Bergson, prepararsi a vivere bene

by gabriella
Henri Bergson (1859 - 1941)

Henri Bergson (1859 – 1941)

Morte di un filosofo per il quale la filosofia era stata un «prepararsi a vivere bene».

«Le mie riflessioni mi hanno portato sempre più vicino al cattolicesimo dove vedo l’inveramento completo del giudaismo. Mi sarei convertito se non avessi visto prepararsi da anni l’immane ondata d’antisemitismo che s’infrangerà sul mondo. Ho voluto restare fra quelli che saranno domani perseguitati» [Testamento, 1937].

Tratto da Filosofia. Corso di sopravvivenza, di Girolamo di Michele [Ponte alle Grazie, 2011, pp. 355-256]

Bergson ha incontrato una buona morte, perché la sua morte è stata “giusta”. Eppure Bergson a occuparsi di etica è arrivato (se ragioniamo con le etichette e le categorie) piuttosto tardi: all’inizio degli anni Trenta. Però aveva già detto l’essenziale in un piccolo saggio, Il possibile e il reale, in cui invitava a occuparsi del rapporto fra realtà e possibilità perché lo studio di questi rapporti

«può essere un prepararsi a vivere bene»:

gli atti che rendono possibili i rapporti tra ciò che è e ciò che potrebbe essere sono definiti da Bergson come atti di libertà.

Più Bergson invecchia, più il tema della libertà gli sembra importante: il filosofo che aveva preso parte attiva alla propaganda durante la prima guerra mondiale assiste alla progressiva affermazione in Europa di regimi sempre più dispotici, illiberali, totalitari.

In questi anni Bergson elabora la distinzione tra società chiuse e società aperte: una distinzione che attraversa i campi della morale, della religione e anche (come ha cercato di argomentare il filosofo Michel Serres) della scienza. Una società chiusa è una società portata alla conservazione, alla ripetizione sempre uguale delle stesse pratiche e degli stessi automatismi, all’obbedienza meccanica: è l’espressione suprema dell’egoismo individualistico.

Al contrario, in una società aperta gli individui si compenetrano l’un l’altro liberamente. Tra queste società esiste una sorta di dialettica naturale: le società sorgono per effetto di grandi rivoluzioni morali o religiose che aprono gli individui alla libertà; col tempo, però, ciò che era libertà diventa dogma, ciò che era novità diventa ripetizione, e le società si irrigidiscono nelle regole, nella ripetizione, nelle convenzioni. Finché una nuova rivoluzione spirituale rompe questa rigidità e fluidifica nuovamente la società. Ed è significativo che Bergson trovi un segno di questa sempre possibile rottura, che è insita nella costante possibilità che le cose siano diverse da quel che sono, nelle passioni, e in particolare nell’emozione. L’emozione provata all’ascolto di un brano musicale prefigura la possibilità di una comunicazione libera, e quindi la possibilità di una società di uomini che, proprio in quanto liberi, possono creare il proprio destino senza essere vincolati dalla chiusura sociale, cioè dall’ottusità dell’opinione pubblica, del comune sentire, delle convenzioni sociali: l’emozione creatrice è una risorsa etica che ciascuno di noi possiede dentro di sé, e che può sempre essere suscitata dalla comunicazione che l’emozione crea fra gli uomini.

14 giugno 1940

14 giugno 1940

Accade poi che il vecchio Bergson, dieci anni dopo, veda le truppe naziste occupare Parigi: e di certo, anziano e sofferente, non può allontanarsi (come invece farà Walter Benjamin, portandosi dietro la fiala di cianuro). Bergson proveniva da una famiglia ebraica, ma non era di religione israelita; di più: si sentiva cattolico, e aveva deciso di farsi battezzare per ricevere il sacramento. I nazisti non avevano alcuna considerazione per gli esseri umani, ma erano in qualche modo intimiditi dalla fama di Bergson, premio Nobel nel 1927, forse il più celebre filosofo vivente: e gli offrirono condizioni di favore per trascorrere dignitosamente il poco tempo che gli restava da vivere. Bergson non solo rifiuta, scegliendo – lui che ebreo di fatto non è – di morire nel ghetto accanto agli ebrei parigini; ma decide di non rivelare l’avvenuta conversione al cattolicesimo, rinunciando al sacramento del battesimo per non privare della sua solidarietà i più oppressi fra i francesi. In questo modo Bergson, che ha messo al centro della propria riflessione la libertà, trasforma la sua stessa morte in un atto di libertà.

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