
Noi non vogliamo essere i migliori, noi vogliamo che il meglio della vita ci appartenga
Che le scuole siano i frutteti di un gaio sapere, come gli orti che i disoccupati e i più deboli non hanno ancora avuto l’immaginazione di piantare nelle grandi città sfondando il bitume e il cemento
Raoul Vaneigem
La scuola ricorda i penitenziari – osserva Vaneigem – la sua bruttezza e il suo degrado incitano al vandalismo. Bisogna allora distruggerla? Domanda doppiamente assurda. Prima di tutto perché è già distrutta. Sempre meno interessati da ciò che insegnano e studiano – e soprattutto dalla maniera di istruire e istruirsi – professori e allievi non sono forse indaffarati a far colare a picco insieme il vecchio piroscafo pedagogico che fa acqua da tutte le parti?
La noia genera la violenza, la bruttezza degli edifici incita al vandalismo, le costruzioni moderne, cementate dal disprezzo degli impresari immobiliari, si screpolano, crollano, prendono fuoco, secondo l’usura programmata dei loro materiali di paccottiglia. Alle stupide pretese del maestro di regnare tirannicamente sulla classe rispondono con eguale stupidità il baccano e il chiasso che servono da sfogo alle energie represse.
Manfredi De Leo, I principi di economia politica di Ricardo

David Ricardo (1772 – 1823)
Manfredi De Leo illustra il nucleo antiorganicista del Principi di Economia Politica di Ricardo, la tesi che la “crescita” non è necessariamente vantaggiosa per la parte diseredata della nazione. Tratto da Il Manifesto del 3 giugno 2017.
Nella gelida Europa della Restaurazione, mentre l’ancien régime prova a soffocare la marea populista – così la chiamerebbero oggi – scatenata dalla Rivoluzione Francese, viene alle stampe nel cuore di Londra un’opera a suo modo sconvolgente, i Principi di Economia Politica di David Ricardo.
Era il 19 aprile 1817.
«Il sistema di Ricardo è un sistema di discordie che tende a generare ostilità tra le classi sociali e tra le nazioni»
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Fabrizio Gatti, Il naufragio dei bambini
Il servizio dell’Espresso che rivela come la sala operativa della Guardia costiera omise i soccorsi chiesti dai profughi per tre volte, le ultime quando molti erano già in acqua, allontanando la nave Libra che incrociava a poche miglia.
Una telefonata di due minuti e cinquantasette secondi, che pubblichiamo in parte in questa anticipazione, ribalta quanto i vertici della Marina militare hanno fatto riferire alla Camera dal ministro della Difesa, Roberta Pinotti.
L’Espresso, nel nuovo videoracconto “La legge del mare” che vedrete integralmente su questo sito da lunedì 5 giugno, ha raccolto le comunicazioni tra gli ufficiali del Comando della squadra navale della Marina, il Cincnav di Roma, cioè il braccio operativo dello Stato maggiore. E anche le telefonate tra gli ufficiali del Cincnav e la centrale della Guardia costiera.
2 giugno 1946: la repubblica, il voto delle donne
Era un giorno bellissimo, quando i presentimenti neri mi opprimono
penso a quel giorno e spero.
Anna Banti
Un tempo il 2 giugno era la festa della Repubblica, non delle forze armate. Il commento di Ascanio Celestini, tratto da Il fatto quotidiano.
Perché il 2 giugno si festeggia con una parata militare? Si celebra la Repubblica non un colpo di stato. Un motivo ci sarà. Forse più d’uno anche se non riesco ad inquadrarlo nell’Italia del 2014. Non sono esperto di divise, né di celebrazioni.
Qualche decennio fa l’Italia ha chiuso col passato monarchico dopo aver sconfitto quello fascista. C’è stato un referendum che ha aperto il nostro paese alla democrazia. Dovremmo sfilare con matite copiative, schede e urne elettorali. E invece in piazza ci stanno pistole e fucili. Sa la nostra Repubblica democratica è fondata sul lavoro potremmo sfilare coi lavoratori. Anche quello del militare lo è. E in una sfilata di lavoratori democratici (nonostante qualche tentennamento rispetto all’articolo 11 della Costituzione) i militari ci possono stare. Fino a qualche anno fa la leva era obbligatoria e, in un modo o nell’altro, era un esercito di popolo. Ma ora è sotto molti punti di vista un mestiere come tanti altri.
