Archive for Giugno, 2024

30 Giugno, 2024

Nietzsche, Morale dei signori e morale da schiavi

by gabriella

NietzscheL’aforisma 260 di Al di là del bene e del male.

260. Vagabondando tra le molte morali, più raffinate e più rozze, che hanno dominato fino a oggi o dominano ancora sulla terra, ho rinvenuto certi tratti caratteristici, periodicamente ricorrenti e collegati tra loro: cosicché mi si sono finalmente rivelati due tipi fondamentali e ne è balzata fuori una radicale differenza.

Esiste una “morale dei signori” e una “morale degli schiavi” – mi affretto ad aggiungere che in tutte le civiltà superiori e più ibride risultano evidenti anche tentativi di mediazione tra queste due morali e, ancor più frequentemente, la confusione dell’una nell’altra, nonché un fraintendimento reciproco, anzi talora il loro aspro confronto persino nello stesso uomo, dentro “la stessa” anima. Le differenziazioni morali di valore sono sorte o in mezzo a una stirpe dominante, che con un senso di benessere acquistava coscienza della propria distinzione da quella dominata – oppure in mezzo ai dominati, gli schiavi e i subordinati di ogni grado. Nel primo caso, quando sono i dominatori a determinare la nozione di «buono», sono gli stati di elevazione e di fierezza dell’anima che vengono avvertiti come il tratto distintivo e qualificante della gerarchia.

L’uomo nobile separa da sé quegli individui nei quali si esprime il contrario di tali stati d’elevazione e di fierezza – egli li disprezza. Si noti subito che in questo primo tipo di morale il contrasto «buono» e «cattivo» ha lo stesso significato di «nobile» e «ignobile» – il contrasto di «buono» e «”malvagio”» ha un’altra origine. E’ disprezzato il vile, il pauroso, il meschino, colui che pensa alla sua angusta utilità; similmente lo sfiduciato, col suo sguardo servile, colui che si rende abbietto, la specie canina di uomini che si lascia maltrattare, l’elemosinante adulatore e soprattutto il mentitore – è una convinzione basilare di tutti gli aristocratici che il popolino sia mendace. «Noi veraci» – così i nobili chiamavano se stessi nell’antica Grecia – un fatto palmare che le designazioni morali di valore sono state ovunque primieramente attribuite a “uomini” e soltanto in via derivata e successiva ad “azioni”: per cui è un grave errore che gli storici della morale prendano come punto di partenza problemi quali «perché è stata lodata l’azione pietosa?». L’uomo di specie nobile sente “se stesso” come determinante il valore, non ha bisogno di riscuotere approvazione, il suo giudizio è «quel che è dannoso a me, è dannoso in se stesso», conosce se stesso come quel che unicamente conferisce dignità alle cose, egli è “creatore di valori”.

Onorano tutto quanto sanno appartenere a sé: una siffatta morale è autoglorificazione. Sta in primo piano il senso della pienezza, della potenza che vuole straripare, la felicità della massima tensione, la coscienza di una ricchezza che vorrebbe donare e largire – anche l’uomo nobile presta soccorso allo sventurato, ma non, o quasi non, per pietà, bensì piuttosto per un impulso generato dalla sovrabbondanza di potenza. L’uomo nobile onora in se stesso il possente, nonché colui che sa parlare e tacere, che esercita con diletto severità e durezza contro se medesimo e nutre venerazione per tutto quanto è severo e duro. «Un duro cuore Wotan mi ha posto nel petto» – si dice in un’antica saga scandinava: in questo modo l’anima di un superbo vichingo ha trovato la sua esatta espressione poetica. Un simile tipo di uomini va appunto superbo di “non” essere fatto per la pietà: per cui l’eroe della saga aggiunge, in tono d’ammonizione, «chi non ha da giovane un duro cuore, non lo avrà mai». Nobili e prodi che pensano in questo modo sono quanto mai lontani da quella morale che vede precisamente nella pietà o nell’agire altruistico o nel “desintéressement” l’elemento proprio di ciò che è morale; la fede in se stessi, l’orgoglio di sé, una radicale inimicizia e ironia verso il «disinteresse», sono compresi nella morale aristocratica, esattamente allo stesso modo con cui competono a essa un lieve disprezzo e un senso di riserbo di fronte ai sentimenti di simpatia e al «calore del cuore».

