Antonio Fiscarelli, Comunicazione e trasmissione secondo Danilo Dolci

by gabriella

Danilo Dolci

Il blog di Giuseppe Casarrubea segnala un bel saggio di Antonio Fiscarelli, dottorando a Lyon 2, sul conflitto tra comunicazione e trasmissione nel pensiero educativo di Danilo Dolci.

Nella storia teorica e pratica dell’educazione, la nozione di trasmissione ha sicuramente riscosso maggiore interesse rispetto a quella di comunicazione, quando questa non è stata decisamente confusa con quella. Non sottostimerei quanto abbia storicamente influito nell’affermarsi dell’una in contrasto con l’altra il fatto che per millenni le popolazioni abbiano vissuto sotto governi dittatoriali prima di cominciare l’esperienza della democrazia [Traduzione del testo francese “Danilo Dolci. Le conflit entre transmettre et communiquer et sa résolution maïeutique, presentato alla “Biennale internationale de l’éducation, de la formation et des pratiques professionnelles”, Parigi, 2012].

La trasmissione – di conoscenze, valori, tradizioni, abitudini – a cui fanno principalmente allusione alcune correnti di pensiero e pratiche educative, i modi di organizzare il passaggio generazionale dei patrimoni sociali e culturali, conserva legami molto forti con le forme di governo che anticipano la nascita della democrazia. Un modello educativo –che Danilo Dolci non ha esitato a definire trasmissivo, nel senso peggiore del termine- si è formato durante secoli di tirannie e dispotismi, di cultura oppressiva, autoritaria e violenta. Al contrario, la nozione di comunicazione e tutto l’universo immaginario che essa implica, sono comparsi solo negli ultimi due tre secoli di progressivo sviluppo dei grandi stati democratici. Questi sono fondati su un’idea molto positiva di comunicazione, intesa come partecipazione e apertura agli scambi e alle relazioni reciproche tra individui e gruppi (ciò che faciliterebbe anche gli scambi meramente economici come li possiamo osservare oggi, fondamentali per il tipo di democrazia che gli stati moderni hanno adottato, ciascuno interpretandolo a modo proprio), mentre le dittature puntano a rompere la comunicazione di individui e gruppi verso l’esterno, a ridurla drasticamente all’interno, a strutturare una comunicazione interna inoculante e omologante.

Nel praticare scambi ridotti al poco che basta per conservare il controllo e il dominio di pochi su molti, anche nelle democrazie la comunicazione resta su alcuni piani appunto vincolata ancora al modello trasmissivo (l’esempio più tipico è quello dato dai mass-media e dalla politiche didattiche nelle scuole e nelle università).  Tuttora prevalente nei centri sensibili dell’educazione dei popoli, tale modello è l’esito dell’interiorizzazione dei modelli precedenti, solo parzialmente influenzati dalla moderna cultura democratica, molto limitatamente cresciuti di autentico democratico modo di essere e fare a seconda del paese).

Ci si potrebbe interrogare supponendo un’equivalenza plausibile tra le due nozioni in questione. Ciò che sembra aver fatto John Dewey nelle prime pagine di Democrazia ed educazione una delle sue opere principali e più conosciute. Le parole trasmettere e comunicare non sono così differenti; per lo meno, egli non si interroga su una possibile differenza di significato tra esse. Egli sottolinea l’importanza del passaggio dei patrimoni biologici e culturali da una generazione all’altra per la continuazione della società, ed arriva a indicare un significato pregnante della parola comunicazione, ma senza preoccuparsi di distinguerla troppo dalla parola trasmissione:

«Non solo la società continua ad esistere attraverso la trasmissione, attraverso la comunicazione, ma si potrebbe dire con ragione che essa esiste nella trasmissione, nella comunicazione. Il legame che unisce le parole “comune”, “comunicare”, “comunità” e “comunicazione” non è solamente verbale. Gli uomini vivono in una comunità in virtù delle cose che hanno in comune. la comunicazione è il mezzo per il quale pervengono a possedere queste cose in comune. per formare una comunità o una società, essi devono avere in comune obiettivi, credenze, aspirazioni, conoscenza – una comprensione comune – un orientamento di spirito affine come dicono i sociologi. Non si possono trasmettere queste nozioni come si passerebbero dei mattoni o ogni altro oggetto materiale». John Dewey, Democrazia ed educazione, 1916.

