Nel 2011, Fondazione Agnelli, Caritas e Associazione Treelle proponevano un radicale cambiamento nella filosofia del sostegno agli alunni portatori di bisogni educativi speciali (BES): tenerli in classe ad insegnare italiano e matematica ai ragazzi disabili era dispendioso e poco efficace – si sosteneva -, meglio creare una nuova entità burocratica, i Centri Risorse per l’Integrazione, sportelli unici dedicati ai bisogni educativi speciali anche al di fuori dell’orario scolastico.
Dopo aver ridotto di anno in anno l’assegnazione degli insegnanti di sostegno alle scuole, arriva ora la soluzione ministeriale per i BES: disagio scolastico? Bisogni speciali non certificabili? DSA? Se ne occupino i docenti curricolari (mentre insegnano agli altri trenta). Basta stendere il Piano Didattico Personalizzato ..
La novità è che nei BES possono ora essere inclusi i ragazzi stranieri non ancora italofoni, quelli con forti problematiche psicologiche o emotive e la sempre crescente area dell’analfabetismo funzionale (cioè del disagio socio-economico e della deprivazione culturale). A questi ragazzi così diversi che in comune hanno solo – secondo la logica binaria operante – di non essere abili, si offre semplicemente l’abbassamento degli standard educativi, non una didattica di inclusione: per quella, come per tutto ciò che conta, servono risorse, intelligenza, impegno, vale a dire tutto ciò che alla scuola viene quotidianamente tolto.
Per farsi un’idea della burocratizzazione del problema educativo, basta seguire i primi due minuti del tutorial preparato dalla Gilda [ il tono di voce dell’oratrice è tutto un programma].
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Stralcio dall’analisi condotta da Sara Biscioni su contropiano.org, i passi più significativi.
Il 6 marzo 2013 il Ministero dell’Istruzione ha emanato la Circolare Ministeriale n. 8 che richiama l’attenzione sulla Direttiva Ministeriale del 27 dicembre 2012 a titolo “Strumenti d’intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica”.
Uno legge “bisogni educativi speciali” e pensa alle disabilità; uno legge “inclusione scolastica” e pensa a qualcosa di positivo, a una qualche forma di diritto e di uguaglianza. Uno legge la Circolare Ministeriale e, invece, qualche dubbio viene.
Ora, la Circolare Ministeriale n. 8 è un guazzabuglio di riferimenti a situazioni e studenti così diversi tra loro da far girare la testa; è un’accozzaglia di pseudo-indicazioni che sembra un copia-incolla degno del peggiore studente alle prese con una tesina copiata da Wikipedia. La Circolare (e in parte anche la Direttiva a cui si riferisce) affianca il “diritto all’apprendimento”, il “diritto alla personalizzazione”, lo “sforzo congiunto di scuola e famiglia”, le “certificazioni” e le “diagnosi”, elementi di per sé inoffensivi – e anzi talvolta utili – ad elementi potenzialmente molto pericolosi.
Quindi, smettiamo di pensare che sia stata scritta da incompetenti (difficile, certo, visto l’impegno che ci mettono), e proviamo a pensare che ci sia uno scopo in quello che il Ministero emana.
La Circolare ribadisce la necessità di attivare una personalizzazione della didattica attraverso il percorso individualizzato e personalizzato, da cui scaturisce il Piano Didattico Personalizzato, deliberato in Consiglio di Classe. Tale Piano non sarà più
“inteso come mera esplicitazione di strumenti compensativi e dispensativi per gli alunni con DSA; esso è bensì lo strumento in cui si potranno, per esempio, includere progettazioni didattico-educative calibrate sui livelli minimi attesi per le competenze in uscita […], strumenti programmatici […] a carattere squisitamente didattico-strumementale”.
Sorvolo sui problemi connessi alle diagnosi -spesso e volentieri abusate- di DSA, su cui ci sarebbe da riflettere a lungo, per arrivare al punto: a chi è destinata questa mirabolante personalizzazione degli apprendimenti e della didattica? A “tutti gli studenti in difficoltà”, vale a dire, come si legge nel primo capoverso
“all’intera area dei Bisogni Educativi Speciali (BES), comprendente ‘svantaggio sociale e culturale, disturbi specifici di apprendimento e/o disturbi evolutivi specifici, difficoltà derivanti dalla non conoscenza della cultura e della lingua italiana poiché appartenenti a culture diverse’”.
Molti insegnanti penseranno: “Beh, almeno questa Circolare impone l’adozione di un Piano Educativo Personalizzato che può aiutare gli studenti non madrelingua ad accostarsi poco a poco allo studio delle discipline”, che è quanto già si fa e si dovrebbe fare attraverso una riduzione temporanea dei contenuti e una semplificazione temporanea dei testi di studio e delle verifiche in caso di difficoltà connesse alle scarse competenze in lingua italiana. Attenzione però a non confondere la bontà dello strumento (il piano personalizzato, che spesso è utile ed efficace) con la bontà del piano generale a cui lo strumento si riferisce.
Perchè mettere questi studenti, e le loro difficoltà, sullo stesso piano degli studenti con difficoltà cognitive? E lo “svantaggio sociale e culturale”, cosa c’entra? Sono io la prima a sostenere che le difficoltà economiche, la mancanza di reti sociali e comunitarie, la mancanza di possibilità di accesso a strumenti di ricchezza culturale possono (possono) provocare insuccessi scolastici o precoce abbandono degli studi, ma in questi casi non c’è bisogno di sigle o programmazioni: c’è bisogno di agire per eliminare le condizioni economiche, sociali e linguistiche che rendono questi studenti “svantaggiati”. Ovviamente, per limitarci alle azioni a livello scolastico, il primo passo sarebbe dare fondi e professionalità alle scuole i cui studenti maggiormente vivono queste ingiustizie….
La Circolare ne parla, di fondi, in modo confuso e incerto. Parla di fornire fondi sulla base del Piano Annuale per l’Inclusività (che suona un po’ orwelliano), fondi che dovrebbero essere stanziati dagli Uffici Scolastici regionali. La domanda “quali fondi, visto che li tagliate tutti” sorge banalmente spontanea, ma rimaniamo sul piano teorico: sembrerebbe si vogliano dare fondi alle scuole “più inclusive”, cioè con più studenti in difficoltà. Buona cosa, uno direbbe, se anche appunto i fondi ci fossero – e vien da chiedere perchè allora abbiano tagliato il Fondo d’Istituto, o perchè i fondi delle Aree a Forte Processo Immigratorio stiano per sparire.… Ma andiamo avanti: dalla “rilevazione, monitoraggio e valutazione del grado di inclusività della scuola” si potranno “desumere indicatori realistici sui quali fondare piani di miglioramento organizzativo e culturale”.
Dunque indicatori di inclusività. Ottimo, uno pensa: sapremo così quali sono le scuole più attente ai bisogni degli studenti BES, cioè con svantaggio sociale, culturale, problemi cognitivi e comportamentali vari, stranieri. Ma leggiamola a rovescio: sapremo esattamente quali sono le scuole con più studenti con svantaggio sociale culturale ecc….
Cioè qualcuno potrà farsi un’idea precisa e scegliere magari di non mandare il proprio figlio in quella scuola così troppo “inclusiva”. Ed ecco che l’inclusione può diventare segregazione. In un attimo. A partire da una Circolare che sembra scritta da incompetenti. Se poi a questo ci aggiungiamo i dati desunti dagli Invalsi, che permettono di scegliere la scuola “più performante”, dove ci sono i migliori insegnanti e studenti, cosa che peraltro consigliavano di fare già durante queste prime iscrizioni online…. Viene da chiedersi, per esempio, perchè tutti questi studenti BES debbano sostenere comunque le prove Invalsi, visto che possono “godere” di tutte queste “personalizzazioni”…
Fantascienza educativa? Forse. Ma se andiamo a leggere, per esempio, il No Child Left Behind Act statunitense (amministrazione Obama) e soprattutto le puntuali critiche a questo provvedimento, e se andiamo a guardare il grado di segregazione delle scuole statunitensi – visto che ai nostri governanti l’esempio degli Usa piace -, e se andiamo a vedere quali scuole stanno chiudendo nelle città statunitensi, alla faccia del No Child Left Behind Act (54 nella sola Chicago, tanto per dire, e non certo dei ricchi sobborghi) allora sembra tutto molto reale, e pericoloso.
