Bernard Stiegler, Reincantare il mondo

by gabriella

Traggo da Kainós una buona recensione alla traduzione italiana dell’ultimo libro di Bernard Stiegler, dedicato ad una rilettura del ruolo delle tecnologie nella società contemporanea.

La strategia interpretativa di Stiegler è farmacologica, più che dialettica, derridiana non adorniana: nel concetto di farmakon c’è infatti sia l’idea del veleno che della cura. Leggere questa recensione mi ha fatto tornare in mente il veloce, ma intelligente libretto di Johnson Steven, Tutto quello che ti fa male ti fa bene. Perché la televisione, i videogiochi e il cinema ci rendono intelligenti, utile per rimuovere gli ultimi residui di una vulgata adorniana (antitecnologica e sospettosa di ogni prodotto dell’“industria culturale”) che, come ogni vulgata che si rispetti, ha ormai perso ogni riferimento con il meglio del pensiero francofortese.

Non sono molti i libri di Bernard Stiegler tradotti in italiano, eppure si tratta di uno degli autori francesi più prolifici e criticamente impegnati nella interpretazione della nostra contemporaneità. Per tale ragione, la traduzione, ben curata da Paolo Vignola, di uno dei suoi testi più politicamente espliciti (per quanto si tratti di un testo teoreticamente meno complesso di altri, specie se confrontato con i tre volumi dedicati a La Tecnique et le Temps) è di sicuro un evento editoriale di un certo interesse. In Réenchanter le monde, pubblicato in Francia nel 2006, Stiegler oserei dire rischiosamente mette in chiaro, adoperando un registro stilistico molto “diretto” e friendly, gli scopi politico-sociali non solo della sua personale ricerca ma anche di quella del gruppo di “Ars Industrialis” fondato nel 2010.

Nella critica teorico-politica sia al “populismo industriale” (il capitalismo iper-consumista) che al nuovo “capitalismo finanziario”, Stiegler e il suo gruppo adottano una strategia che, mutuata da Derrida, ma declinata ben oltre l’ambito del decostruzionismo, chiamano “farmacologica”. Si tratta a mio avviso di una strategia di notevole interesse, in quanto appare alternativa sia a quella “dialettica” dominante il pensiero critico degli anni Sessanta-Settanta del Novecento, sia alle teorizzazioni politiche “comunitar-antagoniste” degli anni Novanta e del primo decennio del nuovo millennio.

Se il pharmakon è “veleno”, esso è, anche, il rimedio che ridona la salute. Se la tecnologia, in sinergia con lo sviluppo del capitalismo, è ed è stata il “veleno” della nostra epoca, se è sostanzialmente la causa dell’odierno mal-être, vale a dire della odierna “miseria simbolica”, secondo l’espressione utilizzata da Stiegler, si tratta allora di trovare in essa, e non semplicemente contro di essa, il rimedio per la rinascita del “valore spirito”. In questo consiste il progetto teorico-politico del “reincanto” del mondo. Oltre la farmacologia decostruttiva, sostiene Stiegler, è necessario ora cimentarsi in una “farmacologia positiva”.

Un esempio stiegleriano di tale strategia è quello relativo all’invenzione del pageranking di Google. Se essa (che egli considera un’innovazione tecnologica paragonabile alla macchina a vapore), in quanto invenzione brevettata e protetta da copyright, permette a Google di sfruttare economicamente miliardi di ricerche cognitive individuali ogni secondo, dall’altro lato è un’invenzione che ha trasformato in profondità il modo di lavorare di milioni di persone (p. 51 sgg.) creando le possibilità tecniche di una nuova società del “sapere condiviso”.

Come ricorda Paolo Vignola nella sua circostanziata introduzione, Stiegler da molti anni ha dedicato attenzione a quelle tecnologie “ipomnematiche” (o “ritenzioni terziarie”, come egli le chiama con riferimento alle analisi fenomenologiche husserliane sul tempo della coscienza), che vanno dalla scrittura ai mass media, fino alle odierne tecnologie informatiche, e che sono “produttive” di “oggetti temporali” esterni alla coscienza influenzandone i meccanismi. Stiegler, tuttavia, sa bene (lo ha appreso da Derrida) che, senza ipomnémata, senza meccanismi di iscrizione nel fuorispaziale e macchinico” (in un “fuori” che è anche originariamente un “dentro”) non si dà “coscienza”. Per cui si tratterebbe semmai, come sempre, di “prender coscienza” dei processi “grammatologici” che rendono la “coscienza” “grammaticamente” e storicamente possibile. Forse con un nascosto riferimento a McLuhan, che aveva indagato lo scatenamento pulsionale derivante dall’incontro-scontro tra i media della comunicazione, Stiegler più volte ricorda la tesi secondo la quale l’epoca che viviamo è quella dello scatenamento delle pulsioni e della liquidazione del desiderio. «C’è sempre meno desiderio, mentre ci sono sempre più pulsioni» (p. 55) – egli scrive, utilizzando una nozione di “desiderio” molto più vicina a quella di Deleuze che non a quella di Lacan. Tuttavia, perché vi sia desiderio

«è necessario ricostruire dei lunghi circuiti di transindividuazione. Ciò significa che bisogna ricostruire proprio dei piani di consistenza, e per farlo si rende necessario sviluppare dei concatenamenti tecnologici […]; bisogna essere in grado di fare una farmacologia positiva di Internet» (pp. 55-57) .

Le “tecnologie dello spirito” sono infatti quei processi di “grammatizzazione” che devono essere pensati criticamente sia come “veleni” che come “rimedi”:

«le tecnologie dello spirito come veleno e come rimedio derivano dal processo di grammatizzazione che accompagna e sovradetermina sempre il processo d’individuazione in quanto processo d’adozione (di modi di vita, di tecniche, di migranti, ecc.). Il processo di grammatizzazione è ciò attorno a cui, nel corso dei secoli e dei millenni, si costituiscono e si riconfigurano le civilizzazioni. Quando queste civiltà, che sono mortali, raggiungono i loro limiti e si bloccano, diventano inumane, il processo di grammatizzazione è ciò tramite il quale sono generati i dispositivi hypomnesici» (p. 110).

Se questa è la strategia critica e politica messa in campo da Stiegler e dal gruppo Ars Industrialis, risulta evidente nel libro – nonostante il tentativo fatto dal curatore di “difesa preventiva” nel suo ampio saggio introduttivo – ancora una qualche nostalgia di un pensiero e di un mondo “simbolici” sottratti ai processi macchinici di grammatizzazione. La stessa scelta dell’espressione “reincanto del mondo” è la cifra di tale residuo nostalgico e romantico.

«Si tratta di inventare – scrive Stiegler – l’industria del calcolo che impedisca di calcolare (sul) le esistenze – ma inventarla con gli strumenti digitali. Si tratta, in effetti, di reincantare il mondo, ossia di edificare i modi di sussistenza e di esistenza che sostengono l’altro piano, il piano delle consistenze, che è quello del canto – il canto delle Sirene senza le quali non c’è nulla. Solo là si trova il piano dei motivi che, come orizzonte delle Muse, è il piano dell’incanto»(p. 124).

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