Il cervello è ancora tutto da svelare e, nei prossimi anni, lo Human Brain Project in Europa e Brain negli Stati Uniti, cercheranno di comprendere quali sono i meccanismi che ne regolano il funzionamento. È già possibile però, sfatare molte false convinzioni su di esso.
Utilizziamo solo il 10% del nostro cervello
Questa affermazione è priva di qualsiasi fondamento. La sua origine potrebbe essere legata ad una delle tante citazioni di Einstein. Ma anche, forse, a ciò che scrisse William James, che a proposito del cervello sosteneva che utilizziamo solo una piccola parte delle nostre risorse mentali, ma anche agli studi di Karl Lashley che tra gli anni 20 e 30 ha rimosso, senza creare deficit apprezzabili, parte della corteccia dei ratti.
Oggi sappiamo che il nostro cervello funziona globalmente e le scansioni fatte sul cervello con le varie metodiche di indagini confermano che non ci sono aree inattive ma solo l’esistenza di alcune più attive di altre. Inoltre quando ci sono lesioni al cervello, queste hanno spesso ripercussioni sull’intero apparato.
Predominanza degli emisferi nel creativo o nel razionale
Anche questa convinzione nasce da un interpretazione errata del premio Nobel Roger Sperry che si era focalizzato sulla attività dei singoli emisferi di individui che avevano perso la connessione. Un docente britannico, Tom Bennet, che si occupa di neuroscienze e insegnamento, ha pubblicata su Plos One il risultato di uno studio ove sembrerebbe dimostrato, che le persone non hanno aree cerebrali più sviluppate in funzione delle loro attitudini. Di conseguenza sarebbe giunto alla conclusione che non esiste una correlazione tra la singola propensione (artistica, letteraria, matematica, etc) e gli emisferi.
Immagini o video: a ognuno il suo stile di apprendimento
Su New Scientist, Bennet ci ricorda il metodo Vark (che sta per: V isual, Auditory, Read-write, Kinaesthetic, ed identifica come si apprende e cioè in modo: visivo, uditivo, scrittura-lettura e cinestetico). Questo metodo è stato introdotto dall’insegnante neozelandese Neil Fleming. Secondo la teoria ognuno apprende nel suo modo specifico, ovvero attraverso il canale di elezione. Questa teoria sugli stili di apprendimento, anche se ha influenzato il modo di insegnare, presta il fianco a diverse critiche ad esempio nei metodi usati per scoprire il canale di elezione dei singoli soggetti e anche per la mancanza di studi scientifici che supportino tale teoria.
In un articolo del 2008, della rivista dell’Association of Psychological Science, Bennett
“…scrive che al momento non esistono basi scientifiche adeguate per giustificare l’incorporazione di valutazioni sugli stili di apprendimento nella pratica educativa generale”.
Le abilità cerebrali declinano passati i 40
Alcune attività, come imparare una nuova lingua, imparare a memoria brani, sequenze o immagini, etc, risultano più facili per i giovani ma altre attività, come la capacità linguistica, quella di risolvere tensioni e conflitti o gestire le emozioni migliorano con l’età. Quindi, non è vero che dopo i 40anni, le abilità cerebrali diminuiscono.
Il cervello funziona come un computer
Quante volte se ne parla, anche nei film. Tutto nasce dal fatto che entrambi ricevono dati che una volta elaborati restituiscono una risposta. Da un certo input, viene prodotto un output. Peccato però che il modo con cui vengono svolte queste attività sia completamente diverso. Basti pensare agli stimoli visivi e alla capacità di elaborare anticipazioni, quindi di prevedere (neuroni a specchio) il futuro. Altre mere somiglianze vorrebbero che il cervello sia paragonabile ad un circuito elettrico molto complesso ma, non è assolutamente così. Il circuito elettrico non cambia in modo dinamico, il cervello si. Fa continue sinapsi. Prendiamo ad esempio le persone con deficit uditivi. Reagiscono specializzando le capacità tattile e visive; le persone invece con deficit visivi, specializzano il tatto e l’udito. Nessun circuito elettrico ha questa capacità. Il computer non sarà mai equiparabile al cervello.
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