Anassagora rappresenta l’arrivo della mentalità ionica, scientifica e laica, nell’Atene del V secolo. Consigliere di Pericle e amico della compagna di lui, Aspasia di Mileto, fu processato per empietà, avendo dichiarato che «sole e luna non sono dèi, ma una pietra infuocata e una massa terrosa».
Il suo pensiero rappresenta la rifondazione delle scienze naturali dopo l’attacco di Parmenide e Zenone, per i quali divenire e molteplicità (dunque l’intera physis) erano illusori e contraddittori in quanto erronea attribuzione di verità al passaggio dal non essere (nulla) all’essere.
Anassagora sosterrà che «tutto è in tutto», ogni cosa è fatta dei semi di tutte le altre (omeomerie) che sviluppandosi (o restando piccoli) passano dall’invisibilità alla visibilità.
Indice
1. La critica al mito e il processo del 433
2. La fondazione filosofica della scienza naturale
2.1 La dottrina delle omeomerie
3. Il noùs: l’intelletto divino che ordina il cosmo
1. La critica al mito e il processo del 433
Nato a Clazomene nel 496 a.C. circa, secondo alcune fonti, Anassagora si recò ad Atene intorno al 480 divenendo consigliere di Pericle e amico della compagna di lui, Aspasia di Mileto.
Con lui la filosofia, nata nelle libere e ricche poleís della Ionia, si trasferì nella capitale dell’Attica che viveva in quel momento l’età del suo massimo splendore.
Anassagora contribuì a diffondervi una mentalità naturalistica, critica nei confronti dei miti e dei valori tradizionali, aperta a quel sapere empirico e tecnico di cui era portatore il demos urbano.
Si inserì pertanto in quel movimento di laicizzazione della mentalità di cui furono rappresentanti, come vedremo, anche i sofisti. Da questi maestri lo differenziavano però i suoi interessi, prevalentemente naturalistici: egli affermava, infatti, di essere nato per «osservare cielo e luna».
Per questo suo sapere critico e indagatore suscitò l’ostilità delle vecchie classi dominanti, legate alla morale e ai valori tradizionali.
Quando la democrazia ateniese cominciò a presentare i primi sintomi di crisi fu così sottoposto a un famoso processo nel 433, nel quale fu chiamato a discolparsi dell‘accusa di empietà: aveva infatti dichiarato che Sole e Luna non sono dèi ma, rispettivamente, una pietra infuocata e una massa terrosa.
Fu quindi costretto ad allontanarsi da Atene – sembra condannato a morte in contumacia – e a tornare nella Ionia dove morì nel 428 ca.
2. La fondazione filosofica della scienza naturale
Come si è visto, la sua filosofia si riallaccia alla tradizione ionica delle matematiche e della filosofia della natura.
Dalle informazioni che ci restano, sappiamo che intorno a lui si formò una cerchia di studiosi che coltivò la medicina e le matematiche, contribuendo in modo decisivo al loro progresso.
Queste discipline avevano subito il duro attacco della dialettica eleatica che aveva messo in discussione la possibilità stessa che di ciò che cambia e si trasforma si possa fare scienza.
Ad Anassagora e ai suoi discepoli si imponeva perciò la rifondazione filosofica delle scienze che comportava di costruire una nuova immagine della natura nella quale la molteplicità e il divenire non risultassero contraddittori e illusori.
Anassagora si mostrò consapevole della complessità della realtà e rinunciò a ricondurla a un solo principio semplice come avevano fatto i milesii.
Il mondo infatti è per lui un aggregato indefinito di cose, ciascuna delle quali è la somma di molteplici qualità, sempre collegate tra loro.
2.1 La dottrina delle omeomerie
Analizzando il mondo sensibile, Anassagora operò la distinzione tra le cose compiute, conosciute per esperienza, e i semi (omeomerie, in greco όμοιομέρειαι, da ὅμοιος, simile, e μέρος, parte) in cui le cose sono contenute.
Secondo la spiegazione che ne diede Aristotele, Anassagora sostenne che le cose sono scomposizione e ricomposizione di semi, per cui ad esempio, una mela che viene mangiata e diventa parte del nostro corpo, deve contenere già le omeomerie della pelle, dei capelli ecc.
