Carmelo Scifo, Resistenza, Costituzione, scuola – 1965

by gabriella

L’impegno dell’intellettuale, e, perciò, dell’uomo di scuola, è una missione di liberazione, di affrancamento per ricomporre la unità di tutte le forze nazionali in una marcia più decisa e più sollecita nella direzione della democrazia, come i molti additano, e i migliori vogliono.

Carmelo Scifo

Lo spirito della Resistenza nella Carta costituzionale

La lezione di democrazia, di libertà, di giustizia e di pace, che ci viene dalla Resistenza vale per tutti: per quelli che credono nella storia, per quelli che non ci credono e per quelli che non la conoscono.
Essa è ormai scritta nel cuore e nella coscienza del popolo, nelle cronache, nelle opere storiografiche, nei documenti politici e militari di quelle giornate, nei canti, nei diari scritti dagli stessi patrioti, nelle lettere dei condannati a morte, nelle stampe e nei fogli clandestini, ma soprattutto in termini giuridici è contenuta nella Costituzione repubblicana, alla quale deve ispirarsi la scuola se si vuole che la società italiana avanzi secondo l’ordine nuovo del progresso civile.La Carta costituzionale è nata con la Repubblica. Infatti promulgata il 1° gennaio 1948, era stata voluta dalle forze politiche, che avevano partecipato alla lotta anti-fascista, ed era stata preparata ed approvata dall’Assemblea Costituente, eletta il 2-6-1946 con suffragio veramente universale (per la prima volta in Italia e rispecchiava la fisionomia del Paese reale.
Consta di 139 articoli e XVIII “Disposizioni transitorie e finali” e si divide in Principi fondamentali e due Parti, una relativa ai diritti e doveri dei cittadini, e l’altra concernente l’ordinamento dello Stato e il funzionamento degli istituti costituzionali.

Nei “Principi fondamentali” si delinea l’essenza della Repubblica italiana, democratica, basata sul lavoro, in cui sovrano è il popolo; tutrice dei diritti delle persona umana; rispettosa delle libertà civili, religiose, decentrata nelle autonomie locali. Si riconosce la laicità dello Stato e viene ripudiata la guerra, come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.

Nella “Parte Prima”, si riconoscono al cittadino tutti quei diritti, che gli sono assolutamente necessari «sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove svolge la sua personalità» e lo si considera nei suoi rapporti con i primi consessi umani: famiglia e scuola, con il mondo economico e con la società politica, fissandone diritti e doveri, riconoscendogli il diritto all’associazione, ecc. Quanto siano innovatrici le norme relative al diritto di associazione sindacale e politica, alla funzione della proprietà, al diritto di sciopero, alla difesa della famiglia, all’eguaglianza di tutti, salta subito agli occhi se si pensa che i cardini della società tradizionale: la rigidità del concetto di proprietà, la considerazione del lavoro come attività servile, la natura illiberale e poliziesca delo Stato, la disuguaglianza sociale non trovano riscontro nella carta costituzionale della nuova Italia, né nelle Carte dei Paesi civili, né più in documenti internazionali.

Per le donne esiste un vero e proprio “codice della donna” negli articoli 31 -37 -48 –e 51, in cui l’eguaglianza dei sessi è riconosciuta senza limitazioni. E negli articoli 33 e 34 si riconoscono quei principi generali di libertà di pensiero, di espressione e di comunicazione, che proclamano l’importante funzione sociale di progresso della cultura, dell’arte, della scienza, degli strumenti di divulgazione e della scuola.

L’art. 33 prescrive che:
– L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento;
– La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi;
– Tutti hanno il diritto di istituire scuole senza oneri per lo Stato;
– La legge deve fissare i diritti e gli obblighi delle scuole private paritarie;
– È prescritto l’esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini di scuole e per la conclusione degli studi;
– Le università hanno diritto di darsi ordinamento autonomo.
L’art. 34 predica che:
– La scuola è aperta a tutti;
– L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita;
– Gli alunni meritevoli hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi;
– La Repubblica rende effettivo tale diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze.

E’ così delineata in questi articoli e negli altri: 3 – 4 – 30 -35 -38, la funzione educativa dello Stato, secondo l’etica democratica, che informa di sé tutta la Costituzione e pone l’Italia fra i Paesi più civili.
Il concetto di scuola laica e creativa per tutti, come organo nazionale autonomo di propulsione civile, nasce senza equivoci dalle norme costituzionali ed è premessa indispensabile ad ogni discorso relativo al rinnovamento democratico della società nazionale.

