La dignità negata a Poggioreale documentata dal reportage fotografico di Valerio Bispuri. Il commento di Roberto Saviano.
“Non guardate queste foto pensando che chi ha sbagliato debba pagare. Non si paga in questo modo. Non si paga defecando e cucinando nello stesso metro quadrato. Non si paga vivendo senza acqua calda e riscaldamento. Non si paga perdendo dignità”.
Ma perché provare a farlo? vi chiederete. Cosa abbiamo fatto di male, noi siamo onesti, sono loro i disonesti, loro quelli che hanno sbagliato, loro sono Caino. Pensiero lineare, pensiero che sembra ragionevole. Non lo è perché in carcere ci finisce chiunque, e questa è una verità che solo conoscendo profondamente la realtà giudiziaria italiana possiamo comprendere fino in fondo. In un sistema al collasso, gli errori giudiziari sono all’ordine del giorno e le carcerazioni preventive sono quasi la metà del totale. I tribunali sono gravati da una infinità di procedimenti, molti frutto di leggi proposte e approvate sulla scorta di ondate di securitarismo tanto incosciente quanto inutile.Non esagero se dico che chiunque lasci che il carcere sia quello descritto da queste fotografie, chiunque non si senta in dovere di lavorare perché questo carcere cambi, deve temere di poterne diventare una vittima – e delle più fragili, perché disarmata, perché convinta che quello in cui vive sia un sistema infallibile, che punisce i cattivi e salvaguarda i buoni.
Un sistema inefficiente, come il nostro, è un sistema ingiusto, è un sistema che sbaglia. Non è purtroppo un caso che all’interno dei Tribunali di sorveglianza – ai quali è rimessa la disciplina della esecuzione delle pene – si annidino più forti i residui della cultura inquisitoria.
Ma il carcere non deve essere più giusto solo per evitare che l’ingiustizia travolga i giusti, il carcere deve essere giusto soprattutto per i colpevoli, soprattutto per chi ha sbagliato.
Non permettiamo che esistano tante Guantanamo, luoghi cioè dove il Diritto finisce e inizia l’arbitrio, la punizione giustificata dall’errore. In un paese civile il carcere deve essere il culmine dello Stato di Diritto. Il carcere deve essere dignitoso e umano; dev’essere lo specchio di una società ideale. Un carcere dignitoso è indice di una società dignitosa, un carcere che rieduca è conseguenza di una società empatica, che considera ogni individuo un cittadino con pieni diritti.
Poggioreale ha il 33 per cento dei detenuti condannati o in attesa di giudizio per reati di droga: immaginiamo che effetti avrebbe su questi numeri la legalizzazione delle droghe leggere. Non si tratta di reati con aggravante mafiosa, quindi per lo più chi si trova qui sono piccoli spacciatori e tossicodipendenti. Detenuti che forse dovrebbero scontare la loro pena altrove, magari in comunità di recupero. Il 12 per cento è dentro per furto, il 25 per cento per rapina, il 5 per cento per omicidio e tentato omicidio. Un altro 5 per cento per associazione di tipo camorristico.
Queste percentuali raccontano bene la disperazione di un territorio, e un carcere che non riesce a essere riabilitazione diventa accademia del crimine: più le condizioni carcerarie sono insopportabili, più il detenuto si rivolgerà alle organizzazioni criminali per ottenere ciò a cui avrebbe diritto. Viceversa, più nel carcere i diritti dei detenuti sono rispettati, più non ci sarà spazio per le organizzazioni criminali e per i loro sistemi di protezione.
Il carcere deve smettere di essere il luogo in cui la società si libera dei propri “rifiuti” e deve diventare uno strumento che viene in soccorso alla società.
La Norvegia ha sconvolto il mondo con il caso Breivik, che dopo il massacro di Utoya è stato condannato a una pena detentiva di 21 anni, e non rinchiuso in una cella in fondo al mare. Lo Stato vince quando non diventa un soggetto peggiore di colui che ha sbagliato, quando non utilizza le logiche criminali che sono logiche da legge del taglione.
Punire e torturare non portano giustizia ma decuplicano sofferenze che spesso il detenuto ha già vissuto. Non si può educare alla legalità attraverso la coercizione e il carcere. La recidiva è altissima quando in carcere non si lavora, non si è impegnati, quando non ci si sente utili.
Mi fermo qui. E se non vi ho convinto io lo faranno certo le foto di Valerio Bispuri e gli uomini e gli spazi che ritraggono. Parlano da sé e raccontano una utopia: una società, libera dalla necessità del carcere. Nonostante Caino.
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