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30 Giugno, 2024

Gregory Bateson, La mappa non è il territorio

by gabriella

 

La mappa non è il territorio: da Korzybski all'esperimento di Lyle Brenner, Derek Koehler e Amos Tversky – Alma Venus

La frase “la mappa non è il territorio” viene usata per indicare la differenza tra la rappresentazione e la realtà.

Alfred Korzybski (1879 – 1950)

L’espressione si deve inizialmente ad Alfred Korzybski che intendeva sottolineare la differenza tra un oggetto e la rappresentazione dell’oggetto, tra una realtà e la rappresentazione di quella realtà, perché era convinto che molte persone faticassero a distinguere le due cose.

Gregory Bateson(1904-1980)

A questa espressione Korzybski ne aggiungeva un’altra, “la parola non è la cosa”, che spiega ancora meglio quali siano le conseguenze del farsi carico di questa comprensione.

La mappa e la parola hanno strutture simili rispetto al territorio e alla cosa, ma non esauriscono quel che rappresentano.

L’insegnamento più difficile e importante di questa comprensione riguarda la sostanziale impossibilità di conoscere pienamente qualsiasi territorio: accecati da mappe incrociate che ci sottopongono miriadi di dati, siamo convinti che questo garantisca la conoscibilità totale del territorio.

Ma una rappresentazione dettagliatissima della realtà non potrà mai essere la realtà: ogni realtà aumentata a ben vedere sarà sempre una diminuzione di realtà. Ne coprirà fisicamente delle parti sovrapponendo immagini o scritte e ne indirizzerà semplicemente la fruizione verso la selezione di quelle aree che altri utenti hanno preferito o messo in evidenza.

Scriveva Gregory Bateson che il territorio non può mai essere colto nella sua interezza e che approssimare troppo la mappa al territorio – aumentando la definizione della mappa – è solo un modo per complicare le cose: le mappe (e le parole, piccole cartine geografiche della nostra psiche) servono per muoversi nel reale, ma se sono troppo vaste diventano ingombranti e pericolose.

Paul Valery ne Il nostro destino e le lettere espresse così questa tesi:

«Tutto quel che è semplice è falso. Tutto ciò che è complesso è inutilizzabile».

Il potere magico della filosofia consiste proprio nell’alimentare la voglia e la capacità di decifrare l’incommensurabile ordine della realtà.

 

Rieborato a fini didattici da Tlon.

 

24 Giugno, 2024

The Economist, Tecnologia e occupazione. Bussano all’ufficio proprio accanto al tuo

by gabriella

Un interessante articolo dell’Economist, Technology and Jobs: Coming to an office near you [traduzione mia], analizza la nuova ondata di distruzione tecnologica dell’occupazione appena iniziata. Il settimanale evidenzia come il 47% degli impieghi oggi esistenti sia suscettibile di automatizzazione nei prossimi vent’anni e come anche le iniziative economiche di successo siano oggi a bassa intensità di lavoro ed alta specializzazione (ad es.: Istagram, 30 milioni di utenti, 13 impiegati, un milione di dollari di profitto).

L’articolo snocciola dati drammatici e dipinge un futuro prossimo socialmente insostenibile, nonostante mantenga uno sguardo fiducioso sulla distruzione creatrice dell’attuale fase economica. Il testo si conclude con la considerazione che l’unica leva in mano ai governi per sostenere le proprie popolazioni è di innalzare la qualità della scuola e cercare di fornire strumenti di crescita intellettuale e sviluppo della creatività ai giovani. Il nostro paese ha invece imboccato la strada opposta.