La Parte Seconda contiene l’ordinamento costituzionale dello Stato e presenta una moderna elaborazione in senso democratico dei vari organi nella divisione ed autonomia dei tre poteri: legislativo, esecutivo e giudiziario.
Si riconosce il decentramento regionale, si istituisce la Corte Costituzionale e il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro. Delle XVIII disposizioni finali, alcune sono superate, altre sono ancora operanti, come la XII, che vieta la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista, la XIII, relativa ai membri e ai discendenti di Casa Savoia e la XIV, che abolisce i titoli nobiliari.
La Costituzione potrebbe essere, se attuata come ci si attende, un baluardo contro i miti della violenza e del razzismo, contro il privilegio e lo sfruttamento dell’uomo ed uno strumento propulsore di civiltà e di progresso nazionale per la pace, la giustizia e la felicità di tutti.

La scuola organo per una democrazia in cammino

Lo spirito resistenziale, che vive e palpita nella “rivoluzione progettata” della nostra Carta costituzionale, è spirito autenticamente democratico che, fondandosi sulla sovranità del popolo, si sostanzia del principio dell’unità delle forze politiche, economiche, culturali e ideologiche nazionali, seppure nel rispetto della loro molteplicità dialettica, nella eguaglianza e nel progresso migliorativo di tutti. Ed è quindi questo spirito di civiltà, che deve vivificare la scuola tutta, in tutti i suoi gradi, poiché in esso le istituzioni educative e scolastiche trovano la lro stessa ragione d’essere e il loro necessario collegamento col movimento rinnovatore pedagogico dei Paesi più evoluti.

L’allargamento naturale delle basi dello Stato democratico postula una necessaria intellettualizzazione dei ceti popolari, una più concreta presa di coscienza, spiccatamente sociale e quindi politica: pone il problema della scuola come problema di fondo della vita nazionale. Come tale è ormai trattato in questi anni dall’immediato dopoguerra ad oggi. Dice bene G. Petronio

Forse l’aspetto veramente positivo del bilancio in questi anni, il fatto di cui maggiormente rallegrarci, è proprio questo: che in questi anni, in parte anche per l’opera nostra, la coscienza dell’esistenza in Italia di una questione scolastica e della necessità di risolverla, si è allargata fuori della scuola, diventando patrimonio non soltanto degli insegnanti democratici, ma delle masse lavoratrici […]. Oggi dunque il problema della scuola è uscito dal chiuso delle aule e si allarga nella piazze, nei campi, nelle fabbriche di tutta l’Italia.

Ed in verità non c’è associazione, periodico, giornale, ente che non senta l’importanza e l’utilità di affrontare tale problema, proponendo soluzioni, indicando vie da seguire per rinnovare le strutture e le istituzioni scolastiche, impegnando la società politica ad assumere la funzione sociale dell’istruzione e dell’educazione. La connessione società-scuola si fa quindi reale nello Stato democratico, in quanto tutta la nazione diventa “scuola”, cioè assume come suo fine la formazione di cittadini democratici, consapevoli dei loro doveri e dei loro diritti, consci di dover contribuire con la loro intelligenza, la loro buona volontà e secondo le loro attitudini al progresso reale, sociale e umano; cioè l’identificarsi della scuola con la società politica avviene per esplicazione della società educatrice nella realtà storica, familiare e nazionale, mediante l’uso di tutti i mezzi di espressione, di comunicazione del pensiero e di propaganda.

Si addice a tale scopo una società etica, che nella famiglia e nella vita nazionale sia ordinata nella serietà e nell’impegno democratico dei valori di libertà, di lavoro e di responsabilità tale da fornire esempio continuo al vertice e alla base di nobiltà di sentimenti e di intelligenza critica. E d’altra parte la società-scuola si invera per contrazione della società educativa nella scuola operante, quale organo per una democrazia in cammino, assumendo anch’essa, ma in modo specialistico, la stessa etica e la stessa ampiezza democratica della società politica.

La scuola – dice A. Banfi – che è l’istituzione rappresentativa dell’educazione intellettuale, di mano in mano che la società si fa aperta e progressiva si scioglie dal vincolo di ceti e gruppi privilegiati, a garanzia dei quali essa era sorta per la prima volta, e diventa una situazione autonoma a carattere sempre più universale, che funziona sotto la guida dell’esigenza della società […]. La scuola allora ha come principale funzione il compito di preparare i quadri della vita sociale, non nel senso di preparare gli attori di una vita sociale immobile, fissata, ma di suscitare ed addestrare le energie destinate a spingere la società verso nuove più umane forme di vita e di struttura […].

