Due testi sull’intolleranza verso gli intolleranti. Un articolo sul paradosso della tolleranza che, come quello del mentitore, deve escludere l’universalità per poter valere [tratto da TheSubmarine] e il discorso di Sandro Pertini a Genova nel 1960 contro la libertà di manifestazione dei neofascisti, riproposto da Christian Raimo su Minima et Moralia.
Alessandro Massone, Il paradosso della tolleranza
“La tolleranza illimitata porta alla scomparsa della tolleranza.” Ma allora come si fa a non diventare una società intollerante?
Dopo i fatti di Charlottesville l’opinione pubblica statunitense ha riscoperto l’antifascismo. È un momento importante, drammatico quanto storico — se c’è un popolo oggi al mondo che oltre a eleggere Donald Trump può anche cacciarlo, è quello statunitense.
Nel contesto contemporaneo della realtà dell’informazione, però, ogni operazione di lotta contro neo–nazisti e “suprematisti bianchi” non può che essere operata attivamente con limitazioni della loro presunta libertà di parola.
Per gli Stati Uniti è un discorso radicalmente nuovo: è un Paese costruito sulla fiducia implicita nella libertà di parola, e nella libertà di religione, pure. Se avete girato su Twitter in questi giorni, vi sarete imbattuti certamente in un breve fumetto che spiega come no, i nazisti non hanno libertà di parola. Ma come?
Ne La società aperta e i suoi nemici, saggio di filosofia politica vero esordio di Karl Popper, nel 1945 (edito in Italia solo nel 1973), il filosofo teorizza che l’unica necessità per garantire la sopravvivenza di una società tollerante sia l’assoluta intolleranza verso… l’intolleranza.
Popper scrive:
La tolleranza illimitata porta alla scomparsa della tolleranza. Se estendiamo l’illimitata tolleranza anche a coloro che sono intolleranti, se non siamo disposti a difendere una società tollerante contro gli attacchi degli intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti e la tolleranza con essi.”
Si tratta di un paradosso, sì, ma di un paradosso di facilissima, intuitiva comprensione. Ma come ogni problema di questo genere, un’applicazione tranchant è ovviamente impossibile, se non operativamente dannosa.
Anni dopo, nella Teoria della giustizia (1971), John Rawls risponderà a Popper, sostenendo che una società che non riconosca la tolleranza agli intolleranti è per definizione a sua volta intollerante. Rawls concede tuttavia che sia necessaria una clausola di auto-conservazione. È fondamentale, quindi, tollerare gli intolleranti, finché non costituiscano attivamente un pericolo per la società e le istituzioni della libertà.
Questa analisi verrà ripresa e attualizzata nel 1997 da Michael Walzer, in On Toleration, sottolineando come gruppi minoritari, spesso intolleranti soprattutto per istinti di sopravvivenza, se beneficiari di tolleranza potrebbero imparare a comportarsi con altrettanto rispetto — anche senza aver internalizzato la virtù.
Durante tutta la scorsa decade l’argomento dell’intolleranza verso gli intolleranti era uno dei preferiti della destra statunitense e mondiale. Soggetto della loro “intolleranza verso gli intolleranti” era ovviamente l’Islam.
Con l’argomento avevano giocato anche pensatori e giornalisti non di area, come il giornalista giramondo e dalle idee politiche strambe Michael J. Totten, che tirava in ballo anche la Lettera sulla tolleranza di John Locke, in cui il filosofo moderno tracciava i confini della tolleranza lasciandone fuori chi non rispetta i fondamenti della morale — all’epoca, voleva dire gli atei – e gli intolleranti, appunto, cioè i cattolici.
Si tratta, oggi è chiaro, di problemi drasticamente diversi: in primis perché l’intolleranza verso l’Islam, non solo esiste ma è drammaticamente sistemica […]
D’altro canto, il movimento neo–nazista oltre all’estrema violenza, come nel caso di Charlottesville, non solo pretende un posto nella discussione politica, ma lo ha ottenuto di fatto, da Fox News — che, ricordiamo, è il mezzo stampa piú seguito negli Stati Uniti — fino all’elezione del Presidente stesso.
