I migranti che l’Europa non vuole: un viaggio all’inferno tra naufragi, imprigionamenti, lager e marce che durano anni.
A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno inconsapevolmente, che “ogni straniero è nemico”.
Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come una infezione latente;
si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati,
e non sta all’origine di un sistema di pensiero.
Ma quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo,
allora al temine della catena, sta il Lager.
Esso è il prodotto di una concezione del mondo portata alle sue conseguenze con rigorosa coerenza:
finché la concezione sussiste, le conseguenze ci minacciano.
La storia dei campi di distruzione dovrebbe venire intesa da tutti
come un sinistro segnale di pericolo.
Primo Levi, Se questo è un uomo, 1947
1. La narrazione dell’«invasione»
[Fonte: The Submarine] La Carnegie Mellon University di Pittsburgh ha creato una mappa animata che permette di visualizzare l’entità e la direzione dei flussi migratori. Ogni 17 rifugiati un punto. Si noterà che la nostra “emergenza migranti” neanche si vede.
Ad esempio, la narrazione secondo cui il flusso di migrazione della Siria sia principalmente rivolto verso l’Unione Europea è smentita: è immediatamente evidente come le persone si fermino negli stati confinanti, e che solo una microscopica minoranza decida — o meglio, si trovi costretta per concause — ad avventurarsi molto più lontano, verso l’Europa e l’Italia.
Per flussi diversi da quelli siriano questo fatto è ancora più evidente: è sufficiente zoomare verso l’Africa per assistere a flussi migratori ancora più imponenti; storie che non raggiungono i titoli dei giornali, ma che condividono la stessa drammaticità.
Nella cronologia della mappa è possibile vedere l’Afghanistan incendiarsi, subito dopo il 2001, dopo l’invasione delle forze statunitensi; nel 2006 è possibile osservare migrazioni.
Nella cronologia della mappa è possibile vedere l’Afghanistan incendiarsi, subito dopo il 2001, dopo l’invasione delle forze statunitensi; nel 2006 è possibile osservare migrazioni verso la Siria, in particolare dal Libano; nel 2013 e 2014 è possibile vedere quante persone sono fuggite dall’Ucraina durante il conflitto.
L’unico flusso degno di nota, su scala mondiale, che ha interessato l’Europa è stato verso la Germania, in particolare di rifugiati iracheni, nel 2009.
Spesso i grafici e le infografiche su questi argomenti hanno effetto contrario al desiderato: eliminano la dimensione umana, raccontando invece solo la realtà dei numeri. E i numeri raccontano la storia giusta — come nel caso di questa emergenza rifugiati — ma non sono sufficienti: non si può pretendere che il pubblico, spesso disincantato o attivamente scettico su questi argomenti, provi empatia per le barre di un grafico. È per risolvere questo nodo di comunicazione che al lab CREATE quattro anni fa hanno iniziato a sviluppare Explorables, il progetto di cui fa parte anche questa mappa: costruire uno strumento che visualizzi le persone — in qualche modo — per raccontare le grandi ingiustizie, dalla disoccupazione all’inquinamento.
Se c’è mai stato un documento che rivela come l’emergenzialità della situazione attuale sia una maschera dietro la quale l’Europa ha deciso di celare la propria incompetenza politica sull’argomento, è questo. Il fenomeno è evidentemente protratto, costante, ed è evidente come su scala continentale si tratti di numeri assolutamente irrisori: l’esatto contrario di un’emergenza.
È un problema da risolvere: da affrontare, con umanità e senso di responsabilità. Invece, in un capolavoro di perfidia, la propaganda ha convinto metà della popolazione di essere “noi” le vittime della situazione. Guardare questi quindici anni ripetersi e ripetersi lungo la timeline della mappa è terribile e non potrebbe raccontare una storia più diversa.
Clausnitz. Febbraio 2016, Prove di nazismo
2. Lo slogan «Aiutiamoli a casa loro»
Persone detenute arbitrariamente, senza protezione legale, esposte a violenze e sfruttamento. E l’Europa aumenta i finanziamenti alla Libia. È questo il sistema che vuole legittimare? CONDIVIDI LA DENUNCIA http://bit.ly/2xCjpwWImmagini di Guillaume Binet/Myop
Publié par Medici Senza Frontiere sur vendredi 1 septembre 2017
2.1 Il Land grabbing
La denuncia di Antonello Caporale su raiawadunia.com.
L’Unione europea ha appena deciso di triplicare i fondi per la gestione dei migranti: la somma messa a bilancio passerà dagli attuali 13 miliardi di euro (anni 2014-2021) ai futuri 35 miliardi di euro (anni 2021-2027).
Prima di compiere l’analisi dei costi preventivati, dove i soldi vanno, per fare cosa, dobbiamo sapere cosa noi prendiamo dall’Africa, e cosa restituiamo all’Africa. Se noi aiutiamo loro oppure se loro, magari, danno una mano a noi. Conviene ripetere e magari ripubblicare. Quindi partire dalle basi, dai luoghi in cui i migranti partono.
Roberto Rosso, l’uomo che dai jeans ha ricavato un mondo che ora vale milioni di euro, ha domandato: “Come mai spendiamo 34 euro al giorno per ospitare un migrante se con sei dollari al dì potremmo renderlo felice e sazio a casa sua?”.
Già, come mai? E perché non li aiutiamo a casa loro?
Casa loro? Andiamoci piano con le parole. Perché la loro casa è in vendita e sta divenendo la nostra.
Per dire: il Madagascar ha ceduto alla Corea del Sud la metà dei suoi terreni coltivabili, circa un milione e trecentomila ettari. La Cina ha preso in leasing tre milioni di ettari dall’Ucraina: gli serve il suo grano.
In Tanzania acquistati da un emiro 400mila ettari per diritti esclusivi di caccia. L’emiro li ha fatti recintare e poi ha spedito i militari per impedire che le tribù Masai sconfinassero in cerca di pascoli per i loro animali. La loro vita.
E gli etiopi che arrivano a Lampedusa, quelli che Salvini considera disgraziati di serie B, non accreditabili come rifugiati, giungono dalla bassa valle dell’Omo, l’area oggetto di un piano di sfruttamento intensivo da parte di capitali stranieri che ha determinato l’evacuazione di circa duecentomila indigeni. E tra i capitali stranieri molta moneta, circa duecento milioni di euro, è di Roma. Il governo autoritario etiope, che rastrella e deporta, è l’interlocutore privilegiato della nostra diplomazia che sostiene e finanzia piani pluriennali di sviluppo. Anche qui la domanda: sviluppo per chi?
L’Italia intera conta 31 milioni di ettari. La Banca mondiale ha stimato, ma il dato è fermo al 2009, che nel mondo sono stati acquistati o affittati per un periodo che va dai venti ai 99 anni 46 milioni di ettari, due terzi dei quali nell’Africa subsahariana.
In Africa i titoli di proprietà non esistono (la percentuale degli atti certi rogitati varia dal 2 al 10 per cento). Si vende a corpo e si vende con tutto dentro. Vende anche chi non è proprietario. Meglio: vende il governo a nome di tutti. Case, villaggi, pascoli, acqua se c’è. Il costo? Dai due ai dieci dollari ad ettaro, quanto due chili d’uva e uno di melanzane al mercato del Trionfale a Roma.
Sono state esaminate 464 acquisizioni, ma sono state ritenute certe le estensioni dei terreni solo in 203 casi. Chi acquista è il “grabbatore”, chi vende è il “grabbato”. La definizione deriva dal fenomeno, che negli ultimi vent’anni ha assunto proporzioni note e purtroppo gigantesche e negli ultimi cinque una progressione pari al mille per cento secondo Oxfam, il network internazionale indipendente che combatte la povertà e l’ingiustizia. Il fenomeno si chiama land grabbing e significa appunto accaparramento della terra.
I Paesi ricchi chiedono cibo e biocombustibili ai paesi poveri. In cambio di una mancia comprano ogni cosa. Montagne e colline, pianure, laghi e città. Sono circa cinquanta i Paesi venditori, una dozzina i Paesi compratori, un migliaio i capitali privati (fondi di investimento, di pensione, di rischio) che fanno affari. E’ più facile trasportare una tonnellata di cereali dal Sudan che le mille tonnellate d’acqua necessarie per coltivarle.
E allora la domanda: aiutiamoli a casa loro? Siamo proprio sicuri che abbiano ancora una casa? Le cronache sono zeppe di indicazioni su cosa stia divenendo questo neocolonialismo che foraggia guerre e governi dittatoriali pur di sviluppare il suo business. In Uganda 22mila persone hanno dovuto lasciare le loro abitazioni per far posto alle attività di una società che commercia legname, l’inglese New Forest Company. Aveva comprato tutto: terreni e villaggi. I residenti sono divenuti ospiti ed è giunto l’avviso di sfratto… Dove non arriva il capitale pulito si presenta quello sporco. La cosiddetta agromafia. Sempre laggiù, nascosti dai nostri occhi e dai nostri cuori, si sversano i rifiuti tossici che l’Occidente non può smaltire. La puzza a chi puzza…
Chi ha fame vende. Anzi regala. L’Etiopia ha il 46 per cento della popolazione a rischio fame. E’ la prima a negoziare cessioni ai prezzi ridicoli che conosciamo. Seguono la Tanzania (il 44 per cento degli abitanti sono a rischio) e il Mali (il 30 per cento è in condizioni di “insicurezza alimentare”). Comprano i ricchi. Il Qatar, l’Arabia Saudita, la Cina, il Giappone, la Corea del Sud, anche l’India. E nelle transazioni, la piccola parte visibile e registrata della opaca frontiera coloniale, sono considerate terre inutilizzate quelle coltivate a pascolo.
Il presidente del Kenya, volendo un porto sul suo mare, ha ceduto al Qatar, che si è offerto di costruirglielo, 40mila ettari di terreno con tutto dentro. Nel pacco confezionato c’erano circa 150 pastori e pescatori. Che si arrangiassero pure!
L’Africa ha bisogno di acqua, di grano, di pascoli anzitutto. Noi paesi ricchi invece abbiamo bisogno di biocombustibile. Olio di palma, oppure jatropha, la pianta che – lavorata – permette di sfamare la sete dei grandi mezzi meccanici. E l’Africa è una riserva meravigliosa.
In Africa parecchie società italiane si sono date da fare: il gruppo Tozzi possiede 50mila ettari, altrettanti la Nuova Iniziativa Industriale. 26mila ettari sono della Senathonol, una joint-venture italosenegalese controllata al 51 per cento da un gruppo italiano. Le rose sulle nostre tavole, e quelle che distribuiscono i migranti a mazzetti, vengono dall’Etiopia e si riversano nel mondo intero. Belle e profumate, rosse o bianche. Recise a braccia. Lavoratori diligenti, disponibili a infilarsi nelle serre anche con quaranta gradi. E pure fortunati perché hanno un lavoro a sessanta centesimi al giorno.
3. Barconi e naufragi
Le immagini e la lettera seguenti risalgono al 3 ottobre 2013, quando morirono in mare 366 persone – se ne salvarono 155.
L’emozione era forte davanti al più grave naufragio di migranti mai accaduto davanti alle nostre rive.
Pochi mesi dopo, il 19 aprile 2015, si inabissò davanti alla Sicilia un battello carico di migranti, causando 700 morti.
Sono il nuovo Sindaco delle isole di Lampedusa e di Linosa. Eletta a maggio, al 3 di novembre mi sono stati consegnati già 21 cadaveri di persone annegate mentre tentavano di raggiungere Lampedusa e questa per me è una cosa insopportabile. Per Lampedusa è un enorme fardello di dolore.
Abbiamo dovuto chiedere aiuto attraverso la Prefettura ai Sindaci della provincia per poter dare una dignitosa sepoltura alle ultime 11 salme, perché il Comune non aveva più loculi disponibili. Ne faremo altri, ma rivolgo a tutti una domanda: quanto deve essere grande il cimitero della mia isola?
Non riesco a comprendere come una simile tragedia possa essere considerata normale, come si possa rimuovere dalla vita quotidiana l’idea, per esempio, che 11 persone, tra cui 8 giovanissime donne e due ragazzini di 11 e 13 anni, possano morire tutti insieme, come sabato scorso, durante un viaggio che avrebbe dovuto essere per loro l’inizio di una nuova vita. Ne sono stati salvati 76 ma erano in 115, il numero dei morti è sempre di gran lunga superiore al numero dei corpi che il mare restituisce.
Sono indignata dall’assuefazione che sembra avere contagiato tutti, sono scandalizzata dal silenzio dell’Europa che ha appena ricevuto il Nobel della Pace e che tace di fronte ad una strage che ha i numeri di una vera e propria guerra. Sono sempre più convinta che la politica europea sull’immigrazione consideri questo tributo di vite umane un modo per calmierare i flussi, se non un deterrente.
Ma se per queste persone il viaggio sui barconi è tuttora l’unica possibilità di sperare, io credo che la loro morte in mare debba essere per l’Europa motivo di vergogna e disonore. In tutta questa tristissima pagina di storia che stiamo tutti scrivendo, l’unico motivo di orgoglio ce lo offrono quotidianamente gli uomini dello Stato italiano che salvano vite umane a 140 miglia da Lampedusa, mentre chi era a sole 30 miglia dai naufraghi, come è successo sabato scorso, ed avrebbe dovuto accorrere con le velocissime motovedette che il nostro precedente governo ha regalato a Gheddafi, ha invece ignorato la loro richiesta di aiuto. Quelle motovedette vengono però efficacemente utilizzate per sequestrare i nostri pescherecci, anche quando pescano al di fuori delle acque territoriali libiche. Tutti devono sapere che è Lampedusa, con i suoi abitanti, con le forze preposte al soccorso e all’accoglienza, che dà dignità di esseri umane a queste persone, che dà dignità al nostro Paese e all’Europa intera.
Allora, se questi morti sono soltanto nostri, allora io voglio ricevere i telegrammi di condoglianze dopo ogni annegato che mi viene consegnato. Come se avesse la pelle bianca, come se fosse un figlio nostro annegato durante una vacanza.
Giusi Nicolini
E questo è un salvataggio:
Un giorno i nostri figli guardando queste immagini ci chiederanno come abbiamo fatto noi a sapere che succedevano queste cose e a fregarcene. Come abbiamo fatto a non trovare un modo per aiutare questa gente, a non batterci per l'apertura di canali umanitari. E io starò male, perché non saprò cosa rispondere.
Publié par Enrico Sitta sur jeudi 21 Janvier 2016
4. Storie di migranti
Servizio di Repubblica.it
Domenico Quirico, Partiamo da Mali per non morire; Un telefonino e nient’altro. Così raggiungeremo l’Europa
Ma quanti sono?
I dati dei richiedenti asilo al febbraio 2015 [fonte:Ministero degli Interni]
Girolamo de Michele, Scusate se non siamo annegati
Gli immigrati e gli alberghi: le strumentalizzazioni politiche delle migrazioni
Immigrati.stat [sezione dell’Istat]
InfoData, I flussi migratori
4. L’informazione e la percezione collettiva dei migranti
[Tratto da Percorsi didattici contro la discriminazione di Amnesty International]
La maggior parte delle informazioni o delle conoscenze che abbiamo della società in cui viviamo, dei fenomeni sociali ed economici, del mondo in generale non è dovuta ad esperienza diretta, ma a descrizioni ed interpretazioni fatte da altri. Un ruolo importante in questo senso è svolto dai media che influenzano la nostra percezione della realtà in vari modi.
Lo spazio dedicato ad alcune notizie, l’enfasi e la ripetitività (modello dell’agenda setting) portano ascoltatori e/o lettori a considerare quei fatti particolarmente importanti e problematici. Ad esempio se giornali e telegiornali in apertura o in prima pagina danno la notizia che un automobilista immigrato ubriaco ha travolto e ucciso dei ciclisti e la notizia viene ripetuta con particolare enfasi, collegata a fatti analoghi, ci convinciamo che esiste un grave problema di automobilisti stranieri ubriachi, altrimenti non se ne parlerebbe così tanto, e ne cominciamo a discutere con gli altri. Ben pochi andranno a controllare quale sia la percentuale di stranieri che provoca incidenti in stato di ebbrezza rispetto agli italiani.
Secondo invece il modello della coltivazione, i media influenzano il modo in cui pensiamo ai fatti che accadono e spingono ad adottare un punto di vista omogeneo. Questo fenomeno viene studiato ad esempio mettendo a confronto le opinioni di chi è un forte fruitore del mezzo televisivo e chi invece guarda poco la televisione.
