Nel 1076, Anselmo scrive il Monologion nel quale delinea una tesi a posteriori per dimostrare l’esistenza di Dio: l’esistenza delle cose create presuppone l’esistenza di un «sommo principio» di cui il monaco passa successivamente a considerare la natura e le perfezioni.
Riproponendo una concezione marcatamente agostiniana, Anselmo osserva che dal nulla non può venire nulla ed è assolutamente necessario che prima dell’esistenza delle cose esista nella mente del loro artefice un modello o una forma delle cose da farsi. Nella ragione del sommo principio deve insomma essere presente un’idea delle creature che le precede in termini non cronologici, ma ontologici.
Un anno dopo, ispirato dal passo dei Salmi «Lo stolto disse in cuor suo: Dio non esiste», scrive il Proslogion, nel quale espone la celeberrima prova a priori o prova ontologica – il nucleo teologico più commentato della storia della filosofia – con l’obiettivo di
«trovare un unico argomento che dimostrasse da solo, senza bisogno di nessun altro, che Dio esiste veramente e che è il Sommo Bene, che non ha bisogno di nulla e di cui tutto il resto ha bisogno per essere e per avere valore […]»Proslogion, Proemio.
Anche lo stolto del salmo può intendere che cosa diciamo quando affermiamo di credere che Dio sia «ciò di cui non si può pensare il maggiore», infatti anche chi nega l’esistenza di Dio deve ammettere «che vi è almeno nell’intelletto una cosa della quale nulla può pensarsi più grande». Ma se si ammette l’esistenza di questo concetto nell’intellettto, si deve ammetterne necessariamente l’esistenza reale perché negarla equivarrebbe a negare una perfezione a ciò di cui non si può pensare il maggiore, cioè a sostenere che di ciò di cui non si può pensare il maggiore è possibile pensare il maggiore (o il più perfetto).
La storia narra che in difesa dello stolto si levò dall’abbazia di Marmoutier la voce del monaco Gaunilone di cui non sappiamo nient’altro perché di lui ci è rimasta solo la risposta di Anselmo; una risposta, come osserva Kurt Flasch, offerta
«in tono cortese, quasi amichevole, prova che negli anni Settanta dell’XI secolo, il mondo occidentale conosceva delle differenziazioni interne e che un’autonoma ricerca filosofica era presente già a quei tempi. In confronto a questa discussione tra monaci sulla sostenibilità dell’ateismo, i dibattiti di Lutero con Carlostadio, Erasmo e Zwingli sembrano un vacuo schiamazzo. A volerla rendere con un vocabolario moderno, l’obiezione di Gaunilone dice infatti che non c’è bisogno di essere stolti per dire “Dio non esiste”, basta solo essere empiristi. […] La definizione di Anselmo distingue Dio da ogni dato sensibile in quanto è incomparabilmente perfetto. Come possiamo conoscere qualcosa di così incomparabile? Come giunge Anselmo alla sua definizione? Egli non ci guida ad essa partendo dall’esperienza, non può esserci infatti nessuna esperienza che conduca a ciò che è incomparabile». (Kurt Flasch, Introduzione alla filosofia medievale, Torino, Einaudi, 2002, p. 73).
Mentre Anselmo sostiene che “lo stolto” ignora l’esistenza di Dio perché ascolta la parola ma non si solleva alla sua comprensione, Gaunilone contesta sia il passaggio dall’udire (la parola “Dio esiste”) all’avere nell’intelletto, sia il passaggio dall’esistere nell’intelletto all’esistere nella realtà extramentale. Il monaco di Marmoutier osserva infatti che se si assume che un concetto sia nell’intelletto solo perché si comprendono le parole con cui viene comunicato, si dovrebbe ammettere che esistano nell’intelletto anche tutte le cose false o inesistenti che vengono descritte con parole comprensibili, Anselmo – osserva Gaunilone – si fida di semplici parole (voces) ma dalle sole parole non si può ricavare alcuna conoscenza reale.
Anselmo che non si era lasciato ricondurre da Lanfranco (suo maestro e superiore) alle prove d’autorità, non ammise di essere stato confutato da Gaunilone, ma sostenne di aver dato dimostrazione, non semplice opinione o atto di fede. Nella sua replica cortese, affermò di non aver affatto voluto ammettere che qualsiasi contenuto passasse in quel modo dalla determinazione concettuale all’affermazione di esistenza (abbandonando in questo modo il platonismo che caratterizza il Monologion), Dio è infatti l’unico contenuto concettuale che si trova al di sopra di quella distinzione, perché è di per sé evidente che se esiste, esiste senza un cominciamento e di necessità.
Quando Anselmo morì, a Canterbury, nel 1109,
«spossato dalla diatriba ecclesiastica e dall’esilio, tra i suoi pii confratelli non si era ancora stabilito se la negazione dell’esistenza di Dio fosse una stoltezza o solo un’altra filosofia anch’essa difendibile. L’arcivescovo, fiducioso nella forza dei propri argomenti, aveva ordinato che il testo di Gaunilone fosse accluso al suo Proslogion: un’alternativa aveva avuto modo di esprimersi» (K. Flasch, op. cit., p. 79).
Esercitazione
Spiega in non più di 20 righe (un’ora) la struttura argomentativa della prova ontologica concepita da Anselmo e dell’obiezione di Gaunilone.
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