Il caso di Elizabeth von R. è interessante perché è il primo in cui Freud fa a meno dell’ipnosi e perché introduce al caso di Dora il cui approccio da parte di Freud può essere considerato un vero e proprio trattamento psicoanalitico. Tratto da Sublimazioni di Saverio Tomaselli con integrazioni e modifiche.
Freud prese in cura Elisabeth von R. per dei dolori alle gambe che le si erano presentati due anni prima. Anche se nella paziente non emerge il quadro clinico tipico dell’isteria, dopo alcune sedute Freud confermò la diagnosi d’isteria fatta dal collega che gli aveva inviato la paziente. L’anamnesi del caso aveva evidenziato una serie d’eventi dolorosi che la paziente dava l’impressione d’aver assorbito, riuscendo a vivere con sufficiente serenità: la “belle indifference” delle isteriche, aveva pensato Freud.
I motivi che lo avevano spinto a non servirsi dell’ipnosi, risiedevano, tra l’altro, nella convinzione che la paziente era a conoscenza di ciò che aveva determinato la malattia; si trattava, quindi, di convincerla a rivelare questo suo segreto. Ecco come Freud descrive il trattamento:
“Così, in questa prima analisi completa di un’isteria da me intrapresa, arrivai ad un procedimento che in seguito ho eretto a metodo e introdussi deliberatamente un procedimento di svuotamento strato per strato, che ci piaceva paragonare alla tecnica del dissotterrare una città sepolta. Mi facevo, anzitutto, narrare ciò che era noto alla paziente, badando con attenzione ai punti in cui un nesso rimaneva enigmatico, in cui sembrava mancare un anello nella catena delle cause, e penetravo poi negli strati più profondi della memoria, facendo agire in quei punti l’esplorazione ipnotica o una tecnica equivalente”.
Dopo aver raccontato la sua storia personale – i cui eventi maggiori erano la morte del padre che amava teneramente, la malattia agli occhi della madre, il matrimonio della sorella maggiore, che aveva determinato attriti tra lei ed il cognato e, finalmente, il matrimonio dell’altra sorella che aveva portato un po’ di serenità nella famiglia, per la sensibilità e correttezza di questo cognato – la paziente avrebbe dovuto circoscrivere il suo racconto agli eventi della sua vita, relativi al fatto specifico dei dolori alle gambe. A questo punto però insorgevano le prime difficoltà: Freud avrebbe voluto ipnotizzare la paziente e, in questo stato di coscienza allargata, chiederle a quale impressione psichica era collegato il primo apparire dei dolori alle gambe, ma, nonostante i suoi tentativi, la paziente non entrava in trance.
Per superare l’ostacolo, egli mise in atto l’artificio usato con successo con Miss. Lucy, una paziente il cui caso è anch’esso incluso negli Studi sull’isteria. La tecnica consisteva nel poggiare le mani sul capo della paziente assicurandole che, in seguito a questa pressione, le sarebbe venuto in mente qualcosa. Il primo ricordo d’Elisabeth si riferì ad una serata trascorsa con un giovane al tempo in cui era ricoverato. Era stata una serata piacevole che aveva interrotto ed alleviato il suo duro compito d’infermiera. I sentimenti di simpatia e affetto verso questo giovane, che conosceva da molto tempo, quella sera avevano raggiunto una particolare intensità al punto da pensare ad un eventuale matrimonio con lui. Purtroppo, durante l’assenza della paziente, il padre si era aggravato, ed il fatto aveva determinato nella giovane forti sentimenti di colpa; da quel momento decise di non abbandonare più il padre e diradò i rapporti col giovane fino a non vederlo più. Freud pose molta attenzione all’episodio; riteneva, infatti, che qui andasse cercata l’origine dei suoi primi dolori isterici:
“Il contrasto tra la beatitudine a cui allora si era abbandonata e la miseria del padre, ritrovata a casa, costituiva un conflitto, un caso d’incompatibilità. Il risultato del conflitto fu che la rappresentazione erotica venne rimossa dall’associazione, e l’affetto ad essa collegato venne impiegato per esaltare o ravvivare un dolore somatico che si era prodotto contemporaneamente (o poco prima). Si trattava, quindi, di una conversione a scopo di difesa […]”.
A partire dall’analisi di quest’episodio, Freud riferisce un periodo fruttuoso della cura. La paziente, infatti, coglie il nesso tra il punto della gamba da cui partivano i suoi dolori, alla coscia destra, ed il fatto che il padre appoggiava tutte le mattine proprio in quel punto la sua gamba malata, per essere medicato. In questa fase d’abreazione [abreazione: scarica emozionale con funzione catartica che emerge durante la terapia psicanalitica, NDR], Freud osservò un sensibile miglioramento della paziente. Non riusciva però a trovare la determinazione psichica dei dolori alla gambe. Continuando ad utilizzare la tecnica della pressione alla testa, veniva sempre più a conoscenza di particolari riservati della vita della paziente.