L’innovazione, il volano del progresso, ha sempre fatto perdere alla gente il proprio lavoro. Durante la rivoluzione industriale, gli artigiani vennero infatti spazzati via dal telaio meccanico. Durante gli ultimi trent’anni, la rivoluzione digitale ha smantellato molti dei lavori specializzati che hanno caratterizzato la classe media del XX secolo. Dattilografi, impiegati di banca, impiegati nei servizi e insieme a loro molti lavori produttivi sono stati accantonati così come era accaduto agli artigiani. Per quelli che, anche nel nostro settimanale, credono che il progresso tecnologico abbia reso il mondo un posto migliore in cui vivere, una simile perdita è parte di una crescente prosperità.

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24 Giugno, 2024

Maria Montessori

by gabriella
Maria-Montessori-con-un-bambino

Maria Montessori (1870 – 1952)

Il profilo di una donna di scienza in un mondo maschile e di una grande innovatrice della pedagogia novecentesca.

Indice

1. Una donna tra gli uomini
2. Dalla psicologia misuratrice alla pedagogia
3. Una scuola nuova come condizione della pedagogia scientifica
4. La concezione educativa

4.1 Il nuovo profilo psicologico dell’infanzia liberata
4.2 Il bambino «spezzato» e il processo di normalizzazione
4.3 Lo sviluppo fisico e psicologico dell’«embrione spirituale»

                     4.3.1  Dalla mente assorbente alla mente cosciente

5. Il metodo

5.1 La «casa»
5.2 Il materiale didattico
5.3 La maestra «umile»

 

1. Una donna tra gli uomini

La biografia di Maria Montessori è quella di una precorritrice delle scelte di emancipazione e affermazione femminile.

Nata a Chiaravalle (AN) nel 1870 coltiva interessi scientifici e si iscrive, con un certo scalpore, alla Facoltà di Medicina dell’Università di Roma, dove si laurea nel 1896, divenendo la prima e unica italiana ad esercitare la professione medica. L’anno dopo diviene assistente alla Clinica psichiatrica della stessa università.

Sempre nel 1896 rappresenta l’Italia al Congresso del movimento femminista, che si tiene a Berlino, intervenendo sul tema dei diritti politici e sociali delle donne.

L’anno successivo prende parte al Congresso nazionale di medicina, che si tiene a Torino, approfittandone per richiamare l’attenzione sull’assistenza dovuta ai bambini anormali.

Nel 1898 partecipa al primo Congresso pedagogico italiano, dove espone i risultati del suo lavoro presso la Clinica psichiatrica romana. La sua tesi, sostenuta con forza e confortata dai dati sperimentali del suo lavoro, è che il soggetto anormale richiede un intervento che sia prevalentemente educativo e non medico, tale da perseguire come scopo non solo la «cura» e l’«assistenza», ma la modificazione complessiva della sua personalità.

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24 Giugno, 2024

Vygotskij vs Piaget

by gabriella

 Un veloce confronto tra le due opposte visioni dello sviluppo infantile che affondano in due concezioni profondamente diverse dell’uomo e del suo rapporto col mondo.

Indice

1. Jean Piaget

1.1 L’intelligenza come processo attivo di adattamento
1.2 Il processo cognitivo
1.3 Lo sviluppo stadiale dell’intelligenza
1.4 Le implicazioni pedagogiche

 

2. Lev Vygotskij

2.1 La critica all’egocentrismo infantile di Piaget
2.2 Il linguaggio come prodotto sociale e base dell’intelligenza.
2.3 L’origine sociale dei processi psichici superiori
2.4 L’educazione e la zona di sviluppo prossimale

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24 Giugno, 2024

Ovide Decroly

by gabriella

Ovide Decroly (1871 – 1932)

La teoria e il metodo di uno dei pionieri delle Scuole nuove e dei maggiori innovatori del novecento pedagogico.