Ma la scuola italiana, pur sentendosi da tutti l’esigenza del rinnovamento, stenta, come d’altra parte lo Stato democratico, ad imboccare la via giusta, segnata dalla nostra Costituzione e delineata nel suo concetto nel passo riferito. I tentativi di un rinnovamento non mancano e ce ne danno atto i piani di riforma o di semplice aggiornamento della scuola pubblica, da quello Gonella(1951), a quello Fanfani(1958), a quello Medici(1960), a quello Bosco(1961) e all’ultimo di Gui e della Commisiione nazionale per l’inchiesta sulla scuola; ma la fedeltà alla Costituzione repubblicana impone principi, metodi, contenuti nuovi, impone una scuola per tutti e garanzie giuridiche ed economiche per i docenti, perché essi siano assicurati nel pieno e libero espletamento della loro funzione sociale. I tentativi di rinnovamento scolastico falliscono quando poggiano sulla imposizione di una parte e dimenticano il contributo unitario di tutte le forze reali, ideologiche e produttive della nazione e, principalmente, quando dimenticano il contributo prezioso degli stessi uomini della scuola e della esperienza scolastica italiana ed estera.

E’ vero che tutta la società è scuola, ma è anche vero che l’istruzione e l’educazione non possono essere lasciate in balia dell’irrazionale e dell’istintivo, e necessitano d’un piano programmato e razionale che abbia come fondamento la stessa autonomia della scuola, quale organo indipendente ed idoneo a capire e a risolvere i suoi problemi in relazione al dinamismo sociale. Poiché lo Stato non può disinteressarsi della formazione dei suoi cittadini, come non può disinteressarsi della sanità fisica e morale dei singoli e delle famiglie, così è necessario che esso mobiliti la scienza, la pedagogia e la psicologia (e il suo bilancio), abbandonando la vecchia via della presunta “genialità” dei maestri per “natura” e degli schemi astratti di concezioni ideologiche, che pretendono, in questa epoca dei pianeti artificiali, delle fibre sintetiche, della scienza creatrice e della democrazia, ancorare ancora la scuola alla conservazione e alla discriminazione.

Non si tratta più di combattere l’analfabetismo, ma si tratta piuttosto di attrezzare le intelligenze e virilizzare i caratteri, affinchè tutti contribuiscano all’ordinato avanzamento sociale. La nuova battaglia è battaglia per la cultura, perché essa venga concessa a tutti non immiserita e dimezzata, ma nella sua totalità operante e vivificante come costume etico. E quindi poca cosa sono ormai le previdenze assistenziali, le borse di studio, gli assegni per l’incoraggiamento dei meritevoli, e in ritardo è arrivata l’istituzione della scuola media unificata, mentre molto lenta e caotica è la sua espansione in tutti i centri. Quale servizio sociale, che è dovere e diritto di tutti, la scuola nella società nuova deve essere gratuita in tutti i suoi gradi per tutti i giovani, che marciano con le loro forze e impegnano onorevolmente la loro intelligenza e la loro volontà per il bene di tutto il Paese. In tutto l’arco della loro formazione culturale ed etico-sociale, essi debbono trovare le condizioni di assistenza economica, educativa, medica e psicologica necessaria allo sviluppo della personalità.

E’ infine anacronistica (che ricorda la società a carattere “dimezzato”) la divisione tra due culture: aristocratica e popolare, umanistica e professionale. «Noi combattiamo aspramente la sfiducia nell’uomo, in ogni sua forma, la suddivisione del genere umano in dotti e ignoranti, in “filosofi” e “semplici”, in aristocrazia e “massa”. Noi crediamo con passione, e lucida ragione, alla possibilità di dare a tutti una educazione, intellettuale e morale, positiva sin dalla prima infanzia, fondata nell’impegno terreno, nella partecipazione intelligente, disinteressata, creativa allo sforzo di progresso dell’umanità in una determinata epoca storica».

Nuovi contenuti per un nuovo umanesimo

I contenuti della nuova scuola sono contenuti storici di liberazione dell’uomo, che hanno il compito di “attrezzare” l’individuo per farne un essere creatore e non un ripetitore conformista. Alle macchine possiamo chiedere di ripetere i modelli, all’uomo dobbiamo chiedere di impegnare le sue forze innovatrici se vogliamo migliorare le strutture etico-sociali e se vogliamo migliorare le situazioni singole e collettive.

Perciò ai contenuti mitici, astratti, verbalistici della scuola attuale, di ripetizione e di conservazione, dovranno essere sostituiti in tutto l’arco del suo ordinamento contenuti concreti legati al passo del progresso scientifico etico-sociale, facendo subentrare all’umanesimo “dimezzato” delle due culture e delle due scuole un umanesimo integrale di liberazione scientifica. In esso il fondamento e il coronamento dell’educazione è la formazione della “mente aperta critica e concreta”, per la quale tutto il sapere è formativo senza discriminazioni e senza privilegi, nella sua unità e nella sua totalità di esperienza e libro, di esperimento e riflessione.

