Su QuestoTrentino è uscito un bell’estratto dell’introduzione di Umberto Curi al volume collettaneo Il volto della Gorgone. La morte e i suoi significati [Mondadori, Milano, 2001].
Secondo il mito, Zeus, appena assurto al trono degli dèi, disprezzò il genere umano, che avrebbe voluto distruggere sostituendolo con una nuova razza. Solo Prometeo, stirpe divina, osò ribellarsi e per evitare agli uomini lo sterminio portò loro il dono del fuoco.
Insegnò inoltre a lavorare la terra, a raccogliere i prodotti, ad avere la meglio sulle fiere, a domare le bestie selvatiche, a costruire case, a solcare i mari e a inventare ogni espediente utile alla sopravvivenza. Certo fu questa la spiegazione che gli uomini si dettero quando ebbero la consapevolezza della loro condizione rispetto a quella degli altri animali, che non costruivano attrezzi e vivevano ‘naturalmente’.
Nello stesso tempo gli uomini si accorsero che vi era un limite invalicabile qualunque cosa facessero: la morte, di cui erano consapevoli a differenza degli altri animali.
Reso “pantoporos” (in grado di trovare ogni soluzione) dal possesso della techne, a lui regalata dal gesto sacrilego di Prometeo, a nulla serve all’uomo la capacità di escogitare strumenti e artifici di fronte all’ineluttabile morte. Irrimediabilmente “aporos” resta l’uomo in presenza dell’Ade (Curi, pag. 9), perché la vista della Gorgone lo paralizza.
Commenti recenti