Peraltro, non bisognerebbe sottovalutare il ruolo crescente che, nell’ultimo mezzo secolo, ha avuto la nozione di «competenza comunicativa» (con tutte le sue sfumature) nella ricerca ispirata alla linguistica chomskiana e soprattutto nella glottodidattica che, mischiando tra loro scienze linguistiche e sociologiche, scienze psicologiche e antropologiche, ha elaborato metodi e approcci molto significativi nell’ambito così particolare come quello dell’apprendimento delle lingue straniere. Coloro che valorizzano appunto l’approccio comunicativo deviano l’attenzione didattica sull’apprendente, considerato come centro dell’apprendimento, e rimettendo all’insegnante la missione di strutturare con lui un rapporto di comunicazione piuttosto che di trasmissione. Essi valorizzano anche lo scambio, la comparazione, l’apprendimento in gruppo, l’esperienza induttiva pratica, le funzioni socio-pragmatiche dei linguaggi e delle lingue, ecc. In questo orientamento, l’educatore in generale opera come comunicatore piuttosto che come trasmettitore, la nozione di trasmettere è sospettata di avallare pratiche educative verticali, dove un soggetto ha solo il compito di trasferire delle cose semanticamente pregnanti a un altro soggetto che ha solo quello di riceverle. E se, come in Dewey, a conti fatti, la distinzione tra trasmettere e comunicare non è così connotata al punto di compromettere la sua idea democratica di educazione, nella visione di Danilo Dolci, al contrario, le due nozioni sono completamente distinte, la loro differenza riflette e rimanda a due maniere diverse di concepire l’educazione, di interpretare e di organizzare in genere i rapporti umani, l’una (il trasmettere) essendo la significazione negativa dell’altro (il comunicare).  La differenza tra cultura trasmissiva e cultura comunicativa delinea il confine che separa due vie diverse e sempre possibili per l’umanità.  Sui mille piani delle interazioni e degli scambi sociali, possono esserci delle diffusioni unidirezionali di messaggi, circolazioni unilaterali di informazioni, trasposizioni glaciali di dati e codici, tanto quanto delle comunicazioni condivise, corrispondenze dialogate e partecipate, comunione di interessi e aspettative secondo i diversi contesti e le diverse forme possibili di reciprocità. Queste due alternative danno vita, secondo Danilo Dolci, a un conflitto attraverso la cui risoluzione si avrà una precisa direzione per la società futura.

«Dal profondo conflitto tra l’insensato dominio che trasmette meccanicamente e le forze educative autentiche comunicanti in modo creativo –scriveva nel 1995- risulterà il destino del mondo» [Danilo Dolci, Comunicare, legge della vita, Manduria-Bari-Roma, Piero Lacaita Editore, 1995, p. 32].

La trasmissione, escludendo dal rapporto interpersonale la reciprocità propriamente detta, avanza un’intenzione di subordinazione e dominazione. Essa recide, in altre parole, la condizione necessaria alla strutturazione di rapporti sani :

«I rapporti trasmissivi ammalano. Sono violenti». Danilo Dolci, La comunicazione di massa non esiste, Manduria-Bari-Roma, Piero Lacaita Editore, 1995, p. 124.

Nel freddo spessore di una cultura eccessivamente trasmissiva, gli individui diventano automi, i rapporti umani si meccanizzano e c’è il rischio di disapprendere a comunicare. Può certo esserci un trasmettere sincero [«Come abbiamo già detto, il trasmettere può essere sincero o falso». D. Dolci, op. cit., p. 175], ma nella misura in cui gli individui si abituano a rapporti unicamente trasmissivi, l’attitudine a trasmettere diventa violenta e si fa dominio, tirannia, dittatura. «Il rapporto esclusivamente unidirezionale nel tempo tende a rendere passivo l’altro, gli altri, e a divenire violento» [D. Dolci, Comunicare, legge della vita, Manduria-Bari-Roma, Piero Lacaita Editore, 1995, p. 386].  In questa prospettiva, «saper distinguere il trasmettere dal comunicare» è un’operazione tanto fondamentale all’educazione, quanto «essenziale … alla crescita democratica del mondo» [D. Dolci, op. cit. p. 32].

Il testo integrale di Fiscarelli è disponibile qui: Danilo Dolci: il conflitto comunicare/trasmettere.

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