Quando il governo Cameron, qualche mese fa, tagliò lo studio della lingua straniera nelle scuole del regno imputandola alla scarsa utilità per dei madrelingua inglese, molti filosofi e pedagogisti videro in questa scelta tipica di un governo utilitarista e di corte vedute (come lo è, d’altra parte, quella dell’OCSE), un impoverimento grave della scuola britannica. I filosofi, d’altra parte, sono sempre stati convinti che tutto ciò che è davvero importante a scuola non serve propriamente a nulla. Le neuroscienze confermano.
Una ricerca del San Raffaele sostiene che il cervello di chi parla due lingue riesce a scegliere in situazioni conflittuali in modo più veloce e con meno sforzo, rispetto a chi ne usa una sola. Un vantaggio in termini di capacità cognitive che non ha niente a che fare con il linguaggio di ALESSIA MANFREDI
PIÙ CREATIVITÀ, flessibilità, maggiore capacità di concentrazione, perfino più fiducia in sé stessi: sono diversi i vantaggi che regala il bilinguismo, specie se acquisito fin da piccoli. Padroneggiare una seconda lingua il più precocemente possibile consente di avere una marcia in più in diversi campi, culturali e cognitivi. E anche di riuscire a capire più velocemente degli altri qual è la scelta giusta in una situazione di conflitto. Lo sostiene una nuova ricerca che attribuisce ai bilingui anche questo plus: essere più rapidi nel prendere decisioni critiche in tempi brevi, impiegando al tempo stesso meno risorse.
Succede in qualsiasi momento, che si tratti di decidere se passare o fermarsi col semaforo verde che sta per diventare rosso, o tirare invece che passare la palla durante una partita con gli amici. Scelte che hanno una conseguenza immediata, da compiere in tempi strettissimi. In uno studio su Cerebral Cortex 1, coordinato dal dottor Jubin Abutalebi, docente di neuropsicologia all’università-Vita San Raffaele di Milano, in collaborazione con le università di Londra, Barcellona e Hong Kong, i ricercatori hanno osservato che i bilingue riescono a decidere che strada prendere in queste situazioni in modo più rapido rispetto a chi parla una lingua sola. E lo fanno in modo più efficiente, con meno sforzo.
Nello studio sono stati confrontati due gruppi: uno bilingue fin dalla nascita (italiano e tedesco), dell’Alto Adige. Il secondo monolingue, di età, background educativo e socioeconomico comparabili. Le loro prestazioni di fronte a compiti cognitivi sono state analizzate misurando le attività cerebrali con tecniche avanzate di neuroimaging e con la risonanza magnetica funzionale. Risultato? Si è visto che “i soggetti bilingue hanno più materia grigia nella corteccia del cingolo anteriore, un’area cruciale per il monitoraggio delle nostre azioni” spiega il dottor Abutalebi, primo autore dello studio.
C’è anche una correlazione positiva fra i risultati nel risolvere i conflitti cognitivi e lo spessore della materia grigia nell’area del cingolo anteriore, sottolineano gli scienziati. Dato che indica come il bilinguismo sin dalla nascita abbia un’influenza diretta sul cervello, che, spiega ancora Abutalebi, si ottimizzerebbe durante la crescita per svolgere compiti cognitivi che richiedono decisioni rapide ed efficienti.
“I soggetti bilingui sono più veloci a prendere decisioni critiche, ma attivano molto meno il cervello”, spiega ancora l’esperto. Quelli studiati dagli scienziati, infatti, hanno dimostrato di avere meno bisogno rispetto ai monolingue di impegnare la corteccia del cingolo anteriore per prendere decisioni, come si è visto attraverso la risonanza funzionale.
Più rapidi, più efficienti, con meno sforzo. Il motivo, ipotizzano i ricercatori, starebbe nell’abitudine fin da piccoli di tenere distinte le due lingue, per non fare confusione: una capacità che i bambini in genere acquiscono dai tre anni in poi. Per questo processo vengono impiegate le stesse strutture neurali che entrano in gioco nel prendere decisioni rapide. Usarle, quindi, di più fin dalla nascita darebbe un duplice vantaggio: un maggiore sviluppo anatomico e la necessità di ricorrervi di meno, rispetto a chi è monolingue, anche per decisioni non connesse al linguaggio.
E’ proprio questo uno degli aspetti più rilevanti, secondo gli autori dello studio. “Il vantaggio acquisito non ha nulla a che fare con l’ambito linguistico, ma è un beneficio che si riflette su altre facoltà cognitive”, conclude il professore. Che va ad aggiungersi ai tanti altri già osservati in chi gestisce precocemente un’altra lingua oltre a quella madre: come quello di “avere più memoria di lavoro nel cervello, un po’ come la Ram di un computer o quello di poter contare su un fattore protettivo per il decadimento cognitivo, dimostrato in altre ricerche”. E non occorre essere bilingui sin dalla nascita per godere di questi benefici: “Si riscontrano ugualmente anche se la seconda lingua la si apprende più tardi, durante la pubertà”, conclude l’esperto.
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