E’ terribile pensare che il mondo potrebbe un giorno essere pieno di nient’altro
che di piccoli denti di ingranaggio, di piccoli uomini
aggrappati a piccole occupazioni che ne mettono in moto altre più grandi […].
Questo affanno burocratico porta alla disperazione […]
e il mondo potrebbe un giorno conoscere nient’altro che uomini di questo stampo:
è in un’evoluzione di tal fatta che noi ci troviamo già invischiati,
e il grande problema non verte quindi sul come sia possibile
promuoverla e accelerarla,
ma sui mezzi – viceversa – da opporre a questo meccanismo,
al fine di serbare una parte dell’umanità da questo smembramento dell’anima,
da questo dominio assoluto di una concezione burocratica della vita.
Max Weber riflette sulla “gabbia d’acciaio” della modernità in occasione di una riunione del Verein für Sozialpolik, 1909
Indice
1. La nascita della «sociologia comprendente»
2. L’azione sociale
3. L’idealtipo
4. L’avalutatività
5. La teoria della stratificazione sociale
6. Le origini culturali della modernizzazione
6.1 Il disincantamento del mondo
6.2 L’etica protestante e lo spirito del capitalismo
1. La nascita della «sociologia comprendente»
Nato da una facoltosa famiglia di industriali, Weber si trovò immerso fin dall’infanzia nel clima intellettuale del cosiddetto storicismo tedesco, i cui protagonisti frequentavano il salotto di sua madre.
Questi intellettuali animavano una polemica antipositivistica nel contesto delle scienze dell’uomo, insistendo sulla rilevanza degli aspetti storici ed ermeneutici che rendono i fatti umani essenzialmente diversi da quelli studiati dalle scienze dure, fatti che si tratta essenzialmente di spiegare e di comprendere, più che di descrivere e misurare.
Anziché sposare fedelmente le tesi storiciste, Weber fuse nell’approccio originale della sociologia comprendente elementi ermeneutici e positivisti, dando rilievo alla soggettività e al senso che gli attori sociali attribuiscono alle loro azioni, ma prefiggendosi la più ampia generalizzazione dei risultati, attraverso una fondamentale riflessione sul metodo delle scienze storico-sociali.
All’inizio della sua attività di studioso, fu in contatto con il circolo dei cosiddetti «socialisti della cattedra» per il quale svolse una ricerca empirica sulla condizione dei contadini della Prussia orientale, con la quale poté confrontare la proprietà agricola tradizionale con quella capitalistica.
Nel 1903 divenne direttore dell’«Archiv für Sozialwissenschaft», rivista intorno alla quale si creò un importante dibattito che coinvolse, tra gli altri, Simmel e Lukàcs.
Nel 1918 fu tra i delegati tedeschi a Versailles per la firma del trattato di pace, quindi consulente dei redattori della Costituzione della Repubblica di Weimar. Morì prematuramente per le conseguenze della pandemia influenzale (la spagnola) che colpì milioni di persone dopo la Grande Guerra, lasciando incompiuto il capolavoro Economia e società.
2. L’azione sociale
Per agire sociale si deve […] intendere un agire che sia riferito – secondo il suo senso,
intenzionato dall’agente o dagli agenti – all’atteggiamento di altri individui, e orientato nel suo corso in base a questo.
Max Weber, Economia e società
Per Weber, l’oggetto specifico della sociologia sono le azioni sociali, cioè quei comportamenti individuali che hanno senso sociale, perché rivolti agli altri o alla collettività.
Per agire socialmente non è sufficiente (o indispensabile) trovarsi in presenza degli altri, occorre interagire intenzionalmente con essi. Basti pensare alla differenza esistente tra un semplice aggregato di individui, formato, ad esempio, da un certo numero di individui che aspetta l’autobus alla fermata, e un gruppo di persone che interagisce consapevolmente, come avviene in una classe scolastica, un partito politico o nello stesso gruppo di viaggiatori se, infastiditi per il ritardo dell’autobus, decidono di scrivere una lettera di protesta all’azienda comunale dei trasporti.