Una cultura unilaterale e libresca, mentre è nociva allo spirito democratico, perché evasiva ed elusiva o reclamistica di un credo espresso da interessi di parte, è parimenti informativa e nozionistica. Al degenere umanesimo della retorica, della letterarietà, del culto del passato, che dimezza l’uomo nell’anima e nel corpo, nel pensiero e nell’azione, è conveniente sostituire l’umanesimo, che l’epoca attuale richiede, dell’uomo “onnilaterale”: sapiens, faber, socius, ragione vivente ed operante nel dinamismo della transvalutazione dell’umano nella storia, quale costruzione epica della civiltà presente e futura.

L’educazione consegna ai giovani l’eredità del passato non perché la conservino intatta e immutabile e si adeguino passivamente ad essa, ma perché la incrementino, la modifichino, la trasformino, l’arricchiscano, al purifichino degli elementi che ne fanno un ostacolo alla formazione delle loro personalità in armonia coi contributi delle altre culture e tradizioni in una coralità operosa impegnata nella creazione di una nuova tradizione. L’educazione ha per compito più alto il promuovimento di queste capacità di innovazione, di inventività, di creatività fondate nella coltivazione di attività artistiche e scientifiche.

La cultura in tutte le scuole, a tutti i livelli, se vuole essere formativa non può non essere riflessione critica nella esperienza multilaterale nel rapporto del soggetto con se stesso, con l’umanità e con la natura. Ed essa quindi, attraverso gli insegnamenti artistici e linguistici, storici e scientifici, è volta a fornire ai giovani gli strumenti e il metodo per la comprensione del presente, condizione indispensabile, perché essi possano operare utilmente nella società attuale nei posti da loro scelti. Cade la vecchia distinzione tra cultura per élites e cultura popolare, tra cultura creativa e istruzione strumentale e quindi non ha senso la distinzione tra scuola dell’obbligo o di base e scuola critica o media, tra scuola di maturità e scuola tecnica o professionale, chè tutta la cultura, in quanto formativa, è “professionale”, perché tende a fare apprendere agli allievi “il mestiere di vivere”, a farli impossessare dei mezzi e dei metodi tecnici della intelligenza e della volontà individuale e collettiva.

Nella diversità dei gradi scolastici è questione di adattamento dei contenuti totali alle capacità degli allievi, alla loro struttura psichica, alle loro particolari attitudini ed inclinazioni in ordine alle esigenze sociali: cambiano le visuali, ma l’unità e l’organicità del sapere debbono restare tali sino alle soglie della università. Ci si spiega così l’inadeguatezza degli istituti tecnici, dei licei e dell’istituto magistrale, falliti parimenti nell’ordine della formatività umana degli allievi e della professionalità per il loro contenuto unilaterale, frammentario e astratto, rispetto alle esigenze di formazione dell’uomo nuovo.

Non basta più l’istruzione grammaticale e filologica, né l’istruzione tecnica e pedagogica, attuate separatamente dalla formazione globale della mente, che è scienza e ragione operativa, mentre è storia ed arte, per fornire quella mentalità adeguata alla ragione dei tempi. E’ necessario attrezzare l’immaginazione degli allievi e la creatività della loro mente con gli strumenti scientifici, affinchè essi non evadano nell’empirico e nelle fantasticherie, perdendo il senso etico del reale. E’ quindi un appello alla scienza, intesa come ragione operativa e creativa, che si attende dai nuovi contenuti educativi e scolastici. Essa non elude i problemi di questo mondo, ma li pone e cerca di risolverli, liberando adulti e piccini dal fanatismo, dai pregiudizi, dai miti e allargando veramente gli orizzonti di vita al di là degli angusti confini dell’io e della nazione; non tiene prigioniero l’uomo dentro la sua statura fisica, né lo fa servo d’alcunchè, ma lo libera d’ogni alienazione e lo fa spirito creatore di sé e del mondo.

E quando si dice “scienza” non si vuole indicare solo la scienza fisico-matematica in genere, ma si vuole dire sapere pensato nella concretezza della tecnica e dell’esperienza, possesso della ragione critica e della consapevolezza etica: produzione responsabile dell’uomo, suo mezzo e strumento di vita e di azione in tutti i campi dello scibile.