 

Indice

1. Dalla pedagogia positivistica a quella sperimentale

1.1 Il ruolo della psicologia sperimentale
1.2 La nascita della pedagogia sperimentale

 

2. Il ruolo di Decroly del dibattito pedagogico novecentesco

2.1 L’insofferenza per la scuola tradizionale e l’interesse per i ragazzi «irregolari»

2.1.1 La fondazione de l’École de l’Hermitage

 

3. Il rinnovamento scolastico

3.1 L’interesse e l’unitarietà dell’esperienza scolastica
3.2 Il metodo Decroly

3.2.1 I problemi della scuola tradizionale
3.2.2 Il piano delle idee associate
3.2.3 La funzione di globalizzazione

 

1. Dalla pedagogia positivistica a quella sperimentale

l’intelligenza è un mezzo di adattamento, gli interessi sono l’equivalente dei bisogni

Decroly è uno dei protagonisti del passaggio da una pedagogia ancora classica, costruita sula base di riflessioni teoretiche, a una pedagogia scientifica intrecciata con la psicologia, la medicina e la biologia e messa alla prova della ricerca sperimentale.

Il filo conduttore di questo passaggio è la ricerca di un’educazione basata su interessi spontanei dei ragazzi legata a stimoli adeguati al ritmo del loro sviluppo psico-biologico.

È evidente l’influenza dell’evoluzionismo che in questo contesto, spiega l’intelligenza come uno strumento adattivo di sopravvivenza [vedi L’intelligenza come problem solving] e gli interessi dell’individuo come l’equivalente dei bisogni nell’adattamento di un organismo biologico al suo ambiente.

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18 Giugno, 2024

Il tema di scienze umane. Vademecum per la seconda prova

by gabriella

 

LA LETTURA DELLA PROVA

Il giovedì d’esame, la traccia della seconda prova viene inviata dagli uffici del Ministero alle segreterie delle scuole, stampata e consegnata alla vostra Commissione.

Il Presidente la legge e il commissario che la correggerà alcune indicazioni per lo svolgimento: annotatevele e cominciate a riflettere su questo primo inquadramento del problema che vi è stato assegnato.

 

 

DOPO LA LETTURA DELLA TRACCIA 

1. Leggere attentamente il testo della prova, cercando di situare l’argomento e l’autore e ricordando le indicazioni del docente che ve l’ha letto.

2. Consultare il dizionario per capire termini chiave del cui significato non si è certi o per controllare se il significato che si ha in mente è corretto.

3. Riflettere dieci minuti su ciò che si ha da dire sull’argomento. Valutare spassionatamente le affermazioni che si pensa di fare, scartando luoghi comuni e considerazioni troppo ovvie.

4. Stendere uno schema dello svolgimento con la seguente struttura:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

oppure, se in questa fase non vi riesce di indicare l’ordine con cui si vogliono affrontare gli argomenti, con questa:

 

 

 

 

5. Non impiegare più di mezz’ora per queste operazioni preliminari.

 

COSTRUZIONE DEL TESTO

E STRATEGIE PER UN TEMA APPREZZATO DALLA COMMISSIONE

 

1. Fare una piccola ricognizione del problema o una semplice parafrasi del testo presentato dalla traccia d’esame.

Esempio: “Il passo proposto sul tema del disadattamento minorile, evidenzia come non sia sufficiente indicare in alcuni fattori sociali le cause del disagio di bambini e adolescenti, ma sia necessario trovare rimedi efficaci, anche attraverso l’istituzione scolastica”.

Introdurre in questo modo, aumenta il vostro punteggio perché permette al professore che corregge la vostra prova di valutare l'”adeguata comprensione del testo”

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6 Giugno, 2024

Dalla pedagogia moderna alla contemporanea

by gabriella

Un’introduzione alla pedagogia contemporanea che punta ai cambiamenti della visione educativa dalla modernità ad oggi, per collocare in prospettiva storica il successivo studio degli autori novecenteschi.

Don Lorenzo Milani (1923 – 1967)

Johann Heinrich Pestalozzi (1746 – 1827)

Jean-Antoine de Condorcet (1743 – 1794)

Il filo conduttore della lezione tende a mostrare come le conquiste della modernità (alfabetizzazione universale, diritto allo studio e scuola repubblicana) tendano a cristallizzarsi in forme stabili (il diritto alla scuola viene costituzionalizzato) integrando anche nuove conquiste democratiche (universalizzazione del principio di educabilità e scolarizzazione dei disabili), pur mantenendo tutte le contraddizioni della modernità.