Prima di Weber, Comte aveva guardato alla società nel suo complesso, considerandola un organismo e distinguendovi una struttura e una dinamica; Marx aveva centrato l’attenzione sulle classi sociali, sulle disuguaglianze e i conflitti tra classi; Durkheim aveva colto che la società è al tempo stesso fuori degli individui e dentro di essi, concentrandosi però sul lato esterno, sulle realtà e sui fatti sociali.
Anche Weber osserva le strutture, i processi sociali e i fatti sociali, ma gli elementi fondamentali della sua sociologia sono le azioni individuali dalla cui comprensione la ricerca sociologica comincia sempre.
L’azione sociale è tale solo in quanto è dotata di senso, cioè ha una motivazione che è presente a chi la compie.
In base a tale motivazione, si può agire socialmente:
1. in modo razionale rispetto allo scopo [l’individuo utilizza oggetti del mondo esterno e altri uomini come mezzi per scopi voluti e considerati razionalmente];
2. in modo razionale rispetto al valore [l’individuo agisce consapevolmente in base a credenze o valori etici, estetici, religiosi, prescindendo dalle conseguenze;
3. affettivamente [l’azione è motivata da affetti e stati del sentire];
4. tradizionalmente [l’azione è spiegata da un’abitudine acquisita].
Nella società capitalistico-industriale prevale il tipo di razionalità orientato allo scopo, cioè una razionalità strumentale che guarda all’efficienza dei mezzi più che al valore del fine.
L’esattezza del calcolo ai fini della produttività diventa lo scopo fondamentale in base al quale ci si comporta in modo formalmente razionale.
La razionalità viene a identificarsi con l’organizzazione burocratica, efficientista, nella quale non possono entrare considerazioni di carattere personale e di benessere collettivo. In questo tipo di razionalità, i rapporti tra gli uomini sono retti da principi economici inderogabili e oggettivi, la spersonalizzazione dei rapporti ne è un tratto caratteristico ed essenziale.
3. L’idealtipo
Secondo Weber, le azioni sociali devono essere studiate rintracciando il senso attribuito ad esse dagli attori sociali.
Ma, affinché i risultati ottenuti abbiano rilevanza scientifica, l’interpretazione non può ridursi alla descrizione di singoli casi, deve invece permettere generalizzazioni che consentano di elaborare spiegazioni e teorie.
Ciò che si ricava dalla comprensione delle azioni sociali è, per Weber, il tipo ideale (idealtypus), cioè un particolare modello concettuale non corrispondente a nessuno dei casi particolari studiati, ma in grado di spiegarli tutti.
«Il tipo ideale rappresenta un quadro concettuale che non è la realtà storica, e neppure la realtà ‘vera e propria’, ma tuttavia serve né più né meno come schema in cui la realtà deve essere sussunta come esempio; esso ha il significato di un puro concetto-limite ideale, a cui la realtà deve essere misurata e comparata, al fine di illustrare determinati elementi significativi del suo contenuto empirico [Weber, Il metodo delle scienze storico-sociali].
Ad esempio, studiando le azioni sociali dei protestanti Weber ha ricostruito il tipo ideale dell’etica protestante, entrando nelle interazioni dei commercianti e degli imprenditori che agiscono secondo il principio della libera concorrenza ha ricavato quello dell’economia di scambio, ecc.
Nella metodologia weberiana, il tipo ideale è l’elemento di congiunzione tra comprensione (storicista) e spiegazione (positivista), ricostruzione dei fatti sociali dall’interno dei vissuti individuali e teoria della società. È, quindi, la nozione fondamentale della sociologia comprendente.
Nella realtà il tipo ideale non si trova praticamente mai, non solo perché in quanto tipico è un’esagerazione concettuale [è cioè ottenuto estremizzando e isolando tratti ritenuti caratteristici], ma anche perché di solito un soggetto concreto è il risultato della mescolanza di più tipi ideali.
Poiché è un concetto puro, un modello, il quadro idealtipico non può, quindi, essere incontrato nella realtà, ma è un’astrazione che il sociologo utilizza per valutare la maggiore o minor distanza di ogni singolo caso storico dal quadro ideale e stabilire correlazioni tra fenomeni.