L’attività scolastica come ricerca operativa associata

La scuola ha la funzione di formare lo spirito democratico delle nuove generazioni nel metodo democratico, che, insieme alla nuova struttura e ai nuovi contenuti delle istituzioni scolastiche, dia all’Italia una scuola libera e indipendente, capace di autogovernarsi, secondo la Costituzione. Il metodo democratico è il metodo della ricerca collettiva, in cui tutte le intelligenze sono considerate con eguale diritto di inziativa, di indagine e di proposta, e tutti quindi egualmente libere: ha cioè come suo fondamento l’uguale dignità della persona umana in tutti i membri del collettivo, che opera, studia e lavora. Nella scuola l’educazione, l’istruzione, il lavoro scolastico in genere si fanno ricerca operativa associata, incontro di esperienze e contributo di intelligenze singole e di gruppo.

Ma per tale tipo di ricerca democratica sia nella grande società politica, sia nella società scolastica, sia nella classe della scuola non basta la libertà formale, il cui concetto è di ristagno delle forme di vita sociale e di discriminazione fra “deboli” e “forti”. Non basta la libertà come capacità di

«non posse peccare», perché, dice A. Banfi, «essa è la libertà che risiede nel potere illimitato di una sola autorità trascendente il concreto corpo sociale, che ha la presunzione di possedere la verità e che reclama perciò la libertà di imporla agli altri, con magistero assoluto».

Tale tipo di libertà è la negazione, almeno nelle sue conseguenze etiche e politiche, d’ogni spirito democratico, che per vivere ha bisogno della vera libertà di sostanza come “espressione”, dice ancora A. Banfi, «del diritto di ciascuna persona a contribuire allo sviluppo generale di tutta la società e a goderne i benefici». E’ contro quel tipo di libertà di «non posse peccare», che pure si “aggiusta” con ogni autoritarismo politico e scolastico, che si contrappone la libertà intesa come “non impedimento”, che Rousseau formulò in nome della “bontà naturale” dell’individuo, per salvare l’uomo dall’azione devastatrice della società “corrotta” (ingiusta-diseguale-ipocrita-in ceppi). L’intento di Rousseau è veramente nobile, perché combatte la battaglia illuministica per il rispetto dell’individuo e perciò del fanciullo, di cui sostiene la centralità nell’opera educativa, ma astratto è il suo concetto di libertà, che l’uomo è libero e schiavo solo nella società, perché solo in essa e reale.

Ed anche Kant, che pure intese la libertà come autonomia, restò legato a quel rigorismo etico individualista, che distoglie dal capire come la libertà sia conquista autonoma del soggetto umano nella dialettica sociale e in livelli diversi e che la libertà di ciascun “socio” debba fare i conti non solo con la sua struttura umana, ma con la struttura economico-sociale, nella quale vive ed opera.

L’astratto formalismo etico servì agli idealisti, che proclamarono la libertà come capacità di superamento dell’empirismo, del particolare da parte del soggetto, per giustificare la restaurazione del principio di autorità. Soggetto libero, per l’idealismo, è colui che si innalza alla volizione dell’universale, dell’assoluto, reprimendo gli istinti e gli impulsi; e pertanto l’allievo è veramente libero quando s’adegua alla volontà del maestro, che rappresenta l’Universale; il cittadino è veramente libero quando si adegua all’imperio dello Stato; un popolo è veramente libero quando segue le direttive coloniali imposte dal “popolo eletto”, che esprime l’Assoluto. Ora è evidente che nessuna libertà di questo tipo può fondare il metodo scolastico, come non fonda alcuna democrazia anzi è antidemocratica nella sostanza.

Solo un approfondito spirito democratico e di progresso scientifico può ormai renderci edotti che il metodo di ricerca operativa associata, in tutti i livelli d’istruzione, sia basato sulla considerazione che l’intelligenza è distribuita in tutte le menti, piccine e adulte, e che la libertà da riconoscere, non è quella di scelta formale, ma quella che poggia sul diritto di comprensione della realtà individuale e collettiva, sul diritto di contribuire a fare sé e il mondo, a promuovere, a tutti i livelli, una positiva verifica della esperienza dei singoli e dei gruppi, con la possibilità di godere di tutti i benefici del mondo del quale si è partecipe costruttore.