Infatti, l’idea di Condorcet che «la società deve al popolo un’istruzione pubblica» quale unico strumento per realizzare l’eguaglianza, oggi sancita dall’art. 3 (Cost.It), convive in un quadro di ritiro dello Stato (non solo italiano) dall’impegno costituzionale che lascia esistere la vasta realtà dell’analfabetismo funzionale dei nostri giovani.

Indice

1. Premessa: la lezione degli antichi
2. Le conquiste della modernità

2.1 L’alfabetizzazione universale
2.2 Diritto allo studio e scuola repubblicana

3. Le caratteristiche della pedagogia contemporanea

3.1 Dall’emancipazione all’inclusione
3.2 L’era della didattica
3.3 Costituzionalizzazione e decostituzionalizzazione della scuola

1. Premessa: la lezione degli antichi

Protagora di Abdera (490 – 411 a.C.)

Come sappiamo, la lezione pedagogica del mondo antico, da Omero ad Aristotele, consiste nella comprensione del potere dell’educazione nello sviluppo umano.

Infatti, mentre per Omero l’eccellenza è il prodotto della nascita aristocratica che si realizza con l’aiuto di un maestro, già con i sofisti l’aretè è il sapere, perché è il possesso della conoscenza che promuove la capacità di parola e di comprensione del mondo (è la conoscenza che crea competenza). Eccellenti quindi non si nasce, ma si diventa attraverso la cura di sé, o skolé, un privilegio riservato nel mondo antico agli uomini liberi.

 

2. Le conquiste della modernità

siamo espressione dello stesso spirito

Dopo i Greci, l’idea cristiana della comune appartenenza allo Spirito del genere umano ha lentamente democratizzato l’accesso all’educazione, fino alla svolta protestante, la cui teologia prescriveva al cristiano il dovere di avvicinarsi a Dio attraverso le Scritture.

 

2.1 L’alfabetizzazione universale

In questo nuovo contesto politico-ideale occorre, dunque, saper leggere, così nella Lettera ai Borgomastri e ai Consigli di tutte le città tedesche del 1524, Lutero apre ai giovani di entrambi i sessi le prime scuole popolari, avviando l’alfabetizzazione dei poveri e delle donne in Europa.

Nicolas de Condorcet (1743 – 1794)

Jan Amos Komensky (1592 – 1670)

Un secolo dopo, il radicale protestante Comenio elabora un metodo per «insegnare tutto a tutti» e accendere la luce dello spirito nella mente di tutti gli uomini.

 

2.2 Diritto allo studio e scuola repubblicana

Ma la conquista fondamentale della modernità e punto d’arrivo dell’elaborazione precedente, è l’enunciazione, ad opera di Nicolas Condorcet, del diritto allo studio e dei principi della scuola repubblicana (1791).

Sono gli scritti di questo aristocratico illuminato e dei politici giacobini a forgiare il modello di una scuola laica, pubblica e statale nella quale si insegnino non credenze e opinioni, ma le scienze e i saperi documentati e la cui frequenza sia obbligatoria nei primi anni di corso, perché

«la società deve al popolo un’istruzione pubblica» [Cinq mémoire sur l’instruction publique, 1, 1791]

quale unico strumento capace di rendere effettivo l’esercizio dei diritti di libertà ed eguaglianza.

Si afferma per la prima volta in modo esplicito, il principio dell’educazione come emancipazione popolare dall’ignoranza e dalla marginalità, cioè come diritto al pieno sviluppo della persona umana [che permetta] l’effettiva partecipazione di tutti all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese (come recita ora il comma secondo dell’art. 3 della Costituzione italiana).

In una parola, alla scuola si riconosce di essere lo strumento per l’esercizio della sovranità popolare (cioè della scelta, della dcisione politica), perché senza educazione non c’è effettiva eguaglianza, ma permanenza della dipendenza di chi ignora da chi sa.