Restando nell’uso dell’idealtipo che Weber ha fatto per studiare l’etica protestante, la morale del singolo protestante o di una comunità di protestanti difficilmente sarà uniforme e avrà, accanto ad aspetti dell’etica protestante, elementi di altre concezioni del bene e del male, riconducibili ad altri tipi ideali. Disponendo degli idealtipi di capitalismo e di etica protestante, si potrà inoltre collegare lo sviluppo del capitalismo al sorgere dell’etica protestante.
3.1 Gli idealtipi di potere
[Il potere] è la possibilità per specifici comandi di trovare obbedienza da parte di un determinato gruppo di uomini.
Max Weber, Economia e società
In una celebre analisi di Economia e società, Weber ha evidenziato come l’esercizio del potere non possa reggersi esclusivamente sulla coercizione, sugli interessi materiali o sui sentimenti, ma abbia bisogno di legittimazione [in assenza di legittimazione siamo infatti davanti alla potenza, cioè alla forza bruta, non al potere].
L’esperienza mostra che nessun potere può accontentarsi per sua volontà di fondare la propria permanenza su motivi esclusivamente affettivi o razionali rispetto al valore. Ogni potere cerca piuttosto di suscitare e di coltivare la fede nella propria legittimità [Economia e società].
Lo studioso ha mostrato, in proposito, che se gli individui non fossero diffusamente convinti della legittimità dell’autorità che li governa, la rovescerebbero.
Ci sono casi in cui i capi continuano a comandare anche quando sono delegittimati, perché manca legittimità a chi organizza la ribellione; in questo caso, il potere si regge per la debolezza di tutte le parti in campo.
Weber distingue tre tipi di potere, a seconda del tipo di legittimità operante. Il potere razionale si appella alle leggi e
«poggia sulla credenza nella legalità di ordinamenti statuiti e del diritto a comandare di coloro che in base ad essi sono chiamati a esercitare il potere».
Il potere tradizionale si richiama al passato e
«poggia sulla credenza quotidiana nel carattere sacro delle tradizioni valide da sempre, e nella legittimità di coloro che sono chiamati a rivestire un’autorità».
Infine il potere carismatico fa leva sull’eccezionale valore del capo in qualche campo,
«poggia sulla dedizione straordinaria al carattere sacro o alla forza eroica o al valore esemplare di una persona».
Tutti e tre i tipi di potere (o la legittimazione con cui si identificano) presentano elementi di forza e di debolezza. Il capo carismatico dispone di un ascendente sui suoi sottoposti, ma è costretto a tenere alta la propria reputazione per non veder declinare il proprio potere ed essere soppiantato da altri.
Il capo tradizionale non ha bisogno di coltivare il proprio diritto a comandare, ma deve vigilare sull’interpretazione delle tradizioni per evitare che cortigiani, sacerdoti, intellettuali e potenti le interpretino in modo da redistribuire il potere e trarne vantaggio. Il controllo del capo deve essere attento e non oppressivo, perché se forza eccessivamente la lettura del passato rischia di trasformarsi in tiranno e può essere rovesciato.
Chi ha un’autorità razionale sa che le persone sono intercambiabili e che il ruolo resta distinto dalla persona, il che affievolisce l’importanza del singolo capo. Laddove si impongono le leggi, esiste inoltre un controllo diffuso, per cui chiunque può riscontrare irregolarità ed esautorare chi comanda.
Come per ogni idealtipo, nella realtà i tre tipi di potere non si danno, di norma, in forma pura, ma si trovano intrecciati: basta guardare l’espressione autorevole del capo Dakota [il capo Sioux, sopra ritratto nel 1899] che fonde in modo evidente potere tradizionale e carismatico o pensare al tipo di potere ripuffato dalla società dei puffi (anch’esso carismatico-tradizionale).
4. L’avalutatività
Una riflessione metodologica fondamentale è quella dedicata da Weber all’avalutatività (Wertfreiheit), termine che allude all’impossibilità per la scienza di fondare i giudizi di valore.
Per essere tale, il giudizio scientifico deve infatti essere wertfrei cioè, appunto, libero da giudizi di valore, poiché la sua validità dipende soltanto da giudizi di fatto.