A questo punto, rileviamo che la tecnica utilizzata da Freud non sempre era di facile applicazione. C’erano dei momenti in cui la paziente riferiva che non le veniva in mente alcuna scena. L’espressione del suo viso tradiva però un certo disagio, un conflitto evidente, che diede a Freud la certezza che mentiva, sia pure in buona fede, per effetto di forti resistenze. Perciò Freud ribadì con sicurezza alla paziente che tutte le volte che le avrebbe poggiato le mani sulla testa si sarebbe presentata un’immagine, un ricordo, invitandola a riferire quanto si presentava alla sua mente, senza censurare o banalizzare ciò che aveva pensato; qualsiasi cosa sarebbe stata importante ed avrebbe avuto attinenza con l’analisi.
Proseguendo nello studio del caso, Freud scoprì un certo interessamento della paziente per il marito della sorella: lei invidiava, affettuosamente, il rapporto d’amore tra il cognato e la sorella; si era perfino riconciliata con l’idea del matrimonio che non l’aveva mai particolarmente allettata. La simpatia per il cognato, peraltro, non era un segreto; anche i familiari ne erano a conoscenza, e la sorella, un giorno, aveva osservato che i due cognati sarebbero stati una bella coppia. Raccontando certi episodi, la paziente non sembrava rendersi conto a «quale spiegazione stesse arrivando e proseguiva nella riproduzione delle sue reminiscenze». Finalmente si arrivò alla fase culminante che coincise con la rievocazione della morte della sorella.
Nel raccontare l’evento, la paziente descrisse con molta precisione i suoi sentimenti d’angoscia quando apprese la notizia che la sorella stava male: rivide col pensiero il suo viaggio tormentoso verso l’abitazione della sorella, i tristi pensieri nell’attesa di vederla ed infine il momento in cui entrò nella sua stanza e la vide morta e…
“in quell’istante, dunque, era sfrecciato attraverso il cervello d’Elisabeth un altro pensiero, che ora si ripresentava inevitabilmente, come un lampo nella oscurità: «Adesso egli è nuovamente libero, ed io posso diventare sua moglie». Adesso sì che tutto era chiaro. La fatica dell’analisi era stata ampiamente premiata. Le idee della difesa, tutto ciò mi si presentò davanti agli occhi, in modo tangibile”.
A questa rievocazione seguì un periodo difficile per la paziente. In un primo momento, cercò di negare tutto ciò che aveva raccontato, accusando Freud d’averle suggerito la conclusione dei suoi pensieri; in seguito, per la rassicurazioni ripetute di Freud, si calmò e il trattamento poté proseguire con meno scosse fino alla conclusione finale.
La fine della terapia fu caratterizzata da reazioni aggressive nei confronti della madre che cercava, per suggerimento di Freud, di assistere la figlia nelle sue faccende di cuore. A parte questo ci fu un’accentuazione della sintomatologia ed un rifiuto di farsi rivisitare da Freud. Tuttavia, due mesi dopo, egli venne a sapere dal medico che gli aveva inviato la paziente che lei stava bene fisicamente e dimostrava un buon equilibrio.
Si può osservare come questo caso si differenzi da quello di Anna O., per la diversa tecnica impiegata. Breuer, con la sua paziente, utilizzava gli stati d’autoipnosi, oppure provocava in lei lo stato ipnotico per determinare la riproduzione di quegli eventi che, siccome la prima volta erano stati vissuti passivamente, senza partecipazione emotiva, avevano incapsulato l’affetto connesso ad essi, convertendolo poi in sintomo. Ora, stimolando la paziente a rivivere l’evento con tutto il coinvolgimento possibile, Breuer consentiva alla paziente d’abreagirlo.
Freud, invece, con Elisabeth von R. fece a meno dell’ipnosi e, ricorrendo alla suggestione della pressione delle mani sul capo, la spingeva ad associare eventi ed idee connesse al sintomo che, non solo provocavano una salutare abreazione, ma consentivano la chiarificazione della dinamica endopsichica che sottendeva il sintomo. Non si tratta di psicoanalisi vera e propria, mancando l’interpretazione dei sogni e l’analisi del transfert, ma c’è un abbozzo d’analisi delle resistenze.
Ad ogni modo, si può osservare che il caso d’Elisabeth von R. è stato istruttivo per Freud anche a proposito del meccanismo specifico della traslazione. Non gli è sfuggita la reazione d’aggressività ed ostilità della paziente nei suoi confronti, oltre che la recrudescenza dei sintomi subito dopo la fine della terapia. Questo aspetto dell’analisi sarà affrontato successivamente con particolare attenzione da Freud e rimarrà un permanente oggetto di studio.
Esercitazione
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