È in qualche modo ironico, vedere l’estrema destra, da sempre in prima linea a cantare le lodi dell’oppressione, piagnucolare in difesa della libertà d’opinione — sia chiaro, ovviamente solo ed esclusivamente della propria.
Cos’è successo — il contesto sociale è cambiato, o sta cambiando, e di fronte a una parte della popolazione che non si è lasciata trainare dalla crescente ira idiota della destra razzista, la stessa destra razzista si sente in qualche modo:
- Ostracizzata,
- Ma abbastanza forte dal fare piú rumore — e piú morti — di prima.
È facile considerare questo un sintomo della crescente polarizzazione dell’opinione pubblica. In realtà, quando l’estrema destra rivendica il proprio diritto alla libertà d’odio, perché a conti fatti di questa parliamo, non se la prende con “gli antifa” ma con quella “opprimente maggioranza liberal” che soffoca i loro pensatori fin dalle università.
In Italia, una critica antifa di Wu Ming 1 alle disposizioni della Legge Mancino contro gesti, azioni e slogan nazifascisti spiegava che proibire queste derive non fa che renderle più affascinanti, disegnando un immaginario anti–eroico attorno ai fascisti.
Oggi, la situazione è parzialmente diversa: il caso dei ban a pioggia della Silicon Valley degli ultimi due giorni letteralmente priva di voce tantissimi nazisti statunitensi. Si tratta, seccamente, di un ristrettissimo numero di persone potentissime che, in un giorno, ha deciso che raggiungere opinioni d’un particolare colore politico dovesse essere estremamente laborioso e per molti al di fuori delle proprie competenze tecniche.
Per i nazisti e le persone che stanno plagiando si tratta certamente di una conferma di anni di teorie del complotto — quelle che chiamano globaliste ma che sono sempre le stesse, antisemite e omofobe, contro ogni forma di progresso.
Per tutti gli altri, è un primo passo fondamentale, che impedirà ai nazisti statunitensi — e in futuro nel resto del mondo — di allargare le proprie file a mezzo informatico. Perché l’unica risposta contro la minaccia neo-nazista alla società occidentale è dichiarare che ne sia completamente aliena: superarla, come l’ha superata la Storia, e programmaticamente isolare che chi ne resta complice, perché della Storia, è dalla parte sbagliata.
Sandro Pertini, Essere antifascisti è impedire ai fascisti di manifestare
Gente del popolo, partigiani e lavoratori, genovesi di tutte le classi sociali.
Le autorità romane sono particolarmente interessate e impegnate a trovare coloro che esse ritengono i sobillatori, gli iniziatori, i capi di queste manifestazioni di antifascismo. Ma non fa bisogno che quelle autorità si affannino molto: ve lo dirò io, signori, chi sono i nostri sobillatori: eccoli qui, eccoli accanto alla nostra bandiera: sono i fucilati del Turchino, della Benedicta, dell’Olivetta e di Cravasco, sono i torturati della casa dello Studente che risuona ancora delle urla strazianti delle vittime, delle grida e delle risate sadiche dei torturatori.
Nella loro memoria, sospinta dallo spirito dei partigiani e dei patrioti, la folla genovese è scesa nuovamente in piazza per ripetere “no” al fascismo, per democraticamente respingere, come ne ha diritto, la provocazione e l’offesa.
Io nego – e tutti voi legittimamente negate – la validità della obiezione secondo la quale il neofascismo avrebbe diritto di svolgere a Genova il suo congresso. Infatti, ogni atto, ogni manifestazione, ogni iniziativa, di quel movimento è una chiara esaltazione del fascismo e poiché il fascismo, in ogni sua forma è considerato reato dalla Carta Costituzionale, l’attività dei missini si traduce in una continua e perseguibile apologia di reato.
Si tratta del resto di un congresso che viene qui convocato non per discutere, ma per provocare, per contrapporre un vergognoso passato alla Resistenza, per contrapporre bestemmie ai valori politici e morali affermati dalla Resistenza.