L’attività e la ricerca scientifica possono suggerirci questo metodo galileiano dell’esperienza educativa e scolastica, che affratellando tutti, allievi e maestri, nell’ansia dello scopo comune di indagine e di costruzione, non mortifica, ma sollecita e suscita le energie innovative personali di tutti, senza preclusioni, senza chiusure mitiche, senza traumi. Come nella società democratica il confronto delle idee e delle soluzioni pratiche è il fattore reale dell’avanzamento concreto e civile, così nel collettivo scolastico, in tutti suoi gradi, la classe diventi un “laboratorio” di studio, di lavoro, di ricerca, in cui tutti eguali lavorino per tutti, contribuendo ciascuno con le proprie forze entro le norme necessarie d’un programma. Alla scuola del copiare, del ripetere, del conformismo e della noia libresca è possibile (ed è tempo) sostituire la scuola dell’inventare e della ricerca associata, che vada al di là del dialogo e del colloquio tra allievi e maestri, alla organizzazione dinamica delle intelligenze, mediante il metodo delle iniziativa singola e di gruppo e mediante la ricchezza di strumenti da usare nelle sperimentazioni continue e reali, personali e collettive.

E per far questo non basta sostituire all’autoritarismo antistorico e disumano, l’ipocrita paternalismo del maestro (ovunque egli sieda), ma occorre instaurare il rigore etico e “scientifico” del collettivo, che opera, pensa e crea, nel quale solamente e veramente risiede l’autorità, che si esprime nell’ordine superindividuale delle sue leggi, della sua intelligenza e della sua volontà.

Educazione civica

La scuola in una democrazia in progresso, quale vuole essere la nostra, secondo il dettato costituzionale, e tendente a soddisfare l’attuale problematica, sociologica e pedagogica, non può nascondersi nella “neutralità”, perché l’aggancio alla realtà e alla vita, postulato dalle esigenze oggettive e storiche, è condizione indispensabile affinchè la sua opera sia vera, naturale e utile.
La scuola “neutra” del Gentile, divenne per sua naturale evoluzione la scuola fascista del “Credere-Obbedire-Combattere”, che sotterrò, con la libertà e la spontaneità dell’allievo, il diritto d’iniziativa del cittadino italiano e la stessa ansia di progresso civile di tutta la nazione.

La scuola divenne partitica perché servì da strumento di egemonia della classe e del gruppo al potere dello Stato, fu strumento di oppressione e di propaganda dell’unico partito. Fu forzata artificiosamente la natura stessa dell’educare, che trova il suo fondamento nel metodo della ricerca democratica e della consapevolezza critica e nella multilateralità unitaria delle discipline e dei contenuti culturali. Credendo di legare l’educazione e la scuola alla vita, il fascismo, poiché falsificò la vita della nazione cristallizzandola entro i confini asfittici della provincia italiana, e in schemi senza evoluzione ed apertura civile, separò l’educazione e la scuola dall’autentica vita del popolo, di cui non capì (o non volle capire) gli urgenti problemi di rinnovamento.

Ora è quanto mai opportuno che la scuola, attualizzando i suoi contenuti e mantenendo il passo con la naturale evoluzione nazionale e umana, apra finestre e porte alla storia e s’inserisca nel cuore della realtà sociale.
Per questo è necessario che l’allievo, a tutti i livelli scolastici, comprenda il problema della sua situazione sociale nella particolare realtà politica in cui vive, per sapere agire nell’ambito delle leggi e principalmente per prepararsi a contribuire a migliorarle. Non quindi una scuola “partitica”, che imponga un particolare credo politico o religioso o filosofico, ma una scuola di formazione della coscienza politica e sociale, perché la “parte” deve essere una conquista sempre da verificare nel tutto, non una scuola di chiusura ideologica e conformista, ma una scuola ispirata all’ideale democratico, che è scuola di confronto di idee e di sentimenti, in cui quindi le “parti” si conciliano dialetticamente.

Una scuola perciò formativa, perché vivificata nel presente e dalle istanze del presente, in cui istruzione ed educazione si integrano, in cui tutte le materie nella loro globalità ed entro il tutto, e solo in esso, formano carattere ed intelligenza dell’individuo, non per un iperuranio sognato ed irreale, ma per la vita e nella vita in questo mondo, disarticolato in patrie e in Stati.
In questo senso l’educazione civica nella scuola, non è solo un dovere per tutti, governanti e governati, maestri e discepoli, ma è anche e soprattutto, se si vuole avviare il progresso sociale ed attuare una convivenza pacifica, dinamica, unitaria nel contributo delle diverse personalità individuali, un’esigenza inderogabile educativa e scolastica.
E’ opportuno mediante essa stimolare nel bambino, nel giovane, nell’adulto il sentimento della vita associata, della Patria, l’impegno di sforzarsi a capire i problemi di vita e di risolverli, la coscienza della importanza e della utilità delle leggi e delle istituzioni, di cui costruttore è tutto il popolo, stimolando lo spirito di iniziativa, di tolleranza, di verifica delle proprie opinioni con la comprensione degli ideali democratici.
Per una educazione civica (e quindi democratica) non basta informare secondo un programma d’insegnamento (che pure ancora in molte scuole è ignoto da docenti e discenti), è necessario infondere nella scuola e nella società nazionale l’ansia per una società nuova e più giusta.