La corretta collocazione dell’avalutatività nella sociologia di Weber richiede particolare attenzione.
Lo studioso è infatti convinto che la relazione con il valore sia inevitabile e condizione imprescindibile di qualsiasi ricerca, visto che lo sguardo del ricercatore è sempre orientato, ma che questa «relazione di valore» con i fatti, non vada in alcun modo confusa con il «giudizio di valore» sugli stessi.
«Ciò che per noi ha significato non può naturalmente essere determinato attraverso alcuna indagine del dato empirico che sia condotta “senza presupposti”, al contrario, la determinazione di ciò è il presupposto per stabilire che qualcosa diventi oggetto di conoscenza. […] La cultura è una sezione finita dell’infinità priva di senso del divenire del mondo a cui è attribuito senso e significato dal punto di vista dell’uomo […].
Il concetto di cultura è un concetto di valore: la realtà empirica è per noi «cultura» in quanto la poniamo in relazione con idee di valori; essa abbraccia quegli elementi di realtà che diventano per noi significativi in base a quella relazione. Una ristretta parte della realtà individuale attualmente considerata è investita dal nostro interesse, condizionato da quelle idee di valore, ed essa soltanto ha significato per noi, e lo ha in quanto ci mostra delle relazioni che sono per noi importanti per la loro connessione con idee di valore» [Il metodo delle scienze storico-sociali].
Come si vede, Weber sostiene che la cosiddetta realtà oggettiva è caos senza senso e che senza una «selezione dall’infinità priva di senso» di tutto ciò che accade nel mondo, la conoscenza è semplicemente impossibile.
La realtà che lo scienziato indaga è sempre mediata culturalmente, perché può essere studiata e compresa solo in relazione a una scala di valori che indichi quali elementi scegliere in questo caos e quali significati attribuire a tali eventi.
I valori a cui lo studioso può fare appello, inoltre, non sono universali, ma storicamente, socialmente ed anche individualmente relativi, tanto più nell’epoca moderna che è socialmente stratificata e dunque caratterizzata da politeismo dei valori.
Weber non nega la spiegazione causale del fenomeni storico-sociali, ma poiché le cause sono infinite, non vi è alcuna possibilità di esaurire la spiegazione di un fenomeno umano attraverso l’individuazione delle sue cause. Di qui la critica al materialismo storico, efficace quale strumento euristico, ma eccessivamente ambizioso se intende esaurire il significato complessivo della storia.
In conclusione, lo scienziato non può far a meno di valutare, visto che sceglie di quale problema occuparsi e isola gli elementi che ritiene rilevanti per costruire idealtipi che selezionano e accentuano alcuni aspetti, scartandone e minimizzandone altri, ma questa relazione costitutiva con il valore non deve essere sovrapposta al giudizio di valore, cioè alla scelta etica.
L’essere deve restare separato dal dover essere, l’osservazione dei fatti deve restare distinta dalle scelte e dalla prassi politica. Compito del ricercatore è descrivere e spiegare la realtà nei limiti dell’orizzonte che si è dato; egli deve rifiutarsi di sindacare o confermare i giudizi di valore, e giudicare i propri risultati esclusivamente in base agli obiettivi che si prefigge.
Weber polemizza in questo modo con la sociologia di Saint-Simon e di Comte che si voleva impegnata a sostituire la politica con l’oggettività del giudizio scientifico, ma anche con Marx che fondeva l’analisi teorica con la prassi politica con il risultato, agli occhi di Weber, di assolutizzare la prospettiva interpretativa del materialismo storico e scivolare nel dogmatismo.
5. La teoria della stratificazione sociale
Weber subì, per molti aspetti, l’influenza di Marx, con cui tutta la sua sociologia si confronta criticamente.
La sua concezione della società si discosta conseguentemente dall’idea durkheimiana o comtiana di un organismo ben ordinato e funzionante, mentre tende a concepirla come un teatro di lotte e di conflitti in cui si agitano forze contrastanti.