Ed è ben strano l’atteggiamento delle autorità costituite le quali, mentre hanno sequestrato due manifesti che esprimevano nobili sentimenti, non ritengono opportuno impedire la pubblicazione dei libelli neofascisti che ogni giorno trasudano il fango della apologia del trascorso regime, che insultano la Resistenza, che insultano la Libertà.
Dinanzi a queste provocazioni, dinanzi a queste discriminazioni, la folla non poteva che scendere in piazza, unita nella protesta, né potevamo noi non unirci ad essa per dire no come una volta al fascismo e difendere la memoria dei nostri morti, riaffermando i valori della Resistenza.
Questi valori, che resteranno finché durerà in Italia una Repubblica democratica sono: la libertà, esigenza inalienabile dello spirito umano, senza distinzione di partito, di provenienza, di fede. Poi la giustizia sociale, che completa e rafforza la libertà, l’amore di Patria, che non conosce le follie imperialistiche e le aberrazioni nazionalistiche, quell’amore di Patria che ispira la solidarietà per le Patrie altrui.
La Resistenza ha voluto queste cose e questi valori, ha rialzato le glorie del nostro nuovamente libero paese dopo vent’anni di degradazione subita da coloro che ora vorrebbero riapparire alla ribalta, tracotanti come un tempo. La Resistenza ha spazzato coloro che parlando in nome della Patria, della Patria furono i terribili nemici perché l’hanno avvilita con la dittatura, l’hanno offesa trasformandola in una galera, l’hanno degradata trascinandola in una guerra suicida, l’hanno tradita vendendola allo straniero. Noi, oggi qui, riaffermiamo questi principi e questo amor di patria perché pacatamente, o signori, che siete preposti all’ordine pubblico e che bramate essere benevoli verso quelli che ho nominato poc’anzi e che guardate a noi, ai cittadini che gremiscono questa piazza, considerandoli nemici della Patria, sappiate che coloro che hanno riscattato l’Italia da ogni vergogna passata, sono stati questi lavoratori, operai e contadini e lavoratori della mente, che noi a Genova vedemmo entrare nelle galere fasciste non perché avessero rubato, o per un aumento di salario, o per la diminuzione delle ore di lavoro, ma perché intendevano battersi per la libertà del popolo italiano, e, quindi, anche per le vostre libertà.
E’ necessario ricordare che furono quegli operai, quegli intellettuali, quei contadini, quei giovani che, usciti dalle galere si lanciarono nella guerra di Liberazione, combatterono sulle montagne, sabotarono negli stabilimenti, scioperarono secondo gli ordini degli alleati, furono deportati, torturati e uccisi e morendo gridarono “Viva l’Italia”, “Viva la Libertà”. E salvarono la Patria , purificarono la sua bandiera dai simboli fascista e sabaudo, la restituirono pulita e gloriosa a tutti gli italiani.
Dinanzi a costoro, dinanzi a questi cittadini che voi spesso maledite, dovreste invece inginocchiarvi, come ci si inginocchia di fronte a chi ha operato eroicamente per il bene comune.
Ma perché, dopo quindici anni, dobbiamo sentirci nuovamente mobilitati per rigettare i responsabili di un passato vergognoso e doloroso, i quali tentano di tornare alla ribalta?
Ci sono stati degli errori, primo di tutti la nostra generosità nei confronti degli avversari. Una generosità che ha permesso troppe cose e per la quale oggi i fascisti la fanno da padroni, giungendo a qualificare delitto l’esecuzione di Mussolini a Milano. Ebbene, neofascisti che ancora una volta state nell’ombra a sentire, io mi vanto di avere ordinato la fucilazione di Mussolini, perché io e gli altri, altro non abbiamo fatto che firmare una condanna a morte pronunciata dal popolo italiano venti anni prima.
Un secondo errore fu l’avere spezzato la solidarietà tra le forze antifasciste, permettendo ai fascisti d’infiltrarsi e di riemergere nella vita nazionale, e questa frattura si è determinata in quanto la classe dirigente italiana non ha inteso applicare la Costituzione là dove essa chiaramente proibisce la ricostituzione sotto qualsiasi forma di un partito fascista ed è andata più in là, operando addirittura una discriminazione contro gli uomini della Resistenza, che è ignorata nelle scuole; tollerando un costume vergognoso come quello di cui hanno dato prova quei funzionari che si sono inurbanamente comportati davanti alla dolorosa rappresentanza dei familiari dei caduti.
