Felice Cimatti, Filosofia dell’animalità
In occasione dell’uscita del suo nuovo libro, Filosofia dell’animalità [Laterza, 2013], Asinus Novus ha intervistato Felice Cimatti sul suo persorso di ricerca e sulle implicazioni che il tema dell’animalità ha per la filosofia.
Olmo Viola, Culture animali, da migliaia di anni
La nostra specie è la sola che possa dirsi “culturale”? Esistono forme di cultura in altre specie? La cultura, oltre a comporre l’identità di molte società e individui umani, è anche un insieme complesso di comportamenti a cui si ricorre per ricordare quanto la nostra specie sia distinta dal resto dei viventi. Ma a uno sguardo più attento la continuità evolutiva sembra prevalere sulla nostra discontinuità eccezionale. Questi ripensamenti sono motivati oggi da una serie di nuove scoperte e ricerche etologiche. La più recente riguarda le scimmie cappuccino. Tratto da La Mela di Newton.
Chi non conosce le scimmie cappuccino (sottofamiglia alla quale appartengono due generi e varie specie)? Un po’ perché famose grazie alle molte performance sul grande schermo televisivo, spesso presenti in film e serie tv, un po’ perché impiegate nell’aiuto di persone paraplegiche. La ragione per cui vengono addestrate per aiutare persone paraplegiche è che si tratta di scimmie estremamente socievoli e intelligenti, nonché capaci di utilizzare strumenti. È per questo che sono ben note tra gli etologi, in quanto fanno parte di quella élite di animali capaci di produrre e manipolare strumenti per determinati fini. Un mese fa si è aggiunto un ulteriore motivo per accrescere la fama di questi primati: su Current Biology [1] è stato pubblicato un articolo nel quale viene descritta una tradizione di uso di strumenti litici, da loro prodotti, antica di ben 700 anni.
Lorenza Ghinelli, Gli animali per cibo
Questo intervento non è animalista. O meglio, credo che il problema degli allevamenti intensivi e della pesca industriale necessiti da diverso tempo di essere posto su un piano differente: un piano razionale.
L’articolo è uscito su Carmilla.
Non è possibile (purtroppo) chiedere alle persone di amare necessariamente gli animali, e nemmeno di ritenerli degni di diritti. Non è possibile, e forse non è nemmeno giusto, dire alle persone cosa possono o non possono mangiare. Per questo, prima di partire dalle differenze tra chi ha scelto di non mangiare carne prodotta in allevamenti intensivi e chi invece la mangia, penso sia più opportuno partire da quello che ci accomuna.
In questo non aiutano nemmeno le statistiche, perché le statistiche hanno a che fare coi numeri, e quando si parla di numeri diventa difficile immaginare che a quelle cifre corrispondano persone e animali, insomma, esseri viventi. Il successo degli allevamenti intensivi e della pesca industriale nasce soprattutto da questo: dalla distanza siderale tra noi e tutti quei numeri, tra quello che accade e quello che ci è dato (e non ci è dato) vedere, tra quello che amiamo immaginare e quello che invece sistematicamente si verifica. Per tentare di cambiare le cose, temo sia necessario dare per assodati l’egoismo e l’indifferenza che ci caratterizzano: siamo l’unica specie a non avere a cuore il suo mantenimento e la preservazione del suo habitat.
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