Giorgio Agamben, Note preliminari al concetto di democrazia

by gabriella

démocratie dans quel étatNel 2009, otto filosofi hanno accettato di contribuire alla discussione sul concetto di democrazia, lanciata dall’editore canadese La Fabrique e raccolta in questo saggio. Agamben ha scritto questa bella nota preliminare sull’ambiguità del concetto di democrazia, tra costituzione e governo, potere costituente e potere costituito [pp. 7-9].

Qu’est-ce qu’un démocrate, je vous prie ? C’est là un mot vague, banal, sans acception précise, un mot en caoutchouc.

Auguste Blanqui

Ogni discorso sul termine “democrazia” è oggi falsificato da un’ambiguità preliminare che condanna al malinteso chi lo utilizza. Di cosa si parla quando si parla di democrazia? A quale razionalità si riferisce questo concetto? Una veloce osservazione  mostra che chi discute oggi sulla democrazia intende con questo termine sia una forma di costituzione del corpo politico che una tecnica di governo. Il termine rinvia dunque sia alla concettualità del diritto pubblico che a quella della pratica amministrativa: designa cioè sia la forma di legittimazione del potere che il suo utilizzo.

Poiché è a tutti evidente che nel discorso politico contemporaneo questo termine si riferisce più spesso a una tecnica di governo- che, come tale, non ha niente di particolarmente rassicurante – si può comprendere il disagio di quelli che continuano  ad impiegarlo in perfetta buona fede nel primo senso. Che l’intreccio di queste due concettualità: giuridico-politica e economico-gestionaria abbia radici profonde e non sia facile da districare apparirà chiamente nell’esempio seguente:

Quando presso i classici del pensiero politico greco si trova il termine politeia (spesso nel quadro di una discussione sulle diverse forme di politeia: monarchia, oligarchia, democrazia e delle loro parekbaseis o deviazioni) vediamo i traduttori renderlo sia con «costituzione» che con «governo». Così, il passaggio della Costituzione di Atene (cap. XXVII) in cui Aristotele descrive la demagogia di Pericle «dēmoticōteran  synebē genesthai  tēn politeian» è reso dal traduttore inglese «the Constitution became still more democratic »; di seguito Aristotele aggiunge che la moltitudine «apasan tēn politeian mallon agein eis hautos» ciò che lo stesso traduttore rende con «brought all the government ore into their hands» (evidentemente tradurre con “brought all the constitution” come la coerenza avrebbe voluto, sarebbe stato problematico).

aristoteleDa dove viene questa autentica «anfibologia» questa ambiguità del concetto politico fondamentale per cui esso si presenta tanto come  costituzione che come governo? Basterà segnalare nella storia del pensiero politico occidentale due passi in cui questa ambiguità si presenta in modo particolarmente evidente: il primo di trova nella Politica [1279a 25 sqq], quando Aristotele dichiara la sua intenzione di enumerare e studiarele differenti forme di costituzione (politeiai):

Poiché politeia e politeuma significano la stessa cosa e poiché politeuma è il potere supremo (kyrion) delle città, è necessario che il potere supremo sia proprio di uno solo di qualcuno o di un gran numero […].

Le traduzioni correnti danno qui:

Poiché costituzione e governo significano la stessa cosa e poiché il governo è il potere supremo (kyrion) […].

Benché una traduzione più fedele debba conservare la prossimità dei due termini politeia (l’attività politica) e politeuma (il fatto politico che ne risulta) è chiaro che il tentativo di Aristotele di ridurre l’anfibologia almeno di questa figura che chiama kyrion, è il problema centrale di questo passo.  Per impiegare – non senza forzare un po’ il tratto – una terminologia moderna, potere costituente (politeia) e potere costituito (politeuma) si uniscono qui nella forma di un poter sovrano (kyrion) he appare come ciò che tiene insieme le due facce della politica. Ma perché la politica è scissa e perché il kyrion l’articola, suturando questa scissione?

IRousseaul secondo passo si trova nel Contratto sociale. Nel suo Corso del 1977-78  «Sécurité, territoire, population», Foucault veva già mostrato che Rousseau si poneva precisamente il problema di conciliare una terminologia politico-costituzionale («contratto», «volontà generale», «sovranità») con un’«arte del governo». Ma, nella prospettiva che ci interessa, la distinzione e l’articolazione tra sovranità e governo che è la base del pensiero politico di Rousseau, è decisiva.

Prego i miei lettori  – crive nel suo articolo sull’«Economia politica» – di distinguere attentamente  tra l’economia pubblica di cui ho parlato e che chiamo «governo» dall’autorità suprema che chiamo «sovranità», distinzione che consiste nel fatto che l’una ha il diritto legislativo mentre l’altra non ha che la potenza esecutrice.

Nel Contratto sociale la distinzione è riaffermata come articolazione tra volontà generale e  potere legislativo da un lato, e governo e potere esecutivo, dall’altro. Ora, per Rousseau si tratta precisamente di distinguere e di legare insieme questi due elementi (è per questo che nel momento stesso in cui enuncia la distinzione, deve negare con forza che sia una divisione del sovrano. Come in Aristotele, la sovranità, il kyrion, è ad un tempo uno dei termini della distinzione  ciò che lega in un nodo indissolubile costituzione e governo.

Se oggi assistiamo al dominio schiacciante del governo e dell’economia su una sovranità popolare che è stata progressivamente svuotata di ogni significato è forse perché le democrazie occidentali stanno pagando il prezzo di un’eredità filosofica che avevano assunto senza beneficio d’inventario. Il malinteso che consiste nel ritenere il governo come semplice potere esecutivo è uno degli errori più gravidi di conseguenze nella storia della politica occidentale.  Esso ha portato al fatto che la riflessione politica della modernità si perde dietro ad astrazioni vuote come la legge, la voontà generale e la sovranità popolare, lasciando senza risposte il problema decisivo da ogni punto di vista che è quello del governo e della sua articolazione al sovrano. Ho cercato di mostrare in un recente libro che il mistero centrale della politica non è la sovranità ma il governo, non Dio ma l’angelo, non il re ma il ministro, non la legge ma la polizia – più precisamente, la doppia macchina governamentale che essi formano e mantengono in movimento.

Il sistema politico occidentale risulta dall’intreccio di due elementi eterogenei che si legittimano e si danno reciprocamente consistenza: una razionalità politico-giuridica e una razionalità economico-governamentale, una forma di «costituzione» e una forma di «governo». Perché la politeia è presa in questa ambiguità? Chi dà al sovrano (al kyrion) il potere di assicurare e gantire la loro unione legittima? Non si tratterebbe di una finzione, destinata a dissimulare il fatto che il centro della macchina è vuoto, che non c’è dentro i due elementi e le due razionalità alcuna articolazione possibile? E che è dalla loro disarticolazione che si tratta, giustamente, di far emergere questo ingovernabile che è allo stesso tempo l’origine e la linea di fuga di ogni politica? 

E’ probabile che sino a quando il pensiero non riuscirà a confrontarsi con questo nodo e con la sua anfibologia, ogni discussione sulla democrazia – come forma di costituzione e come tecnica di governo – rischi di rimanere una semplice chiacchiera.

agamben1agamben2

Print Friendly, PDF & Email


Comments are closed.


%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: