Nel 1948, George Orwell scrisse un romanzo distopico ambientato nel 1984 che fu ascritto al genere della fantascienza
La società immaginata da Orwell era dominata dalla sorveglianza universale del «grande fratello» ed il regime autoritario fondava il proprio controllo imponendo una lingua semplificata, pensata per scongiurare ogni forma di pensiero libero e divergente.
Sotto, i passi più significativi.
Ogni de-gradazione individuale e nazionale si manifesta subito con una degradazione rigorosamente proporzionata al linguaggio.
Joseph De Maistre, Serate di Pietroburgo. Secondo colloquio
Dove si fa violenza al linguaggio è già iniziata la violenza sugli umani.
Italo Calvino, Lezioni americane
Fine specifico della neolingua non era solo quello di fornire … un mezzo espressivo che sostituisse la vecchia visione del mondo e le vecchie abitudini mentali, ma di rendere impossibile ogni altra forma di pensiero
G. Orwell, 1984; Appendice, I principi della Neolingua
La libertà è la libertà di poter dire 2 + 2 = 4. Se questa libertà è garantita, tutto ne segue
G. Orwell, 1984
[…] Accanto a questo si sviluppa […] la tendenza a non credere all’esistenza di una verità oggettiva, perché tutti i fatti devono adattarsi alle parole e alle profezie di qualche führer infallibile
G. Orwell, Lettera del 1944 in cui illustra le tesi che cinque anni dopo inserisce in 1984.
Indice
1. Ignoranza e impossibilità della rivolta
2. Interiorizzazione del dominio e autocensura
3. La neolingua e il processo di soggettivazione nella società autoritaria
4. Gianrico Carofiglio, Distorcere la lingua
1. Ignoranza e impossibilità della rivolta
Una rivolta vera e propria, … è al momento impossibile. Da parte dei proletari, in particolare, non vi è nulla da temere: abbandonati a se stessi, continueranno — generazione dopo generazione, secolo dopo secolo — a lavorare, generare e morire, privi non solo di qualsiasi impulso alla ribellione, ma anche della capacità di capire che il mondo potrebbe anche essere diverso da quello che è.
Potrebbero diventare pericolosi solo se il progresso tecnico-industriale rendesse indispensabile alzare il livello della loro istruzione ma […] il livello di istruzione della popolazione sta in effetti peggiorando. Ciò che le masse pensano o non pensano incontra la massima indifferenza. A loro può essere garantita la libertà intellettuale proprio perché non hanno intelletto [G. Orwell, 1984].
2. Interiorizzazione del dominio e autocensura
Può essere insegnato anche ai bambini, si chiama in neolingua stopreato, e implica la capacità di arrestarsi, come per istinto, sulla soglia di qualsiasi pensiero pericoloso. Comprende anche la capacità di non cogliere le analogie, di non percepire gli errori di logica, di fraintendere le argomentazioni più elementari quando sono contrarie al Socing, oltre a quella di provare noia o ripulsa di fronte a un qualsiasi pensiero articolato che potrebbe portare a posizioni eretiche. In parole povere, lo stopreato è una forma di stupidità protettiva.
La stupidità, però, non è sufficiente. Al contrario, l’ortodossia nel senso più pieno del termine richiede un controllo completo dei propri processi mentali, simile a quello che un contorsionista ha del proprio corpo [Ivi].
3. La neolingua e il processo di soggettivazione nella società autoritaria
La Neolingua era la lingua ufficiale in Oceania ed era stata inventata per venire incontro alle necessità ideologiche del Socing, o Socialismo Inglese. […]
Fine della Neolingua non era soltanto quello di fornire un mezzo di espressione per la concezione del mondo e per le abitudini mentali proprie ai seguaci del Socing, ma soprattutto quello di rendere impossibile ogni altra forma di pensiero.
Era sottinteso come, una volta che la Neolingua fosse stata definitivamente adottata, e l’Archelingua, per contro, dimenticata, un pensiero eretico (e cioè un pensiero in contrasto con i principi del Socing) sarebbe stato letteralmente impensabile, per quanto almeno il pensiero dipende dalle parole con cui è suscettibile di essere espresso.
Il suo lessico era costituito in modo tale da fornire espressione esatta e spesso assai sottile a ogni significato che un membro del Partito potesse desiderare propriamente di intendere. Ma escludeva, nel contempo, tutti gli altri possibili significati, così come la possibilità di arrivarvi con metodi indiretti.
