La proposta educativa di Neill si inserisce nel quadro delle cosiddette «pedagogie non direttive». Il suo significato storico fondamentale è da indicare nell‘istanza di un‘educazione libera che restituisca al bambino per intero la sua spontaneità e la sua creatività.
In una bella pagina dell‘Autobiografia, nel tentativo di definire la propria identità, Neill esordisce con una dichiarazione di umiltà, non dissociata dalla consapevolezza della propria grandezza:
«Contrariamente ai Freud, agli Einstein, che hanno fatto grandi scoperte, non ho dissepolto nulla di nuovo, e mi sono limitato a costruire su una psicologia dinamica già esistente. Questa psicologia aveva dimostrato che i sentimenti, e non la ragione, costituiscono la forza motrice della vita: io ho fondato una scuola in cui, al primo posto, vengono i sentimenti».
L‘autoritratto culturale è sostanzialmente corretto. Neill non scopre nulla di nuovo nella storia della pedagogia, ma ha il grande merito di recuperare le istanze poste dalle pedagogie dello sviluppo spontaneo, filtrandole attraverso le moderne acquisizioni della psicologia del profondo: è un Rousseau che ha letto Freud e i suoi seguaci, eretici e no, dei quali ora occorre richiamare le idee fondamentali.
Il presupposto della concezione educativa di Neill è la fede nella bontà originaria della natura umana che trova conferma nella psicologia del profondo e nelle esperienze di Summerhill.
La psicologia del profondo dimostra che non è consentito contrastare le tendenze spontanee della natura del bambino senza provocare in lui dolorosi conflitti e nevrosi. Summerhill, con le sue pratiche educative ispirate al principio dell‘assoluto rispetto della spontaneità dello sviluppo, è una testimonianza vivente e concreta che il bambino, una volta attirato ai suoi interessi e ai suoi desideri, si sviluppa in maniera equilibrata, sano e felice.
Il bambino – sostiene Neill con forza – è naturalmente orientato verso forme positive di comportamento. La natura che agisce in lui, l‘energia interiore che ne sostiene lo sviluppo, è il divino medesimo, che lo rende spontaneamente leale, creativo, equilibrato c felice.
I suoi tratti negativi, in realtà, non sono tratti naturali, ma una deformazione prodotta dalla nostra errata mentalità adulta. Siamo soliti qualifica re il bambino come un “egoista”, e non ci accorgiamo che utilizziamo una nostra categoria morale per definire un aspetto del comportamento che per il bambino è perfettamente naturale e, dunque, di per sé, normale e positivo.
Il bambino è egoista perché è un bambino, perché non può che essere tale in quanto bambino, desiderare che sia diverso è come negargli il diritto di essere naturalmente e spontaneamente se stesso. Più correttamente, per la sua età, per la fase evolutiva che sta vivendo, egli tende ad avere atteggiamenti egocentrici, ubbidisce nei suoi comportamenti al principio di piacere, presta ascolto quasi esclusivamente alle pulsioni del suo vitalismo pro fondo, Allorché costringiamo un bambino a dividere un proprio oggetto coi fratelli, non facciamo altro che fargli odiare i fratelli. Se si ha rispetto per la sua natura, il bambino non ha nulla da rimproverarsi e nulla da farsi rimproverare.
Le lezioni di Freud e di Adler sono in proposito veramente decisive. Nei suoi rapporti con il bambino, l‘adulto (genitore o maestro) non fa che intervenire con consigli, comandi, divieti, giudizi morali e punizioni ma quando gli dà consigli, insinua in lui un senso di impotenza, di insufficienza e di dipendenza; se gli impone ordini, lo indirizza verso azioni che sono in contrasto coi suoi desideri e le sue aspettative, e ne provoca reazioni aggressive; se interviene infine con divieti, ne inibisce le pulsioni originarie, che lo espongono all‘angoscia.
L’intervento repressiva provoca sempre nel bambino paura e odio, lo fa precipitare nel vortice del senso di colpa e lo induce a mascherarsi.
Di fronte all’imposizione del padre il bambino reagisce con l‘odio verso il padre, di fronte ai divieta della madre, spesso associati ad un giudizio morale, reagisce con l‘odio verso la madre ma poiché nello stesso tempo egli interiorizza, idealizzandoli i modelli parentali, resta prigioniero del senso di colpa, da cui si sforza di liberarsi costruendosi una seconda personalità, mascherandosi per farsi accettare la paura e l‘odio ne distruggono cosi l‘equilibrio psichico, lo inducono, attraverso il senso di colpa, all‘odio per se stesso, fino a condurlo ad una disposizione negativa verso la vita. L’infelicità dell‘infanzia è il prodotto degli interventi errati dell‘adulto.
Non esistono – sostiene Neill – bambini difficili, esistono soltanto genitori diffocili, cattivi genitori e cattivi maestri.
Per Neill non ci sono dubbi. La via da seguire è un‘altra, la via della libertà, della spontaneità, dell‘autoregolazione. Occorre restituire l‘infanzia a se stessa. La natura non ha bisogno d‘altro che di se stessa per assicurare equilibrio e felicità all‘esistenza infantile.
L’errore fondamentale della pedagogia consiste da sempre, secondo Neill, nel credere che il bambino debba essere istruito ed educato, che occorra intervenire sul suo processo di crescita con la trasmissione dei valori della nostra cultura e delle nostre convinzioni morali.
Per tale via, però, ciò che si ottiene non è un arricchimento della personalità del bambino, perché all’opposto si innesta in lui quel conflitto tra natura e cultura, spontaneità e coscienza morale, che ne distrugge ogni potenzialità creativa e ne compromette irreparabilmente la salute psichica e il piacere del l’esistenza.
«I libri, a scuola, sono la cosa meno importante. Il resto dev’essere tutto teatro, giocattoli, creta, pittura, sport, libertà».
Per l‘equilibrio e la felicità del bambi non servono né le ideologie né le discipline di studio, perché «la politica non basta a salvare il mondo» («non c’è mai riuscita») e
«tutto il Greco, la Matematica e il Latino del mondo non servono a rendere una famiglia più felice, a liberare i bambi ni dalle loro inibizioni e i genitori dalle loro nevrosi. Allo stesso modo a nulla servono i precetti morali, se non a produrre angoscia e ad accrescere l’infelicità dell’infanzia: «Se vogliamo conservare i fanciulli sani nell’anima dobbiamo guardarci dal dare loro ogni qualsiasi concetto di bene e male, di giusto e ingiusto. Ogni fanciullo ha Dio in sé. I nostri tentativi di modellare il fanciullo cambieranno Dio in un demone». «Il bambino» insiste Neill, «deve vivere la sua vita, non quella che i suoi ansiosi genitori pensano che dovrebbe vivere, e nemmeno una vita che segua i precetti di un educatore che pensa di sapere dove stia il suo bene. Le interferenze e i tentativi di guida da parte degli adulti producono solamente generazioni di automi».
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