A voler essere più ottimisti, sarebbe senza dubbio necessario interrogarsi sulla bontà e sulle finalità dell’allargamento indiscriminato di nozioni controverse come quella di Bisogni Educativi Speciali che generano dubbi e critiche in molti paesi anche più vicini a noi, per esempio in Francia.
Circolare MIUR sui BES: mentre discriminano ci prendono in giro [tratto da USB – scuola]
Il MIUR ha di recente emanato una nuova normativa sui BES (bisogni educativi speciali) richiamando le istituzioni scolastiche all’applicazione di nuove misure per realizzare l’inclusione scolastica. Sebbene la prospettiva dell’ICF (International Classification of Functioning) sia più che largamente condivisa, occorre però che la comunità scolastica si interroghi in modo molto serio sulle indicazioni fornite dal Ministero e sulle condizioni di realizzabilità di quanto, come docenti della scuola statale, saremo chiamati a svolgere dal prossimo anno scolastico.
Di fronte a situazioni temporanee o con continuità che, però, non presentino alcuna certificazione medico-specialistica, la direttiva ministeriale invita i Consigli di Classe sulla base delle proprie osservazioni pedagogiche ad adottare delle misure dispensative e compensative (estendendo così i benefici della legge 170/10 dagli alunni con DSA, disturbi specifici di apprendimento, a tutti gli alunni che presentano BES). Ovviamente non viene da mettere in discussione la bontà dell’intento di includere a partire da una prospettiva slegata dalla medicalizzazione (fin qui la certificazione medico-sanitaria è stata vincolo fortissimo di oggettività del disturbo o della disabilità), ma ci si chiede se, in mancanza di un indirizzo più preciso da parte del Ministero, la discrezionalità alla quale questi interventi saranno soggetti potrà creare con le famiglie dei contenziosi che nella circolare non sono nemmeno messi in conto.
Dopo aver ridotto in questi anni le ore di sostegno in modo indiscriminato (andando incontro a numerosi ricorsi delle famiglie per veder ripristinato il numero corretto delle ore assegnate) il Ministro adesso progetta un tipo di intervento in cui il carico di cura viene suddiviso tra tutti i docenti del Consiglio di Classe in modo da allargare la cultura dell’inclusione. Ma quanti sono stati i corsi di aggiornamento e formazione gratuiti in questi ultimi anni, tali che si possa ritenere la comunità educante tutta, a partire dal prossimo anno scolastico, pronta a realizzare una personalizzazione dei percorsi educativi anche senza la presenza di un docente di sostegno (attualmente l’unico personale realmente formato per un intervento educativo ponderato sui BES)? E quanti dei master, citati nella circolare, saranno realmente attivati in modalità totalmente gratuita così che gli insegnanti (quelli meno pagati in Europa1) possano prendervi parte?
Quali e quanti alunni presentano bisogni educativi speciali in Italia? Il totale si aggira intorno al milione di studenti con BES in una scuola povera di risorse che le ultime riforme scolastiche hanno deprivato di investimenti e professionalità qualificate come quei docenti precari presenti nelle graduatorie ad esaurimento provinciali che sono stati formati nei bienni di specializzazione post universitaria delle Siss.
Bene. Il Ministero spieghi come è possibile realizzare inclusione scolastica di qualità quando si è costretti a lavorare in aule sovraffollate, in scuole prive di mezzi, in assenza di risorse economiche adeguate per l’attivazione di mediatori culturali, corsi di L2, progetti contro la dispersione scolastica e quanto altro.
Chi firma l’attuale direttiva pensa davvero che si possano fare le nozze con i fichi secchi? Pensa davvero di potersi dire esonerato da ogni responsabilità diretta con una semplice petizione di principio “noi vogliamo essere inclusivi” senza che a questa segua una concreta volontà politica di creare delle reali condizioni di realizzabilità di quanto enunciato fin qui formalmente? Pensa il Ministero che per i docenti della scuola statale questi alunni non esistessero prima dell’emanazione della normativa sui BES? Chi lavora nelle scuole italiane sa che i Consigli di Classe, soprattutto quando si avvalgono della competenza di un docente di sostegno, lavorano con i BES da molti anni rendendo la progettazione disciplinare flessibile alle esigenze pedagogiche del contesto classe in cui operano.