E’ chiaro che così facendo si va contro lo spirito cristiano che tanto si predica, contro il cristianesimo di quegli eroici preti che caddero sotto il piombo fascista, contro il fulgido esempio di Don Morosini che io incontrai in carcere a Roma, la vigilia della morte, sorridendo malgrado il martirio di giornate di tortura. Quel Don Morosini che è nella memoria di tanti cattolici, di tanti democratici, ma che Tambroni ha tradito barattando il suo sacrificio con 24 voti, sudici voti neofascisti.
Si va contro coloro che hanno espresso aperta solidarietà, contro i Pastore, contro Bo, Maggio, De Bernardis, contro tutti i democratici cristiani che soffrono per la odierna situazione, che provano vergogna di un connubio inaccettabile.
Oggi le provocazioni fasciste sono possibili e sono protette perché in seguito al baratto di quei 24 voti, i fascisti sono nuovamente al governo, si sentono partito di governo, si sentono nuovamente sfiorati dalla gloria del potere, mentre nessuno tra i responsabili, mostra di ricordare che se non vi fosse stata la lotta di Liberazione, l’Italia, prostrata, venduta, soggetta all’invasione, patirebbe ancora oggi delle conseguenze di una guerra infame e di una sconfitta senza attenuanti, mentre fu proprio la Resistenza a recuperare al Paese una posizione dignitosa e libera tra le nazioni.
Il senso, il movente, le aspirazioni che ci spinsero alla lotta, non furono certamente la vendetta e il rancore di cui vanno cianciando i miserabili prosecutori della tradizione fascista, furono proprio il desiderio di ridare dignità alla Patria, di risollevarla dal baratro, restituendo ai cittadini la libertà. Ecco perché i partigiani, i patrioti genovesi, sospinti dalla memoria dei morti sono scesi in Piazza: sono scesi a rivendicare i valori della Resistenza, a difendere la Resistenza contro ogni oltraggio, sono scesi perché non vogliono che la loro città, medaglia d’oro della Resistenza, subisca l’oltraggio del neofascismo.
Ai giovani, studenti e operai, va il nostro plauso per l’entusiasmo, la fierezza., il coraggio che hanno dimostrato. Finché esisterà una gioventù come questa nulla sarà perduto in Italia.
Noi anziani ci riconosciamo in questi giovani. Alla loro età affrontavamo, qui nella nostra Liguria, le squadracce fasciste. E non vogliamo tradire, di questa fiera gioventù, le ansie, le speranze, il domani, perché tradiremmo noi stessi. Così, ancora una volta, siamo preparati alla lotta, pronti ad affrontarla con l’entusiasmo, la volontà la fede di sempre.
Qui vi sono uomini di ogni fede politica e di ogni ceto sociale, spesso tra loro in contrasto, come peraltro vuole la democrazia. Ma questi uomini hanno saputo oggi, e sapranno domani, superare tutte le differenziazioni politiche per unirsi come quando l’8 settembre la Patria chiamò a raccolta i figli minori, perché la riscattassero dall’infamia fascista.
A voi che ci guardate con ostilità, nulla dicono queste spontanee manifestazioni di popolo? Nulla vi dice questa improvvisa ricostituita unità delle forze della Resistenza?
Essa costituisce la più valida diga contro le forze della reazione, contro ogni avventura fascista e rappresenta un monito severo per tutti. Non vi riuscì il fascismo, non vi riuscirono i nazisti, non ci riuscirete voi.
Noi, in questa rinnovata unità, siamo decisi a difendere la Resistenza, ad impedire che ad essa si rechi oltraggio.
Questo lo consideriamo un nostro preciso dovere: per la pace dei nostri morti, e per l’avvenire dei nostri vivi, lo compiremo fino in fondo, costi quello che costi.
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