Condorcet, L’educazione come emancipazione popolare

 

3. Le caratteristiche della pedagogia contemporanea

3.1 Dall’emancipazione all’inclusione

Nell’800, la rivoluzione industriale ha trasformato profondamente la società europea. Le condizioni del lavoro di fabbrica, la separazione tra tempi di vita e tempi di lavoro (con conseguente allontanamento dei genitori da casa) e il dramma del lavoro minorile, impongono una riflessione sulla cura dell’infanzia e sulle sue necessità educative.

Friedrich Fröbel (1782-1852)

Johann Heinrich Pestalozzi (1746 – 1827)

Saranno Fröbel e Pestalozzi a condurla, il primo reagendo alla realtà delle case di custodia – asili per una educazione meramente disciplinare dei figli delle madri lavoratrici – con i suoi Kidergarten che restituivano ai bambini la libertà del gioco, il secondo elaborando un metodo elementare per insegnare ad orfani e bambini deprivati, conseguenze tragiche delle guerre e della rivoluzione industriale.

È con la filantropia pedagogica di Pestalozzi che all’idea rivoluzionaria dell’emancipazione popolare si sostituisce quella più realista dell’inclusione.

In appassionate lettere ai potenziali finanziatori delle sue scuole e ricoveri per l’infanzia in difficoltà Pestalozzi, infatti, descrive le condizioni subumane di piccoli a cui la miseria e l’abbandono hanno impedito di imparare a camminare e parlare, proponendo per loro scuole in cui a una formazione elementare dello spirito e dell’etica si unisca l’avviamento al lavoro, quale strategia per includere questi figli del popolo in una società in cui resteranno marginali, ma non dipendenti dalla carità altrui.

Dall’ideale emancipativo dei Lumi alla pedagogia filantropica dei romantici

 

3.2 L’era della didattica

John Dewey (1859 – 1952)

Maria Montessori (1870 – 1952)

Dopo la grande, isolata, teorizzazione di Comenio, quelle di Fröbel e Pestalozzi sono le prime anticipazioni di una riflessione pedagogica concentrata sulla didattica che sarà una delle cifre della contemporaneità.

L’alfabetizzazione popolare muove i primi passi anche nei paesi cattolici dell’Europa del Sud ed emerge già, con chiarezza, che i risultati educativi non sono garantiti dalla sola scolarizzazione.

Serve, quindi, un metodo per insegnare ai giovani che si stanno affacciando per la prima volta all’educazione scolastica: il novecento risponderà con la ripresa delle idee lockeane e rousseauiane che sfoceranno nell’esperienza delle scuole nuove e dell’attivismo pedagogico.

La scuola si incammina, non senza ritardi e resistenze, verso la centralità dello studente (puerocentrismo rousseauiano) e la laboratorialità (learning by doing lockeano).

 

3.3 Costituzionalizzazione e decostituzionalizzazione della scuola

Piero Calamandrei (1889 – 1956)

Un altro grande asse su cui si sviluppa la riflessione pedagogica novecentesca è quello della costituzionalizzazione delle idee illuministe del diritto allo studio e della scuola repubblicana sostenuta non solo da un dibattitto specialistico ma anche da battaglie popolari per la difesa del principio di eguaglianza o, in altri termini, di una scuola pubblica quale organo costituzionale della cittadinanza democratica o della sovranità popolare (Calamandrei, 1950).

L’idea che sia la scuola pubblica, laica, gratuita e obbligatoria a rendere effettivo il principio d’eguaglianza viene impresa nelle costituzioni del dopoguerra post-fascista della Repubblica italiana e degli altri paesi europei.

Ciò non estingue, però, il confronto tra questa idea emancipativa dell’educazione e quella che emerge già con Pestalozzi, di una scuola che tamponi le emergenze sociali della modernità, limitandosi a correggere le storture più evidenti.

La scuola che invia precocemente al lavoro o che alterna la scuola ad esso in un quadro di analfabetismo funzionale persistente, che offre programmi di studio semplificati e inconsistenti ai ragazzi che non ha saputo/voluto formare, cioè la scuola rimodellata dalle riforme degli ultimi 20 anni, è una scuola, di fatto, decostituzionalizzata che, nel migliore dei casi, include ma non emancipa.