Il concetto di seme diventa così il principio esplicativo di ogni trasformazione della phýsis: ogni cosa in natura si sviluppa a partire da semi che contengono tutte le qualità.
Ciò che vediamo è semplicemente il diventare visibile di ciò che prima era piccolo e invisibile e il tornare piccolo e invisibile ciò che prima vedevamo.
Vale a dire che
tutto è in tutto,
ogni cosa contiene i semi, i principi contenuti in tutte le altre.
La generazione e il divenire non sono quindi il passaggio dal non essere all’essere, come sostenevano gli eleati, ma lo sviluppo e la crescita di un seme già esistente che, crescendo, passa da uno stato reale, anche se non visibile, ad un altro, altrettanto reale, visibile.
Anassagora notò probabilmente che ogni organismo (pianta o animale) nasce da un seme preesistente. Lo sviluppo di un seme non è quindi la formazione di qualcosa di nuovo, ma crescita di qualcosa che c’era prima dello sviluppo.
In secondo luogo, il filosofo notò che i viventi si mantengono in vita assumendo sostanze e principi attivi dall’ambiente circostante.
Questo fenomeno fondamentale per la vita, la nutrizione, è reso possibile dal fatto che nelle cose di cui gli esseri si nutrono sono contenuti in germe le sostanze e le qualità di cui è costituito il corpo che se ne alimenta.
Per questo cose diverse hanno dunque qualcosa in comune, almeno sotto forma di semi, per cui possono trasformarsi le une nelle altre.
Si vede, quindi, come Anassagora pensi l’unità profonda della phýsis in termini inediti sia rispetto ai milesii, per i quali la struttura unitaria della natura era attestata dalla comune origine e distruzione delle cose (arché), che ad Eraclito, per il quale la natura emerge dalla legge di trasformazione incessante (divenire) che lega (lógos) le cose.
La sua maggior concretezza e precisione nell’indicare le cause, vale a dire le leggi fisiche, della materia, mette in relazione il pensiero di Anassagora con una tradizione che si va precisando e che va da Anassimene a (come vedremo) Leucippo, Democrito e Aristotele.
3. Il noùs: l’intelletto divino che ordina il cosmo
Al mondo delle cose, dove tutto è “relativo”, Anassagora contrappone il noùs, o “intelletto”: una mente divina ordinatrice che ha dato il primo impulso da cui ha avuto origine il mondo ed è la sola realtà “assoluta”.
Solo al nous, infatti, Anassagora riferisce aggettivi di grado superlativo: illimitato in grandezza, sottilissimo, purissimo, esso può, da un lato, contenere tutte le cose per la sua grandezza, dall’altro, penetrarle internamente, senza mescolarsi a nessuna, per la sua purezza.
In forza di questi suoi caratteri essenziali, l’intelletto conosce ogni cosa: secondo Anassagora ogni conoscenza è possibile per mezzo dei contrari; il noùs, che è altro rispetto a ogni cosa, può quindi conoscerle tutte.
Esso, inoltre, governa ogni cosa: superiore per sua natura a ogni ente, ha potere su tutto, e regge il mondo secondo un ordine necessario.
L’idea che la causa prima dei mutamenti della natura fosse l’intelligenza (noùs) fu molto apprezzata da Platone e Aristotele.
Dato che è proprio degli esseri intelligenti operare in vista di uno scopo, cioè del raggiungimento di ciò che è bene per loro, Platone e Aristotele ritenevano che la teoria di Anassagora implicasse la preminenza delle cause finali (ciò in vista di cui è fatto qualcosa) su quelle meccaniche o efficienti (ciò per mezzo di cui qualcosa è fatto).
A loro avviso, ciò avrebbe permesso di spiegare la conformazione di ogni singola cosa – per esempio, di un organo del corpo umano – in base alla sua funzione, e di comprendere così la necessità per cui essa non può essere altro da ciò che è. In realtà, sia Platone, sia Aristotele si rendevano conto che Anassagora non ricorreva mai a siffatte spiegazioni finalistiche dei fenomeni, ma si atteneva sempre a cause meccaniche, come avrebbe fatto (come vedremo) anche Democrito.
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