La struttura sociale è caratterizzata dalla stratificazione, cioè da una diseguaglianza strutturata in gruppi e categorie sociali disposti in ordine gerarchico, come strati sovrapposti.
Mentre per Marx la divisione in classi dipende da condizioni strutturali, rispecchiando la distribuzione della proprietà e della ricchezza in seno alla società, Weber pensa che alla base della stratificazione ci sia l’azione sociale dei singoli che creano divisioni e distinzioni attraverso le loro interazioni quotidiane.
Gli individui tendono infatti ad aggregarsi sulla base di determinate caratteristiche, legate al censo, al potere e alla cultura, formando gruppi esclusivi, da cui è tenuto fuori chi non ha i requisiti richiesti.
La stratificazione sociale è quindi per Weber il risultato della dinamica di aggregazione ed esclusione dei molteplici gruppi che creano gerarchie sociali in base alla classe, al ceto e alla cultura, fattori che si influenzano reciprocamente l’un l’altro.
6. Le origini culturali della modernizzazione
6.1 Il disincantamento del mondo
Weber ha dedicato un impegno significativo allo studio della modernizzazione e della sua genesi storica.
Secondo il sociologo, la nascita del capitalismo è stata possibile grazie a premesse culturali poste alcuni secoli prima dell’industrializzazione.
L’industrializzazione è stata infatti preparata da un processo graduale che ha reso la vita sociale sempre più razionale e prevedibile, in un cammino di disincantamento del mondo in cui si è data sempre meno importanza ai fatti mitici e soprannaturali, alle questioni personali e particolari, mentre acquistava rilievo crescente una visione distaccata e impersonale fondata sulle regole e sulla ragione.
Weber individua due momenti fondamentali nella storia del disincantamento: la nascita delle grandi religioni mondiali e l’avvento della burocrazia nelle organizzazioni statali.
Le grandi religioni, infatti, hanno introdotto la fondamentale distinzione tra naturale e soprannaturale, sfera terrena e sfera spirituale, accantonando la visione magico-animistica che spiegava i fatti del mondo con l’intervento degli dei o di forze soprannaturali.
Separato dalla sfera spirituale, il mondo è così diventato oggetto di spiegazione razionale.
Inoltre, la natura monoteistica (un unico Dio) e universalistica (padre di tutti gli uomini) delle grandi religioni ha esteso i confini entro i quali gli altri vengono considerati nostri simili, ponendo le premesse per l’avvio di scambi economici su larga scala.
Weber scorge nell’universalismo delle grandi religioni il germe della globalizzazione tipica dell’economia moderna.
La burocratizzazione delle organizzazioni politiche si è imposta perché più efficiente del precedente sistema patriarcale di gestione che si basava sui rapporti personali con i propri collaboratori e confondeva beni dello Stato e beni privati.
Con l’organizzazione burocratica del governo i funzionari hanno ruoli precisi, seguono procedure stabili e sono stipendiati, per cui beni privati e beni pubblici restano distinti. Secondo Weber la burocratizzazione inizia già nell’antico Egitto, ma si consolida ad opera della Chiesa sotto il Sacro romano impero e ancor più con le grandi monarchie europee.
6.2 L’etica protestante e lo spirito del capitalismo
L’altra grande matrice dello spirito capitalista è l’etica protestante, in particolare le credenze e l’etica del lavoro della parte puritana del mondo protestante.
I calvinisti erano infatti orientati nei loro affari mondani – dal lavoro, alla produzione, all’accumulazione dei beni – dalla loro convinzione nella predestinazione alla salvezza.
Nella visione calvinista, l’uomo è impotente a determinare il futuro della propria anima poiché, macchiato dal peccato, può essere salvato solo dalla grazia che Dio dona ai propri eletti identificati con un disegno imperscrutabile.
Nell’impossibilità di conoscere la propria designazione di predestinati alla salvezza, aspetto intorno a cui ruotava l’intera vita del fedele, i calvinisti trovavano conferma della grazia nei segni inequivocabili del favore divino con i quali Dio benediceva il frutto del loro lavoro, prodotto non per il fine terreno dell’arricchimento, ma ad maiorem Dei gloriam, in lode e per la maggior gloria di Dio.
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