Ciò era stato ottenuto in parte mediante l’invenzione di nuove parole, ma soprattutto mediante la soppressione di parole indesidesiderabili e l’eliminazione di quei significati eterodossi che potevano essere restati e, per quanto era possibile, dei significati in qualunque modo secondari. Daremo un unico esempio. La parola libero esisteva ancora in Neolingua, ma poteva essere usata 30 solo in frasi come «Questo cane è libero da pulci» ovvero «Questo campo è libero da erbacce». Ma non poteva essere usata nell’antico significato di «politicamente libero» o «intellettualmente libero» dal momento che la libertà politica e intellettuale non esisteva più, nemmeno come concetto, ed era quindi, di necessità, priva di una parola per esprimerla.
Ma, a parte la soppressione di parole di carattere palesemente eretico, la riduzione del vocabolario era considerata fine a se stessa, e di nessuna parola di cui si potesse fare a meno era ulteriormente tollerata l’esistenza. La Neolingua era intesa non a estendere, ma a diminuire le possibilità del pensiero; si veniva incontro a questo fine appunto, indirettamente, col ridurre al minimo la scelta delle parole. […]
Tutte le ambiguità e sfumature di significato erano state completamente eliminate. Nei limiti del possibile, una parola in Neolingua appartenente a questa classe era semplicemente una specie di suono staccato che esprimeva una sola idea chiaramente intesa. Sarebbe stato del tutto impossibile usare il Vocabolario per scopi letterari, ovvero per discussioni politiche o filosofiche. Era destinato soltanto a esprimere pensieri semplici e definiti, che chiamassero in causa oggetti concreti e azioni materiali. […]
La parola pensiero, per esempio, non esisteva da sola e in questa forma, in Neolingua. Il suo posto era stato preso dalla parola pensare, che serviva sia per il nome che per il verbo. Non era seguito alcun principio etimologico: in taluni casi era il nome originale che veniva mantenuto, in altri era il verbo.
Non cerano, per esempio, parole come taglio, dal momento che il suo significato era espresso a sufficienza dal nome coltello. Gli aggettivi erano formati mediante l’aggiunta del suffisso evole al nome-verbo, e gli avverbi mediante l’aggiunta del suffisso mente. Così, per esempio, velocitevole, significava «rapido» e velocitamente significava «rapidamente». La parola bene, per esempio, era stata sostituita con buonamente.
Oltre a ciò ogni parola (e questo, per principio, riguardava ogni parola che esistesse nella lingua) si sarebbe potuta rendere negativa aggiungendo l’affisso s, ovvero poteva essere rafforzata con l’affisso plus, o, se si fosse voluto ancor più sottolineare il rafforzamento, con bisplus: così, per esempio, sfreddo significava «caldo», mentre plusfreddo e bisplusfreddo significavano, rispettivamente, so «molto freddo», e «eccezionalmente freddo».
Era anche possibile, come del resto nella lingua attuale, modificare il significato di quasi tutte le parole con le proposizioni ante, post, sopra, sotto ecc. Con simili metodi si era riusciti a realizzare una enorme diminuzione del vocabolario. Si prenda per esempio la parola buono, non c’era bisogno di adoperare la parola cattivo, dal momento che l’identico significato era espresso egualmente bene (e anzi meglio) dalla parola sbuono. […]
La Neolingua, infatti, era distinta da quasi tutte le altre lingue dal fatto che il suo vocabolario diventava ogni giorno più sottile invece di diventare più spesso. Ogni riduzione rappresentava una conquista, perché più piccolo era il campo della scelta e più limitata era la tentazione di lasciar spaziare il proprio pensiero. […] Dai cenni di sopra si comprenderà che in Neolingua l’espressione di opinioni eterodosse al disopra di un bassissimo livello era praticamente impossibile.
[…] Gran parte della letteratura del passato era già stata trasformata in questo modo. Considerazioni di prestigio facevano ritenere opportuno, e anzi in certi casi desiderabile, conservare la memoria di alcune figure storiche, mentre si badava, naturalmente, di mettere al corrente le loro opere con la filosofia del Socing. Numerosi scrittori come, per esempio, Shakespeare, Milton, Swift, Byron, Dickens e qualche altro stavano ancora subendo il trattamento della traduzione ideologica. Una volta che tale lavoro fosse stato completato, i loro scritti originali, assieme a tutto Ciò che sopravviveva della letteratura del passato, sarebbero stati distrutti.