Non quindi pura e semplice istruzione, ma formazione civica, attraverso tutte le materie, mediante tutti i beni di cultura, tutti gli insegnamenti e tutte le occasioni, in un riferimento concreto e continuo alla storia contemporanea, agli interessi ed ai problemi attuali, senza malizia e senza ipocrisie.
Ma purtroppo nella scuola italiana, pur se apposita legge abbia introdotto come materia di studio l’educazione civica, tale materia resta negletta in generale, o, nel più fortunato dei casi, si riduce a qualche informazione sommaria, frettolosa, nozionistica di qualche principio generale costituzionale, quando non serve a fare apologia del fascismo e del puro e semplice anticomunismo viscerale.

E’ lo studio critico della storia contemporanea, che dal Primo al Secondo Risorgimento nazionale, ha visto nascere e consolidarsi lo Stato italiano, che enucleando le esperienze dolorose e drammatiche del popolo, mostrando i crimini della tirannide, può dare il senso dei valori umani, per cui vale ancora battersi con responsabilità, contro le aberrazioni antipopolari, razziste, colonialiste, per una Patria in progresso, consociata alle Patrie di tutto il mondo.

Ed è tempo che nell’insegnamento e nell’educazione, e quindi nei testi scolastici, l’impegno della ragione pigli il sopravvento sulla improntitudine e sulla menzogna, affinchè fiorisca e prevalga la mente critica e progressiva, tollerante e pacifica. Si abbia il coraggio di dire senza ipocrisie da parte di coloro, che pure si dicono difensori di una nuova etica sociale, improntata alla giustizia e alla libertà, se tra i borboni e i Patriotti dobbiamo preferire i borboni, se tra il dogmatismo e la ricerca libera associata, dobbiamo preferire il dogmatismo, se tra il crimine nazi-fascista e la vita democratica, dobbiamo preferire il razzismo e la vergogna della violenza bestiale.

Lo studio e la cultura come impegno sociale

Il primo impegno d’ogni cittadino e, in modo particolare, del “dotto” è il suo collocarsi nella storia insieme con tutta la realtà sociale, entro cui vive, perché l’interesse presente è quello di capire i mali della società nazionale e della scuola italiana (che tutti dicono in crisi): impegno quindi di “ripensare” il passato per trovarvi in esso la chiave per capire il presente ed operare per l’avvenire.
Ogni vera storia è storia contemporanea, proclama il Croce in “Teoria e storia della Storiografia”, «perché è evidente che solo un interesse delle vita presente ci può muovere a indagare un fatto passato».
E l’interesse attuale è quello di far progredire la nostra giovane democrazia e di evitare tragedie nazionali, che ci spinge ad aprire gli occhi sul mondo e sulla sua storia, ad aprirci alla constatazione dei fatti e delle conseguenze.
«La segregazione che uccide la vitalità della storia è la separazione dai modi e dagli interessi attuali della vita sociale. Il passato, solo come passato, non ci riguarda più. Se veramente fosse finito e morto vi sarebbe un solo atteggiamento ragionevole verso di esso. Lasciate che i morti sotterrino i morti. Ma la conoscenza del passato è la chiave per capire il presente».

La Repubblica italiana ha oggi una base popolare, gli elettori con diritto di voto sono il 65% degli abitanti e i movimenti politici cattolico, socialista e comunista, attraverso le forme organizzate del partito e del sindacato, hanno contribuito a fare entrare nella vita politica la maggioranza della popolazione, che prima ne era esclusa.
Mutate sono le condizioni economiche e sociali d’Italia, più larghe le relazioni con gli altri popoli, mentre è crollato ovunque il vecchio colonialismo. Anche la scuola italiana è cresciuta e i ceti popolari vi entrano con entusiasmo e finalmente si apprestano ad occuparla da pari.
L’uomo, quale novello Ulisse forza ancora l’ignoto oltre la terra e nella profondità dell’infinitamente piccolo; e purtroppo la guerra non è più un giuoco d’atleti, né un giuoco di strategia, ma una follia suicida e nient’altro, che i popoli non vogliono, perché aspirano all’ordine nuovo, alla pace, alla giustizia, alla felicità.