Anche loro avrebbero diritto ad esserci, ma non loro soltanto. Anche operai e contadini, insegnanti e bidelli, artigiani e artisti. E pure i precari e i disoccupati. Sarebbe più allegra una parata dove spunta solo qualche pistola in mezzo ad una selva di zappe e chiavi inglesi, gessetti e cancellini, scalpelli e martelli, trombe e tamburi […].
28 maggio 1974, Piazza della Loggia

Il 28 maggio 1974, una bomba esplode in Piazza della Loggia, a Brescia, durante una manifestazione antifascista, uccidendo otto persone (cinque giovani insegnanti, tre operai, un pensionato) e ferendone oltre cento.
Quarant’anni dopo la strage, la Cassazione ha riaperto il caso giudiziario autorizzando un nuovo processo d’appello contro l’assoluzione dei neofascisti imputati nel delitto: il medico veneziano Carlo Maria Maggi e Maurizio Tramonte, uomo dei servizi infiltrato in Ordine Nuovo. La verità giudiziaria è arrivata 43 anni dopo con la loro condanna.
«Ora gli italiani sanno che l’inquinamento delle prove, i depistaggi investigativi, le connivenze degli apparati dello stato con l’eversione neofascista erano parte di una vita democratica incompiuta e minacciata».
Alfredo Bazoli, padre di Giulietta, 34 anni, insegnante
Gli stereotipi sulle migrazioni
Un modulo di storia sugli stereotipi intorno alle migrazioni di Cesare Grazioli, uscito su Novecento.org, n. 4, 2015.
Premessa: perché tematizzare gli stereotipi sulle migrazioni
Tra le molte questioni “socialmente vive” legate al tema Nord/Sud del Mediterraneo, quella delle migrazioni è senza dubbio la più intensa, quella che più di ogni altra è impressa nelle menti, nei cuori e nelle pance degli studenti, attraverso i più diversi canali (dalle immagini televisive sulle “tragedie del mare”, ai commenti captati in famiglia, alle battute tra coetanei). Queste “preconoscenze”, è superfluo aggiungerlo, sono basate in gran parte su luoghi comuni, stereotipi, pregiudizi, presenti negli studenti come nell’insieme della società. Da questo presupposto mi sembrano ricavabili tre conseguenze:
Le grotte di Lascaux
Le grotte di Lascaux si trovano in Dordogna, nella Francia sud-occidentale. Furono scoperte nel 1940 da quattro ragazzi che cercavano il loro cane, scomparso in un buco del terreno. Si calarono con le corde nella cavità e scoprirono quella che viene definita la Cappella Sistina del Paleolitico.
Il pensiero simbolico nella pittura primitiva
Il simbolismo è innegabilmente l’essenza dell’umanità. Se vi è una sola cosa che distingue l’uomo da tutte le altre forme di vita, attuali o estinte, è la capacità di pensiero simbolico: saper generare complessi simboli mentali ed elaborarli in nuove combinazioni.
È proprio questo il fondamento dell’immaginazione e della creatività: la capacità, unicamente umana, di creare un mondo nella propria mente, e di ricrearlo in quello reale che si trova all’esterno. Altre specie possono sfruttare il mondo esterno con grande efficienza, come gli scimpanzé, ma mantengono sostanzialmente il ruolo di soggetti passivi e meri osservatori. Anche i Neandertaliani, per quanto notevoli possano essere stati, con tutta probabilità si erano a malapena liberati da questa condizione.
È nelle manifestazioni artistiche dei Cro-Magnon che si rivela pienamente la singolare capacità umana di questa popolazione. La loro arte fu molto più di un’interpretazione meccanica dell’ambiente che li circondava. Fu invece una complessa ricreazione del mondo esterno, reso con squisito senso dell’osservazione e con padronanza dei propri mezzi. Non conosceremo mai con certezza il contesto mitico (o i contesti) di quella ri-creazione, ma è evidente che persino le superbe immagini degli animali con cui i Cro-Magnon condividevano il territorio avevano per loro un significato simbolico che trascendeva la semplice identità zoologica. Riconosciamo subito i segni astratti che punteggiano i fregi degli animali di Lascaux indicandoli come “simboli” (quale altro senso avrebbero?), ma è evidente che le immagini degli animali erano per i Cro-Magnon che le dipinsero molto più di semplici raffigurazioni: sono pregne di tutti i significati che popolavano il complesso universo mentale dei loro autori.
Tattersal T., Il cammino dell’uomo, Garzanti, p. 163.
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