 

3.4 Democratizzazione dell’educabilità 

È in questo quadro che va pensata una delle conquiste democratiche più importanti, vanto della scuola italiana, quale il principio dell’inclusione nelle classi normali dei ragazzi disabili.

Questa fondamentale democratizzazione del principio di educabilità, cioè del principio che tutti possono essere educati e sviluppare la propria personalità attraverso la scuola e l’istruzione, prende avvio nel 1971 con la legge che prevede l’inserimento «nelle classi normali della scuola pubblica» nell’istruzione dell’obbligo per tutti i ragazzi, salvo quelli «affetti da gravi deficienze o menomazioni tali da impedire o rendere molto difficoltoso l’apprendimento».

Con questa norma, si abbandona l’idea delle classi differenziali, per sposare il principio (affermato esplicitamente nel 1977 con l’introduzione dell’insegnamento di sostegno) che la diversità sia una caratteristica di qualità della scuola pubblica capace di arricchire tutti coloro che la frequentano.

Tale produzione normativa ha alle spalle un dibattito pedagogico che ha definitivamente bandito l’idea che alcuni ragazzi non siano in grado di imparare e che si impegna in una elaborazione di idee e concetti che si trasferiscono alle norme scolastiche: quelli inserimento, poi di integrazione, quindi di inclusione, che portano con sé l’idea che la diversità non costituisca ostacolo alla partecipazione di tutti alla vita sociale.

Pablo Pineda e l’educabilità dei ragazzi disabili

3.5 Pedagogie critiche e critica della scuola 

Ivan Illich (1926 – 2002)

Nello stesso momento, a partire dagli anni ’60, si sviluppa a livello mondiale un nuovo movimento di rinnovamento pedagogico, alimentato da pedagogie critiche dell’istituzione scolastica e dell’educazione tradizionale.

Con Paulo Freire e Ivan Illich in America Latina, Don Milani, Bruno Ciari e altri in Italia, si afferma l’idea che

Nessuno educa nessuno, nessuno si educa da solo, gli uomini si educano insieme, con la mediazione del mondo [Paulo Freire, Pedagogia do oprimido, 1968; La pedagogia degli oppressi]

don Milani (1923 – 1967)

e che la scuola non fa abbastanza per insegnare e rendere uguali bambini e ragazzi. Peggio, denuncia don Milani, ne certifica le diseguaglianze e inasprisce le discriminazioni fin dal loro ingresso nelle aule scolastiche:

come un ospedale che «che cura i sani e respinge i malati».

Di qui l’accusa agli insegnanti, colpevoli di aver dimenticato il loro compito e il loro dovere indicati nell’art. 3:

[…] Se ognuno di voi sapesse che ha da portare innanzi a ogni costo tutti i ragazzi e in tutte le materie, aguzzerebbe l’ingegno per farli funzionare.
Io vi pagherei a cottimo.
Un tanto per ragazzo che impara tutte le materie. O meglio multa per ogni ragazzo che non ne impara una.
Allora l’occhio vi correrebbe sempre su Gianni (l’allievo più svantaggiato).
Cerchereste nel suo sguardo distratto l’intelligenza che Dio ci ha messa certo uguale agli altri.
Lottereste per il bambino che ha più bisogno, trascurando il più fortunato, come si fa in tutte le famiglie.
Vi svegliereste la notte con il pensiero fisso su lui a cercar un modo nuovo di fare scuola, tagliato su misura sulla sua.
Andreste a cercarlo a casa sua se non torna.
Non vi dareste pace, perché la scuola che perde Gianni non è degna d’essere chiamata scuola [Lettera a una professoressa, 1967].

 

La parola ci fa uguali 1. L’unificazione linguistica degli italiani e i maestri degli esclusi

La parola ci fa uguali 2. Gli studi sociolinguistici di Basil Bernstein e William Labov

La parola ci fa uguali 3. Analfabetismo strumentale, funzionale e di ritorno

 

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