E se i fatti lo negano, bisogna cambiare i fatti. In tal modo la Storia viene continuamente riscritta. Se poi si deve dare un nuovo ordine a ciò che si ricorda o falsificare i documenti scritti, diviene necessario dimenticare di aver agito in quel modo. Si tratta di uno stratagemma che può essere appreso come qualsiasi altra tecnica mentale. Certamente lo apprendono quasi tutti i membri del Partito e tutte le persone intelligenti e perfettamente osservanti dell’ortodossia. In archelingua un simile procedimento viene definito, in maniera affatto esplicita, “controllo della realtà”; in neolingua viene detto bipensiero, anche se questo termine abbraccia molto altro. Il bipensiero implica la capacità di accogliere simultaneamente nella propria mente due opinioni tra loro contrastanti, accettandole entrambe.”
E’ possibile far si che 2+2 = 5 ?
O’Brien: «Sei lento nell’apprendere, Winston» disse O’Brien con dolcezza.
Winston «Ma come posso fare a meno…» piagnucolò «come posso fare a meno di vedere quello che ho davanti agli occhi? Due più due fa quattro.»
O’Brien «A volte, Winston. A volte fa cinque, a volte tre. A volte fa cinque, quattro e tre contemporaneamente. Devi sforzarti di più. Non è facile diventare sani di mente».«Lo sai dove ci troviamo, Winston?» chiese.
«Non lo so. Nel Ministero dell’Amore, immagino.»
«Lo sai da quanto tempo sei qui?»
«Non so, giorni, settimane, mesi… penso che siano passati dei mesi.»
«E secondo te per quale motivo portiamo le persone in questo posto?»
«Per farle confessare.»
«No, non è questo il motivo. Riprova.»
«Per punirle.»
«No!» gridò O’Brien. Il tono della voce era mutato in maniera impressionante, mentre il volto gli si era animato e indurito allo stesso tempo.
«No! Certo non allo scopo banale di estorcerti una confessione o di punirti.
Vuoi che ti dica perché ti abbiamo portato qui? Per curarti! Per farti riacquistare la ragione! Ma lo vuoi capire, Winston, che nessuno di quelli che cadono in mano nostra esce di qui senza essere stato guarito? A noi non interessano minimamente quei crimini stupidi che hai commesso. Al Partito i fatti manifesti non interessano. L’unica cosa che ci sta a cuore è il pensiero.
Noi non ci limitiamo a distruggere i nostri nemici, noi li cambiamo. Hai capito che cosa intendo dire con queste parole?»O’Brien accennò un sorriso: «… Non ho forse appena finito di dire che noi siamo diversi dai persecutori del passato? Non ci accontentiamo dell’obbedienza negativa, e meno che mai di una sottomissione avvilente. Quando infine ti arrenderai a noi, ciò dovrà avvenire di tua spontanea volontà. Noi non distruggiamo l’eretico per il fatto che ci resiste. Anzi, finché ci resiste non lo distruggiamo. Noi lo convertiamo, penetriamo nei suoi recessi mentali più nascosti, lo modelliamo da cima a fondo.
Estinguiamo in lui tutto il male e tutte le illusioni, lo portiamo dalla nostra parte, anima e corpo, in conseguenza di una scelta sincera, non di mera apparenza […]. In passato l’eretico si avviava con gioia al rogo, conservando tutta la sua eresia, anzi proclamandola. Perfino la vittima delle purghe sovietiche poteva tenere ben serrata nel cranio la sua ribellione mentre percorreva il corridoio diretto al luogo dove un proiettile gli avrebbe dato il colpo di grazia. Noi, invece, prima di farlo saltare rendiamo questo cervello perfetto. Il comandamento dei dispotismi di una volta era: “Tu non devi!”. Il comandamento dei totalitari era: “Tu devi!”. Il nostro è: “Tu sei!” [Ivi].
Le sole emozioni destinate a esistere nel nostro mondo saranno la paura, la collera,l’esaltazione e l’umiliazione. Tutto il resto lo distruggeremo [Ivi].
4. Gianrico Carofiglio, Distorcere la lingua
Ne La manomissione delle parole, Carofiglio ha mostrato come la ricchezza di una lingua sia anche proporzionale al grado di democrazia di cui cui gode la comunità dei suoi parlanti e come il linguaggio possa essere modellato strumentalmente da chi detiene mezzi di influenza per imporre la visione del mondo più congeniale allo status quo.
