Carlo Rovelli, Sette brevi lezioni di fisica

by gabriella

Lo spazio è curvo e la meccanica newtoniana non vale per tutte le dimensioni della materia: se c’è un tratto essenziale nella scienza novecentesca è quello del dubbio, della rivoluzione, del ripensamento di ciò che sembrava più stabile.

In queste bellissime brevi lezioni, Rovelli ci presenta i due principali paradigmi della scienza novecentesca e il loro paradosso di teorie sperimentali empiricamente verificate e al tempo stesso in conflitto.

La più sorprendente delle due, la meccanica quantistica, ci suggerisce che nella realtà microfisica non c’è oggettività, che le cose non sono oggetti collocati in un luogo e capaci di spostarsi o di cambiare nel tempo, ma reti di relazioni, intersoggettività, materia che esiste solo quando va a sbattere con qualcos’altro. La stessa realtà pensata da Eraclito, Democrito, Epicuro, Hegel.

 

Indice

Lezione prima. La più bella delle teorie
Lezione seconda. I quanti
Lezione terza. L’architettura del cosmo
Lezione quarta. Particelle
Lezione quinta. Grani di spazio
Lezione sesta. La probabilità, il tempo e il calore dei buchi neri
In chiusura: noi

Lezione prima. La più bella delle teorie

Albert Einstein (1879-1955)

Nel 1905, Einstein scrive tre articoli per gli Annalen der Physik: il primo dimostra che gli atomi esistono davvero, il secondo apre la porta alla Meccanica dei quanti, il terzo presenta la prima versione della teoria della relatività: la cosiddetta relatività ristretta.

Isaac Newton (1642 -1726-7)

La teoria della relatività ha un successo immediato, ma Einstein si rende conto che non armonizza con la teoria della gravitazione universale di Newton. Risolverà il problema dopo dieci anni di studi.

Einstein si chiedeva come facesse questa forza a tirare i corpi senza che ci fosse niente in mezzo.

Nella seconda metà dell’800 Faraday e Maxwell avevano aggiunto l’osservazione del campo elettromagnetico – un’entità reale diffusa ovunque che porta le onde radio, riempie lo spazio, può vibrare e ondulare come la superficie di un lago e conduce elettricità – al mondo newtoniano.

Einstein capisce che anche la gravità dev’essere portata da un campo, che deve esistere un campo gravitazionale oltre a quello elettrico: il campo gravitazionale è lo spazio stesso.

Lo spazio non è qualcosa di diverso dalla materia: è una delle componenti «materiali» del mondo che si flette e ondula: non siamo dentro una scaffalatura rigida, ma «dentro un mollusco flessibile».

Il sole piega lo spazio intorno a sé e «la terra non gli gira intorno perché è tirata da una misteriosa forza, ma perché corre dritta in uno spazio che si inclina». La terra gira intorno al sole e le cose cadono perché lo spazio si incurva (lo spazio si incurva dove c’è materia).

Non solo lo spazio si incurva, ma anche la luce e il tempo. Einstein ipotizza che il tempo passi più veloce in alto e più lento in basso, vicino alla Terra: le misurazioni gli danno ragione.

Lo scienziato comprende la natura dei buchi neri: quando una grande stella ha bruciato tutto il suo combustibile (l’idrogeno) finisce per spegnersi e ciò che è più sorretto dal calore collassa su se stesso curvando lo spazio così fortemente da creare un centro di forze a imbuto: un buco nero.

Lo spazio intero quindi può estendersi e dilatarsi e l’espansione dell’universo viene effettivamente osservata (1930). La stessa equazione predice che l’espansione deve essersi originata dall’esplosione di un giovane universo piccolissimo e caldissimo: il Big Bang. Nessuno ci crede fino a quando viene osservata la radiazione cosmica di fondo, il bagliore diffuso che rimane dell’esplosione iniziale.

la teoria descrive un mondo colorato e stupefacente, dove esplodono universi, lo spazio sprofonda in buchi senza uscita, il tempo rallenta abbassandosi su un pianeta, e le sconfinate distese di spazio interstellare s’increspano e ondeggiano come la superficie del mare… Tutto questo, il risultato di un’intuizione elementare: lo spazio e il campo sono la stessa cosa. E di un’equazione semplice [p.12].

 

Lezione seconda. I quanti

I due pilastri della fisica del Novecento, la relatività generale e la meccanica quantistica, non potrebbero essere più diversi. La relatività generale è una visione semplice e coerente di gravità, spazio e tempo. La meccanica quantistica, o «teoria dei quanti» ha ottenuto un successo sperimentale straordinario e ha portato applicazioni che hanno cambiato la nostra vita quotidiana (i transistor e quindi il computer, per esempio).