A chi è davvero utile creare l’etichetta dei BES? Serve per un reale riconoscimento giuridico di quei bisogni che già nella nostra didattica teniamo in considerazione oppure l’etichetta BES e le misure alle quali ci chiama il MIUR sono invece utili a chi governa perché i docenti prendano atto formalmente delle diverse difficoltà degli studenti profilando misure-tampone piuttosto che sopperirvi realmente con vere misure risolutive? Per esempio quanto è da ritenersi corretto trattare i BES che non sono ascrivibili a disturbo dell’apprendimento con le misure che riguardano i DSA? Può un alunno affetto da ADHD non vedersi riconosciuto l’affiancamento di sostegno? Va bene pensare di adottare le stesse misure con cui si interviene per i DSA con chi si trova in svantaggio socioeconomico, linguistico, culturale? Questi ultimi studenti non presentano alcun disturbo, ma siamo pronti a trattarli come se lo avessero? Chiediamoci solamente perché dovremmo intraprendere queste azioni educative e chiediamoci se le condividiamo.
Inoltre, non è possibile dire di voler realizzare la prospettiva indicata dall’ICF senza una analisi seria dei fattori contestuali e delle modalità attraverso le quali si progetta l’inclusione. Se la disabilità o i BES vanno intesi come la conseguenza/il risultato di una complessa relazione tra la condizione di salute di un individuo, i fattori personali e i fattori ambientali che rappresentano le circostanze in cui egli vive, ne consegue che, date le condizioni di salute di un individuo, il trovarsi in un ambiente piuttosto che in un altro determina la presenza di caratteristiche che possono restringerne le capacità e la partecipazione sociale. Chi afferma di “aver deciso di essere inclusivo” e di voler operare nella prospettiva ICF dovrebbe aver anche fatto una analisi di metodo sugli ostacoli da rimuovere e sugli interventi da effettuare perché ogni individuo possa giungere alla propria auto-realizzazione. E, invece, pur avendo richiesto a gran voce negli ultimi anni degli investimenti che rimuovessero gli ostacoli per poter davvero personalizzare i nostri interventi, ci ritroviamo con delle indicazioni normative che non rispondono alle reali necessità degli studenti e che, forse, sono utili unicamente a salvare la faccia a chi si ostina a non voler fornire reali strumenti di riduzione dello svantaggio2.
Svolgere una seria analisi dei contesti ambientali significa avere un proposito chiaro circa “il rispetto e il rafforzamento della normativa attualmente in vigore per i soli alunni con disabilità, riguardante il tetto massimo di venti per classe, fissato dall’articolo 5, comma 2 del DPR 81/09”3 o l’emanazione di una “norma che limiti il numero di alunni certificati con disabilità in una classe, numero massimo fissato dalla Legge 144/99, che però è stato abrogato dal citato DPR 81/09 [in quanto] con classi numerose è impossibile dare risposte didattiche a tutti gli alunni con BEI [bisogni educativi individuali] e per aspetti come questi, non si può prescindere da norme legislative, non essendo sufficiente rimettersi all’autonomia scolastica, stante il problema dei crescenti tagli alla spesa pubblica, dovuti al Patto di Stabilità interna e internazionale. Il rispetto della normativa sul tetto massimo di alunni per classe”4.
Che senso ha la proposta di aumentare il numero degli attuali CTS (centri territoriali di ausilio tecnologico) per offrire alle scuole dei riferimenti di supporto? La risposta potremmo trovarla facilmente nelle parole conclusive del prof. D’Alonzo, nel suo intervento al recente convegno La scuola è aperta a tutti, “chi si occupa di didattica e pedagogia speciale deve respirare la polvere delle aule!”5. Non abbiamo bisogno, quindi, di consulenti esterni ai nostri consigli di classe, quanto piuttosto di assunzioni per garantire la continuità didattico-educativa degli interventi di sostegno.
Viene allora da pensare che il vero intento di questa nuova normativa sia da leggere in un passaggio della circolare n.8 del 6/3/2013: “il ruolo dei nuovi CTI (Centri Territoriali per l’Inclusione) […] risulta strategico anche per creare i presupposti per l’attuazione dell’art. 50 del DL 9.2.2012, n°5, così come modificato dalla Legge 4.4.2012, n° 35, là dove si prevede (comma b) la
“definizione, per ciascuna istituzione scolastica, di un organico dell’autonomia, funzionale all’ordinaria attività didattica, educativa, amministrativa, tecnica e ausiliaria, alle esigenze di sviluppo delle eccellenze, di recupero, di integrazione e sostegno agli alunni con bisogni educativi speciali e di programmazione dei fabbisogni di personale scolastico, anche ai fini di una estensione del tempo scuola” e ancora (comma c) la “costituzione […] di reti territoriali tra istituzioni scolastiche, al fine di conseguire la gestione ottimale delle risorse umane, strumentali e finanziarie”.