In una ricerca condotta nel 1994 da Luciano Arcuri, si chiedeva a un gruppo di persone di stimare il numero di omicidi commessi in Italia quotidianamente, quanti processi erano svolti, quanti fossero gli appartenenti alle forze dell’ordine nella repressione della criminalità, e così via. Si osservò che chi seguiva talk–show o altri servizi che trattavano di fatti connessi con il mondo della giustizia, forniva delle stime sistematicamente superiori a quelle reali. Queste persone ritenevano il mondo molto più violento e pericoloso dei secondi, probabilmente a causa della frequente esposizione ad episodi di violenza.
I meccanismi che rendono possibile questa influenza dei media si possono ricondurre alle euristiche, cioè a quei meccanismi di semplificazione della realtà che assieme agli stereotipi contribuiscono in modo considerevole a distorcere la nostra percezione delle cose.
Le persone tendono a considerare tanto più probabile un evento quanto riesce loro più facile ricordare o richiamare alla memoria fatti dello stesso tipo (euristica della disponibilità o dell’accessibilità). Questo significa che la particolare visibilità di determinate categorie nella cronaca nera determina errate convinzioni sulla probabilità che esse, come nell’esempio sopracitato, causino incidenti per guida in stato di ebbrezza, poiché fatti di questo tipo hanno ricevuto ampia visibilità e facilmente possono essere richiamati alla memoria.
Un altro tipo di errore di valutazione si ha quando ci aspettiamo comportamenti che ricalcano stereotipi fortemente radicati (euristica della rappresentatività). Per cui se dobbiamo decidere se un determinato crimine è stato commesso da un italiano o da un immigrato, molte persone sono indotte a sovrastimare la possibilità che il colpevole sia un immigrato in quanto l’immagine stereotipica ad essi associata ha molti elementi di somiglianza con la rappresentazione astratta di criminale [Arcuri, 2005]. E questo lo si riscontra quando avvengono crimini violenti. Per parecchie persone è molto più plausibile che crimini particolarmente odiosi siano commessi da immigrati che da italiani, salvo poi clamorose smentite, come nel caso del delitto di Novi Ligure, il 21 febbraio 2001, la cui responsabilità fu inizialmente attribuita ad albanesi, ma che si rivelò poi maturato in ambito familiare. In entrambi i casi i giornali diedero ampio spazio non solo alla notizia, ma alle reazioni emotive di paura e di insicurezza delle persone. Il terribile delitto fu collegato ad episodi di criminalità avvenuti nella zona, creando così la sensazione di un reale problema di criminalità a cui giustamente la gente reagiva con apprensione. Ecco di seguito, come esempio, la chiusura di alcuni articoli sul delitto. Tutti grassetti sono stati aggiunti.
VoxNews, la costruzione di un’opinione ostile
La vox populi, vox dei di VoxNews.
Massimo Gramellini, Poco di buono, ovvero, se non è un immigrato a commettere un delitto, scompare presto dai TG
Agalma, Xenofilia, xenofobia, nn. 7-8, marzo 2004
Attività
1. Viaggi da imparare
2. Le proposte didattiche di Amnesty International
1. Cosa è successo veramente?
Finalità: Acquisire un atteggiamento critico nei confronti delle informazioni date dai media • Riconoscere le informazioni e distinguere i fatti dalle opinioni dei giornalisti • Abituarsi a cercare informazioni da fonti diverse per poterle mettere a confronto • Riconoscere fonti attendibili di informazione nell’uso di Internet.
Gli articoli possono essere riscritti eliminando o modificando ogni parola o frase che suggerisca un commento e aggiungendo commenti di tono opposto.
2. Scrivo una storia
Gli articoli da utilizzare dovrebbero essere il più neutrali possibile e riportare semplicemente i fatti accaduti senza commenti. La storia può essere raccontata anche come intervista con domande e risposte. In questo caso ogni gruppo sceglie al suo interno un/a giornalista e un/a protagonista.
3. Leggo la notizia
4. Mi lascio influenzare?
5. Leggende metropolitane
https://it.pinterest.com/pin/406098091378400240/
https://it.pinterest.com/pin/406098091378400266/
https://it.pinterest.com/pin/406098091378400268/
https://it.pinterest.com/pin/406098091378400235/
https://it.pinterest.com/pin/406098091378400214/
https://it.pinterest.com/pin/406098091378382238/
Commenti recenti