Sacrificio
La costruzione della vittima come strumento di rinsaldamento sociale presso la Grecia arcaica e le tribu dei Dinka e dei Nuer. Alcune pagine di René Girard sulla logica dei sacrifici umani – che spiegano dal cannibalismo ai roghi, al risentimento verso lo straniero – commentate da Roberto Escobar, in Metamorfosi della paura, Bologna, Il Mulino, 1997, pp. 200-203.
La storia ci mostra in ogni epoca l’uomo consapevole di questa terribile verità:
egli vive sotto la mano di una potenza sdegnata, e questa potenza può essere appagata solo con sacrifici.
Joseph de Maistre, Chiarimento sui sacrifici
La polis previdente, ricorda Girard,
manteneva a sue spese un certo numero di infelici […]. In caso di bisogno, quando cioè una calamità si abbatteva o minacciava di abbattersi sulla città, epidemia, carestia, invasione straniera, dissensi interni, c’era sempre un pharmakós a disposizione della collettività [R. Girard, La violenza e il sacro].
Poi, al tempo del rito, lo si immetteva nello spazio sociale e simbolico della città. Come quella tale spugna, come quel tale straccio, lo si “usava” per raccogliere lo sporco, assorbire il miasma. L’infelice, dunque, veniva portato in giro per la città,
allo scopo di drenare le impurità e accumularle sul suo capo; dopo di che veniva cacciato o ucciso in una cerimonia alla quale prendeva parte tutta la marmaglia [ivi].
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