Alessandro Portelli, Senza pianto

by gabriella

Sui funerali del boia delle Ardeatine, un uomo da sotterrare, non seppellire, in un punto qualunque della crosta terrestre. Tratto da Il Manifesto, 16 ottobre 2013. In coda l’epigrafe di Piero Calamandrei contro Kesserling, mandato libero a otto anni dalle stragi di Marzabotto e delle Fosse Ardeatine.

preficheVengo a seppellire Cesare, non a lodarlo,

dice Antonio, nel Giulio Cesare di Shakespeare. Ma finge, e la sepoltura si trasforma in sovversivo elogio funebre. Allo stesso modo, apertamente, gli eredi neonazisti di Erich Priebke non vengono a seppellirlo ma a pretendere di lodarlo.

 La questione della sepoltura si è posta subito dopo il ritrovamento dei corpi degli uccisi alle Fosse Ardeatine. Mi raccontava la signora Vera Simoni, figlia del generale Simone Simoni (torturato a via Tasso e ucciso alle Fosse Ardeatine) che il generale John Pollock, comandante delle truppe alleate dopo la liberazione di Roma, aveva pensato che, visto che i corpi erano già sotterrati, si potevano lasciare lì e costruirci sopra un monumento. Ma sua madre, e altre vedove delle Ardeatine, si opposero: noi vogliamo il riconoscimento di tutti, uno per uno, dissero. Da lì cominciò il tremendo lavoro del professor Attilio Ascarelli, dei suoi collaboratori, e dei familiari in lutto, per tirar fuori i corpi dalla terra, riconoscerli, e finalmente seppellirli. Sotterrare non è lo stesso che seppellire: di mezzo, scrive Ernesto de Martino, c’è il pianto e c’è il rito, che servono a far passare la perdita in valore.Per questo le spoglie di Erich Priebke sono un problema così grande. Da un lato, c’è la questione di disporre di un corpo – magari, per certi cristiani, anche di pregare per la sua anima, cosa a cui anche i peggiori assassini hanno diritto (anche se sospetto che nel caso di questo peccatore non pentito non servirà a molto). Dall’altro, c’è il problema del rito: quale valore pensano di estrarre da questo passaggio i preti lefebvriani e i neonazisti, se non la pubblica proclamazione ed elogio dei perversi e protervi «valori» per i quali Priebke ha ucciso? (sarà una coincidenza, ma per parecchio tempo Albano, la cittadina dei Castelli Romani dove si vuole celebrare il funerale, è stato terreno di caccia dei neonazisti e fondamentalisti di Militia. Il loro leader Boccacci viveva lì, e già altre volte i cittadini democratici sono dovuti intervenire materialmente per impedire sfilate neonaziste in paese).

E infine: c’è il pianto. C’è qualcuno che davvero piange per Erich Priebke? Non noi, non le famiglie delle sue vittime (qualcuno dice di avere perdonato, altri non perdoneranno mai: sono scelte profonde che spettano a ciascun individuo); nemmeno suo figlio, stando a quello che dice a i giornali. E certamente non i suoi manipolatori e le squadracce neonaziste, per i quali Erich Priebke già da vivo – ma sempre incapace di capire e di sentire – era meno e più di una persona, un docile fantoccio da esibire a comando, e adesso da morto è solo un’occasione. Viene da averne pena. Sotterriamolo e, senza dimenticare niente, lasciamolo lì.

Piero Calamandrei, Sul perdono e l’oblio dei crimini nazisti

DuccioProcessato nel 1947 per crimini di Guerra (Fosse Ardeatine, Marzabotto e altre orrende stragi di innocenti), Albert Kesselring, comandante in capo delle forze armate di occupazione tedesche in Italia, fu condannato a morte. La condanna fu commutata nel carcere a vita. Ma già nel 1952, in considerazione delle sue “gravissime” condizioni di salute, egli fu messo in libertà. Tornato in patria fu accolto come un eroe e un trionfatore dai circoli neonazisti bavaresi, di cui per altri 8 anni fu attivo sostenitore. Pochi giorni dopo il suo rientro a casa Kesselring ebbe l’impudenza di dichiarare pubblicamente che non aveva proprio nulla da rimproverarsi, ma che – anzi – gli italiani dovevano essergli grati per il suo comportamento durante i 18 mesi di occupazione, tanto che avrebbero fatto bene a erigergli… un monumento.

A tale affermazione rispose Piero Calamandrei, con una famosa epigrafe (recante la data del 4.12.1952, settimo anniversario del sacrificio di Duccio Galimberti), dettata per una lapide “ad ignominia”, collocata nell’atrio del Palazzo Comunale di Cuneo in segno di imperitura protesta per l’avvenuta scarcerazione del criminale nazista. L’epigrafe afferma:

Lo avrai
camerata Kesselring
il monumento che pretendi da noi italiani
ma con che pietra si costruirà
a deciderlo tocca a noi.

Non coi sassi affumicati
dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio
non colla terra dei cimiteri
dove i nostri compagni giovinetti
riposano in serenità
non colla neve inviolata delle montagne
che per due inverni ti sfidarono
non colla primavera di queste valli
che ti videro fuggire.

Ma soltanto col silenzio del torturati
Più duro d’ogni macigno
soltanto con la roccia di questo patto
giurato fra uomini liberi
che volontari si adunarono
per dignità e non per odio
decisi a riscattare
la vergogna e il terrore del mondo.

Su queste strade se vorrai tornare
ai nostri posti ci ritroverai
morti e vivi collo stesso impegno
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama
ora e sempre
RESISTENZA

 

Print Friendly, PDF & Email


Comments are closed.


%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: