via via con tutte le altre.
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