Traduzione: il Ministero sostiene di voler realizzare l’inclusione, ma usa la normativa sui BES per scardinare il sistema di sostegno e tagliare altre cattedre. La partita per scardinare l’attribuzione del sostegno agli alunni in difficoltà (checché ne dicano i rappresentanti del MIUR in giro per convegni in tutta Italia), iniziata con gli alunni con DSA e adesso proseguita con i ragazzi con ADHD e con una dotazione cognitiva borderline, è a buon punto. E risuonano nella memoria echi di un progetto più esplicito di smantellamento degli interventi di sostegno in quella che fu la proposta di Fondazione Agnelli, Caritas e associazione Treelle nel 2011.
Si tratterà di capire il mondo della scuola come risponderà a questo ennesimo tentativo di sottrazione e squalificazione del sistema scolastico pubblico che arriva dopo otto miliardi e cinquecento milioni di tagli alla scuola (il 10,4% del budget complessivo) degli anni precedenti e che, forse, non sono senza conseguenze visto l’aumento riconosciuto dallo stesso Ministero dei casi di studenti con bisogni educativi speciali.
L’Italia, che in passato ha dato avvio a un modello di inclusione riconosciuto come riferimento per tutta l’Europa, oggi rinnega il proprio patrimonio culturale con l’ennesimo tentativo di disinvestimento nel futuro dei suoi cittadini. Prima di chiamare in causa l’Europa almeno ci si interroghi e si prenda in considerazione il caso inglese che dimostra come la categorizzazione dei BES associata a un sistema di valutazione nazionale6 non ha fatto altro che aumentare la discriminazione e i costi sociali conseguenti ad essa.
Prima di regalare soldi pubblici alle scuole paritarie private attraverso il finanziamento del buono scuola, prima di finanziare gli Invalsi e il SNV (nuovo sistema di valutazione nazionale), prima di spendere inutilmente soldi nella farsa del nuovo reclutamento tramite concorso, ecco forse sarebbe appena il caso di essere davvero inclusivi investendo nella scuola di tutti con progetti che vadano davvero a compensare situazioni di svantaggio. Altrimenti si rischia di voler essere inclusivi solo a chiacchiere.
In allegato le due circolari.
1 I docenti scuole superiori guadagnano l’11,2% in meno rispetto alla media dell’Ocse; i docenti delle scuole medie guadagnano il 9,7% in meno rispetto alla media dei colleghi; i docenti della scuola primaria 13,1% in meno rispetto alla media Ocse.
2 Quanti docenti hanno ricevuto una corretta formazione rispetto all’ICF? In quante scuole sono stati attivati corsi di formazione sull’ICF? Quanti, a esclusione dei docenti di sostegno – senza i quali si vuole evidentemente risolvere la faccenda dei BES – conoscono approfonditamente l’ICF? Eppure nelle Linee guida per l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità del 2009 si legge “L’ICF sta penetrando nelle pratiche di diagnosi condotte dalle AA.SS.LL., che sulla base di esso elaborano la Diagnosi Funzionale. È dunque opportuno che il personale scolastico coinvolto nel processo di integrazione sia a conoscenza del modello in questione e che si diffonda sempre più un approccio culturale all’integrazione che tenga conto del nuovo orientamento volto a considerare la disabilità interconnessa ai fattori contestuali.”.
3 Come ben ricorda S. Nocera in Press-IN anno V / n. 729. Superando.it del 26-03-2013
4 Ibidem.
5 Università Bocconi, 22 marzo 2013 www.istruzione.lombardia.gov.it/bes/
6 Come ben ha spiegato la Prof.ssa C. DeVecchi nel suo intervento al convegno La scuola deve essere aperta a tutti presso l’Università Bocconi, 22 marzo 2013 www.istruzione.lombardia.gov.it/bes/
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