Max Planck nel 1901

La meccanica quantistica nasce nel 1900, quando Max Plank calcola il campo elettrico in equilibrio all’interno di una scatola calda, immaginando che l’energia del campo sia divisa in «quanti», cioè pacchetti di energia.

Prima di allora l’energia era stata trattata come qualcosa che variava in modo continuo e non era dunque mai stata divisa in pacchetti. Per Planck si trattava solo di una strategia di calcolo: sarà Einstein a capire che quei pacchetti di energia sono reali, mostrando chela luce è fatta di pacchetti, particelle di luce che oggi chiamiamo «fotoni».

Inizialmente non seguito, sarà per questa intuizione che Einstein ha ricevuto il Nobel. Perciò, se Plank è il padre della fisica dei quanti, Einstein è colui che l’ha fatta crescere, anche se in seguito ne prenderà le distanze.

Niels Bohr (1885-1962)

Tra gli anni ’10 e ’20 del 900, è il danese Niels Bohr che ne guida lo sviluppo, con l’idea che anche l’energia degli elettroni negli atomi può assumere solo certi valori e può solo saltare tra l’una e l’altra delle orbite atomiche permesse, emettendo o assorbendo un fotone quando saltano (salti quantici).

Wener Heisenmberg (1901-1976)

Nel suo istituto di Copenhagen si riuniscono gli studiosi che nel 1925 producono le equazioni della teoria dei quanti che rimpiazzano l’intera meccanica di Newton. A scrivere per primo le equazioni della nuova teoria è un giovanissimo tedesco, Werner Heisenberg, che ha idee da capogiro.

Heisemberg immagina che gli elettroni non esistano sempre: esistono, si materializzano in un luogo, con una probabilità calcolabile, solo quando interagiscono con qualcos’altro, sbattono con qualcos’altro.

I «salti quantici» da un’orbita all’altra sono il loro solo modo di essere reali: un elettrone è un insieme di salti da un’interazione all’altra. Quando nessuno lo disturba, non è in alcun luogo preciso. Non è in un luogo. Nella meccanica quantistica nessun oggetto ha una posizione definita, se non quando sbatte contro qualcos’altro.

C’è di più: questi salti con un oggetto passa da un’interazione all’altra non avvengono in modo prevedibile, ma a caso. Non è possibile prevedere dove un elettrone comparirà di nuovo, ma solo calcolare la probabilità che appaia qui o lì.

Albert Eintein e Niels Bohr alla Convention Solvay nel 1930

Di fronte a questa aleatorietà di base della struttura molecolare del mondo, Einstein si tirò indietro e cominciò a fare obiezioni per dimostrare che le nuove teorie erano contraddittorie, in un dialogo in cui Bohr rispondeva che durò anni. Entrambi furono costretti a cambiare idea per rispondere all’altro.

Einstein non voleva cedere sul punto per lui chiave: che esistesse una realtà oggettiva indipendente da chi interagisce con chi. Bohr non voleva cedere sulla validità del modo profondamente nuovo in cui il reale era concettualizzato dalla nuova teoria. Alla fine, Einstein accetta che la teoria è un gigantesco passo avanti nella comprensione del mondo, ma resta convinto che le cose non possono essere così strane, e che «dietro» ci dev’essere una spiegazione più ragionevole.

È passato un secolo, e siamo allo stesso punto. Le equazioni della meccanica quantistica e le loro conseguenze vengono usate quotidianamente da fisici, ingegneri, chimici e biologi, nei campi più svariati. Sono utilissime per tutta la tecnologia contemporanea. Non ci sarebbero i transistor senza la meccanica quantistica. Eppure restano misteriose: non descrivono cosa succede a un sistema fisico, ma solo come un sistema fisico viene percepito da un altro sistema fisico. Che significa? Significa che la realtà essenziale di un sistema è indescrivibile? Significa solo che manca un pezzo alla storia? O significa, come a me sembra, che dobbiamo accettare l’idea che la realtà sia solo interazione? [p.18].

 

Lezione terza. L’architettura del cosmo

Nella prima metà del XX secolo, Einstein ha descritto la trama dello spazio e del tempo con la teoria della relatività, mentre Bohr e i suoi giovani amici hanno descritto la strana natura quantistica della materia.

Nella seconda metà del XX secolo, i fisici hanno costruito su queste fondamenta, applicando le due nuove teorie ai domini più vari della natura: dal macrocosmo della struttura dell’universo, al microcosmo delle particelle elementari.

 — continua —

Lezione quarta. Particelle

Lezione quinta. Grani di spazio

Lezione sesta. La probabilità, il tempo e il calore dei buchi neri

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