Barbara Alberti sulla morte in carcere di Stefano Cucchi

by gabriella

Per Stefano

Domenica 30 giugno, Barbara Alberti ha parlato di Stefano Cucchi a Radio24ore, nella rubrica La guardiana del faro [dal minuto 26:50].

Vi abbiamo fatto sentire la canzone di Franco Battiato, specialmente per la frase chiave che contiene e che, ahimé, abbiamo avuto occasione di ricordare molte altre volte: “ma non vi danno un po’ di dispiacere quei corpi in terra senza più calore”. Frase che si attaglia a tante tragedie italiane che si svolgono accanto a noi e non cambiano niente, come i suicidi per disperazione, gente che non ha il lavoro, che ha subito un’ingiustizia, persone che si danno fuoco o si sparano, rivolgendo la rabbia contro di sé.

Stefano CucchiQuesta volta con la frase di Battiato ci riferiamo a Stefano Cucchi che entrò in carcere vivo e ne uscì moribondo, per morire poco dopo all’Ospedale a causa delle percosse ricevute ma, secondo la sentenza emessa dai giudici nel finale del processo, non è stato nessuno. Ho davanti a me la sua foto che non è facile da guardare, quella pubblicata sul Fatto quotidiano del 6 giugno, dove ha il volto devastato.

Il giornale si riferisce alla sentenza del tribunale, il quale ha assolto gli agenti della Polizia penitenziaria accusati di averlo picchiato causandone la morte e titola: “L’hanno ridotto così, ma per i giudici è colpa dei medici”. I medici hanno avuto delle pene leggere, ma la pena è stata sospesa per tutti.

Questo ragazzo si chiamava Stefano Cucchi. Aveva 31 anni, era geometra, gli piaceva la boxe. Era stato tossicodipendente e qualche anno prima della morte si era curato in comunità. Io qui cito da wikipedia: “Il 15 ottobre 2009 Stefano Cucchi venne trovato in possesso di 21 grammi di hashish e antiepilettici – oh, questi farmaci era assolutamente legittimo che lui li avesse perché aveva sofferto anche di epilessia -“. In conseguenza di questo venne decisa la custodia cautelare.

Quando è entrato in carcere, il giovane non aveva alcun trauma fisico. Il giorno dopo, quando viene processato per direttissima, si presenta che non riesce quasi a camminare da quanto sta male e a parlare e ha una faccia devastata dalle botte: ematomi da ogni parte. Nonostante lo stato in cui si trova, il giudice stabilisce una nuova udienza per qualche settimana dopo e lui rimane in custodia cautelare a Regina Coeli. Dopo la prima udienza, le condizioni di Cucchi peggiorano terribilmente: viene visitato all’Ospedale Fatebenefratelli e vengono messi a referto lesioni ed ecchimosi alle gambe, al viso, ma non piccole ecchimosi: al viso ha anche una frattura della mascella, all’addome ha anche un’emorragia della vescica, al torace, tra cui due fratture alla colonna vertebrale. Morirà. pochi giorni dopo all’Ospedale Sandro Pertini, il 22 ottobre, sette giorni dopo l’arresto. Quando muore, Stefano Cucchi pesa trentasette chili.

Dopo la prima udienza, i familiari hanno cercato a più riprese di vederlo, almeno di sapere in che stato era, perché lo avevano visto in che stato era ridotto durante la prima udienza. E invece, niente: viene negato qualsiasi contatto e viene negata qualsiasi notizia. la prima notizia che la famiglia ha di Cucchi è quando un ufficiale giudiziario va a casa loro per chiedere l’autorizzazione all’autopsia.

Questa è la storia: un ragazzo entra in carcere per ventuno grammi di hashish, viene ammazzato di botte, ma non ne ha colpa nessuno. Si, un po’ di trascuratezzdito medioa dei medici, secondo la sentenza ma, per morire non basta che uno sia trascurato, bisogna che uno sia arrivato lì in gravissime condizioni. No, no, la colpa è dei medici: omicidio colposo. Colposo vuol dire, in fondo, involontario. Quando viene letta la sentenza in aula, e tra l’altro questa cosa gravissima per cui le pene non solo sono leggerissime, ma sono state anche sospese, si levano delle proteste e allora qualcuno tra i parenti degli agenti assolti mostra il dito medio ai parenti del ragazzo ucciso. Non basta l’assoluzione: anche lo sfregio. Nessun rispetto davanti alla morte.

E’ terribile vivere in un paese dove non ci possiamo fidare degli ospedali e delle carceri e quella crudeltà colpevole di non avvertire i parenti, di farlo morire solo come un cane, di non dare alla madre, al padre, alla sorella, la possibilità di rivederlo, ma già, avrebbero fatto delle domande, si sarebbero resi conto dello stato in cui era: guai ad avere dei testimoni. E tutta la mia ammirazione va alla sorella di Stefano, Ilaria Cucchi, la quale dalla morte del fratello ha dedicato ogni giorno della sua vita a chiedere giustizia. Ora, dedicare la vita in tre parole comprende un’infinità di rinunce, di difficoltà e anche la volontà stoica di votarsi alla ricerca della giustizia per non abbandonare il fratello e quindi di vivere costantemente, senza tregua, accanto a questo dolore. Ma quale senso della civiltà ci vuole, e della legalità, per rispettare una legge che non ti rispetta, che lascia che ammazzino tuo fratello.

Federico AldrovandiMa questo non incide sulle nostre vite, tutto continua come prima, noi non pensiamo che potrebbe toccare a noi o a una persona a noi vicina. Siamo così anestetizzati: ci hanno abituato e ci siamo abituati a camminare sui morti. Ilaria, come Antigone, vorrebbe dare onorata sepoltura al fratello, ovvero, con un po’ di giustizia. Ma l’autorità, Creonte, il potere, non lo permette. C’è da aver paura a essere cittadini italiani oggi. Questo invito all’impunità, questo trionfo dell’impunità, come nel caso di un altro ragazzio ucciso dalla polizia, Federico Aldrovandi, dove gli agenti erano stati condannati a qualche mese e i colleghi inscenano delle manifestazioni davanti al posto di lavoro della madre per sfotterla e provocarla, come se non fosse bastato ammazzarle il figlio. Marco Staderini, a nome dei radicali, afferma: “la Repubblica italiana non è solo responsabile dela sua morte, ma non ha spiegato cosa sia davvero successo”, e chiede di introdurre il reato di tortura e garanzie per chi finisce nelle mani dello stato, che mi sembra il minimo delle basi di una civiltà che si vuole democratica.

Poi, quest’altra cosa atroce: assolvere gli agenti, ripiegando sulla resposabilità dei medici, come se fosse meno grave che ad ammazzarti sia stato un dottore. Io non capisco, io vorrei che qualcuno mi spiegasse, perché la sentenza non sipega niente, questa sentenza terrorizza soltanto. Non spiega, ma terrorizza. All’idea di finire in prigione o all’ospedale Sandro Pertini dove Stefano Cucchi, a 31 anni, è morto. E non vale nemmeno dire “potrebbe succedere a noi”, “potrebbe succedere ai nostri figli“, intanto è successo a Stefano Cucchi e mi pare che basti.

Stefano_Cucchi

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