Ed ecco l’altro impegno del cittadino e del “dotto”: impegno alla ragione e alla conseguente scelta costruttiva con responsabilità e lealtà.
Non si può restare a guardare: non è tempo d’evadere, non è tempo di contemplazione: la storia di ieri ci insegna che la rivoluzione e la guerra non rispettano alcuna “torre eburnea”, la incombente guerra atomica ci fa prevedere, che (nessuna cosa, nessun essere) nessuna “torre eburnea” sarebbe rispettata.
«Le guerre e le dittature sono là a dimostrare che», qualunque cosa faccia, «lo scrittore non può evadere». Non si tratta dunque, per gli intellettuali, di legare o meno la cultura alla politica; si tratta di scegliere: la scelta è, innanzitutto, fra la passività mascherata da separazione, da neutralità, da superiorità (o da forme elusive di “doppia verità” e nicodemismo), e la «consapevolezza critica che permette decisioni responsabili». «…I pretesi distacchi, le indipendenze, gli isolamenti contemplativi, le sacerdotali purezze, le neutralità, non sono, aloro volta, che scelte mascherate, che si definiscono in partenza, e che veramente strumentalizzano la cultura, ponendola al servizio di chi intende conservare e bloccare il moto delle cose».

E come l’uomo di cultura, impegnandosi consapevolmente nella nazione, che è la grande scuola, si serve della cultura per educare, così l’uomo di studio, l’uomo di scuola (docente e discente che sia) sente vivo l’impegno di ragione e di scelta nella scuola, che è vita nella vita sociale, che è società nella società nazionale e umana.
La scuola è un impegno civico, un impegno etico-sociale, che non ammette evasione dalla prassi, se, come tutti ora siamo convinti, informare non basta, se bisogna formare, attrezzarsi e attrezzare le coscienze con gli strumenti di progresso; per cui l’impegno di docenti e discenti non è solo quello di studiare per conoscere la verità e contemplarla, ma quello più difficile di operare per contribuire alla sua costruzione e agire in modo autonomo nella sua direzione per educare sé e gli altri in una perenne conquista di razionalità e di felicità per tutti.

Quindi la scuola, in quanto impegno di scelta e di confronto nella esperienza storica e personale, è lotta per la verità nelle prospettive presenti e future, è lotta per la libertà critica e per l’avanzamento di tutta la collettività, nella quale e con la quale verità e libertà si conquistano come valori di civiltà.
Non si può pertanto stare a guardare come i “villani” sul colle di Calatafimi, per aspettare di gridare evviva al vincitore, ma è necessario, che noi contribuiamo alla vittoria della verità, a cui crediamo, verificandone la veridicità e l’universatilità in un confronto appassionato e vigile, che se arreca dispiaceri e angosce personali è perché è la sostanza reale della dialettica sociale.
Il male è nell’accidia, nel lassismo, nella ipocrisia, nella passività di coloro che stanno a guardare i forti, che nella “battaglia” di tutti i giorni costruiscono e avanzano. Che vale piangere sulla sventura dei coraggiosi, sul sacrificio dei generosi, o assistere trepidanti all’angoscia degli erranti; che vale vivere separati dagli incolti e osannare dai balconi fioriti della retorica alla vittoria dei giusti, che lottano per tutti.

Dobbiamo, docenti e discenti, impegnarci nella costruzione dell’uomo nuovo per una società nuova, dell’uomo “onnilaterale” per la società senza classi e senza discriminazioni, del cittadino democratico, che sappia ed operi nella direzione del bene di tutti, consapevole dei problemi e dei bisogni di tutti, in un’Italia rinnovata, in una umanità pacifica e in progresso.
«La scuola, nella concezione che se ne è formato lo spirito moderno, è una rivoluzione in cammino. Nacque da un’esperienza morale: dal rispetto dell’uomo in ogni uomo; dalla coscienza d’un dovere superiore a ogni determinazione di ceti di classi: quello di non adoperare gli esseri umani per i propri fini, quali essi siano […]». La scuola appare ed è, politicamente considerata, ribellione e volontà di elevare le masse…; affrancamento dello spirito dal servaggio delle abitudini, dalla ripetizione passiva della tradizione, dal dominio di ogni autorità non riconosciuta interiormente.
L’impegno dell’intellettuale, e, perciò, dell’uomo di scuola, è una missione di liberazione, di affrancamento per ricomporre la unità di tutte le forze nazionali in una marcia più decisa e più sollecita nella direzione della democrazia, come i molti additano, e i migliori vogliono.

La scuola sia per tutti l’avanguardia di questa Italia in cammino: maestra ci sia la Storia, fonte la Costituzione repubblicana, mezzo l’esperienza e strumento la volontà, che muove le montagne e demolisce le muraglie, ideale la Patria, che è unità di tutto il popolo sovrano, come la Resistenza ha voluto.

http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2012/03/22/marina-boscaino-la-scuola-italiana-ha-bisogno-di-laicita/

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