Gustavo Zagrebelsky ha detto:
Il numero di parole conosciute e usate è direttamente proporzionale al grado di sviluppo della democrazia e dell’uguaglianza delle possibilità. Poche parole e po- 5 che idee, poche possibilità e poca democrazia; più sono le parole che si conoscono, più ricca è la discussione politica e, con essa, la vita democratica.
In nessun altro sistema di governo le parole sono importanti come in democrazia: la democrazia è discussione, è ragionamento comune, si fonda sulla circolazione delle opinioni e delle convinzioni. E lo strumento privilegiato di questa circolazione sono le parole.
Il rapporto fra ricchezza delle parole e ricchezza di possibilità (e dunque di democrazia) è dimostrato anche dalla ricerca scientifica, medica e criminologica: i ragazzi più violenti possiedono strumenti linguistici scarsi e inefficaci, sul piano del lessico, della grammatica e della sintassi. Non sono capaci di gestire una conversazione, non riescono a modulare lo stile della comunicazione – il tono, il lessico, l’andamento – in base agli interlocutori e al contesto. Non sanno sentire, non sanno nominare le proprie emozioni. Spesso non sanno raccontare storie. […] La povertà della comunicazione, insomma, si traduce in povertà dell’intelligenza, in doloroso soffocamento delle emozioni.
«I limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo» ha scritto Ludwig Wittgenstein: la caduta del linguaggio, si può arrivare a dire, è la caduta dell’uomo. […] L’abbondanza, la ricchezza delle parole è dunque una condizione del dominio sul reale: e diventa, inevitabilmente, strumento del potere politico. Per questo è necessario che la conoscenza, il possesso delle parole siano esenti da discriminazioni, e garantiti da una scuola eguale per tutti.
Ma il numero delle parole conosciute non ne esaurisce lo straordinario potere sugli uomini e sulle cose. Un ulteriore segnale del grado di sviluppo di una democrazia e, in generale, della qualità della vita pubblica si può desumere dalla qualità delle parole e dal loro stato di salute, da come sono utilizzate, da quello che riescono a significare. […] Socrate, negli ultimi istanti della sua vita, raccomanda a Critone:
«Tu sai bene che il parlare scorretto non solo è cosa per sé sconveniente, ma fa male anche alle anime».
E tuttavia il «parlare scorretto», la progressiva perdita di aderenza dei so concetti alle cose è un fenomeno sempre più diffuso, in forme ora nascoste e sottili, ora palesi e drammaticamente visibili. […]
Ecco le parole della Nobel Lecture di Toni Morrison [scrittrice afro-americana che vinse il Nobel per la letteratura nel 1993, NDR] e la sua riflessione sul concetto di lingua morta:
«Il linguaggio oppressivo non si limita a rappresentare la violenza: è violenza. Non si limita a rappresentare i confini della conoscenza: confinala conoscenza.Che si tratti del linguaggio ottenebrante del potere e del linguaggio menzognero di stolidi mezzi di comunicazione; che sia il linguaggio tronfio ma ossificato dell’accademia o il linguaggio meramente funzionale delle scienze; che si tratti del linguaggio malefico della legge priva di etica, o del linguaggio pensato per l’esclusione e l’alienazione delle minoranze, che occulta la sua violenza razzista sotto una facciata di cultura – il linguaggio dell’oppressione deve essere respinto, modificato e smascherato. È il linguaggio che succhia il sangue, blandisce chi è vulnerabile, infila i suoi stivali fascisti sotto crinoline di rispettabilità e patriottismo, mentre si muove incessantemente fino all’ultima riga, fino all’ultimo angolo della mente svuotata. Il linguaggio sessista, il linguaggio razzista, il linguaggio fideistico – sono tutte forme del linguaggio del controllo e del potere, e non possono consentire, non consentono nuova conoscenza, né promuovono lo scambio reciproco di idee».
[…] George Steiner ha osservato che le ideologie cosiddette competitive, come il nazismo, non producono lingue creative e solo di rado elaborano nuovi termini: molto più spesso «saccheggiano e decompongono la lingua della comunità», manipolandola e usandola come un’arma. […] Czeslaw Milosz, il poeta polacco che sperimentò la persecuzione e l’esilio, osservava:
Chiunque detenga il potere può controllare anche il linguaggio, e non solo con le proibizioni della censura, ma cambiando il significato delle parole.
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