Carcere

by gabriella

poggiorealeLa dignità negata a Poggioreale documentata dal reportage fotografico di Valerio Bispuri. Il commento di Roberto Saviano.

“Non guardate queste foto pensando che chi ha sbagliato debba pagare. Non si paga in questo modo. Non si paga defecando e cucinando nello stesso metro quadrato. Non si paga vivendo senza acqua calda e riscaldamento. Non si paga perdendo dignità”.

Non guardate queste foto pensando che chi ha sbagliato debba pagare. Non si paga in questo modo. Non si paga defecando e cucinando nello stesso metro quadrato. Non si paga vivendo senza acqua calda e riscaldamento. Non si paga perdendo dignità. Il carcere è per i poveri? Sì, queste foto ci dicono che il carcere è per i poveri. Il carcere è per i disperati? Sì, queste foto ci dicono esattamente questo: il carcere è per i disperati.
I tempi della giustizia sono drammaticamente vergognosi e spesso questo sistema inefficiente è usato come grimaldello per convincere i detenuti a collaborare con la giustizia. Ben venga, dirà qualcuno, senza comprendere che è una scorciatoia che non fa bene a nessuno. Non alle indagini, non alla riabilitazione.
I dati che riguardano le carceri italiane sono allarmanti, ma ormai allarmano solo gli addetti ai lavori e quei pochi che hanno voglia di prestarvi attenzione e che fanno ogni giorno tanto con poche risorse: sto parlando dell’Associazione Antigone e dei Radicali Italiani, unici nel tradurre in dati, parole e politica l’urlo di dolore che si leva dalle carceri italiane. Sono oltre 54mila i detenuti nei 205 istituti italiani. Tra il 2000 e il 2013 i morti in carcere sono stati 2.239, tra questi 801 i suicidi e non solo di detenuti ma anche cento agenti della polizia penitenziaria e un direttore. Nelle condizioni in cui versano le carceri italiane, lavorarci è tortura quasi quanto esservi recluso. Perdi umanità, perdi sonno, perdi aria. Perdi tutto.
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Sono d’accordo con Livio Ferrari che in No prison (edito da Rubettino) parla del fallimento del carcere, e del principio di punizione come ufficio stampa dello Stato: un paese che punisce e non riabilita è un paese che ha fallito la propria missione.
Partire da queste foto è importante, così come è meritorio che Antonio Fullone, direttore di Poggioreale dal luglio dell’anno scorso, abbia consentito a Valerio Bispuri di entrare nel carcere e di fotografare senza censure.
Partire da queste foto è importante per capire che è esattamente questo il paese in cui viviamo  –  un luogo in cui nello stesso metro quadrato cuciniamo e defechiamo  –  e che questo paese dobbiamo ricostruirlo, non fidandoci di chi ci invita a rottamare, a distruggere tutto per ripartire da zero.
Poggioreale non si sottrae a quell’edilizia penitenziaria progettata per affliggere le persone, per non dar loro alternativa, per tenerle rinchiuse in pochissimo spazio senza alcuna attività possibile. Eppure non va distrutto, non va rottamato, ma reso vivibile. Impariamo dai detenuti che padiglione dopo padiglione quel carcere lo rimetteranno a posto. I padiglioni Genova e Torino sono chiusi perché in rifacimento, saranno pronti nel 2016. Poi toccherà al Venezia e al padiglione Italia (tra i peggiori). Il padiglione Milano lo stanno ristruttarando i detenuti, faranno lo stesso col Roma.
Quindi guardiamo queste foto come guarderemmo un documento che presto diventerà storico, superato da un nuovo corso. Necessario e vitale. Ma sono foto che immortalano anche un viaggio, tra esseri umani dalle vite sospese, in un carcere che non è un carcere di mafiosi (ce ne sono, ma solo in percentuale bassissima). Queste foto ci raccontano non una, ma infinite storie. Provate a immaginare voi stessi chiusi in una stanza; provate a immaginare voi stessi senza alcun progetto o prospettiva; provate a immaginarvi poi ammassati in una cella.

Ma perché provare a farlo? vi chiederete. Cosa abbiamo fatto di male, noi siamo onesti, sono loro i disonesti, loro quelli che hanno sbagliato, loro sono Caino. Pensiero lineare, pensiero che sembra ragionevole. Non lo è perché in carcere ci finisce chiunque, e questa è una verità che solo conoscendo profondamente la realtà giudiziaria italiana possiamo comprendere fino in fondo. In un sistema al collasso, gli errori giudiziari sono all’ordine del giorno e le carcerazioni preventive sono quasi la metà del totale. I tribunali sono gravati da una infinità di procedimenti, molti frutto di leggi proposte e approvate sulla scorta di ondate di securitarismo tanto incosciente quanto inutile.poggio3Non esagero se dico che chiunque lasci che il carcere sia quello descritto da queste fotografie, chiunque non si senta in dovere di lavorare perché questo carcere cambi, deve temere di poterne diventare una vittima  –  e delle più fragili, perché disarmata, perché convinta che quello in cui vive sia un sistema infallibile, che punisce i cattivi e salvaguarda i buoni.

Un sistema inefficiente, come il nostro, è un sistema ingiusto, è un sistema che sbaglia. Non è purtroppo un caso che all’interno dei Tribunali di sorveglianza  –  ai quali è rimessa la disciplina della esecuzione delle pene  –  si annidino più forti i residui della cultura inquisitoria.

Ma il carcere non deve essere più giusto solo per evitare che l’ingiustizia travolga i giusti, il carcere deve essere giusto soprattutto per i colpevoli, soprattutto per chi ha sbagliato.

Non permettiamo che esistano tante Guantanamo, luoghi cioè dove il Diritto finisce e inizia l’arbitrio, la punizione giustificata dall’errore. In un paese civile il carcere deve essere il culmine dello Stato di Diritto. Il carcere deve essere dignitoso e umano; dev’essere lo specchio di una società ideale. Un carcere dignitoso è indice di una società dignitosa, un carcere che rieduca è conseguenza di una società empatica, che considera ogni individuo un cittadino con pieni diritti.

Poggioreale ha il 33 per cento dei detenuti condannati o in attesa di giudizio per reati di droga: immaginiamo che effetti avrebbe su questi numeri la legalizzazione delle droghe leggere. Non si tratta di reati con aggravante mafiosa, quindi per lo più chi si trova qui sono piccoli spacciatori e tossicodipendenti. Detenuti che forse dovrebbero scontare la loro pena altrove, magari in comunità di recupero. Il 12 per cento è dentro per furto, il 25 per cento per rapina, il 5 per cento per omicidio e tentato omicidio. Un altro 5 per cento per associazione di tipo camorristico.

Queste percentuali raccontano bene la disperazione di un territorio, e un carcere che non riesce a essere riabilitazione diventa accademia del crimine: più le condizioni carcerarie sono insopportabili, più il detenuto si rivolgerà alle organizzazioni criminali per ottenere ciò a cui avrebbe diritto. Viceversa, più nel carcere i diritti dei detenuti sono rispettati, più non ci sarà spazio per le organizzazioni criminali e per i loro sistemi di protezione.

brevikIl carcere deve smettere di essere il luogo in cui la società si libera dei propri “rifiuti” e deve diventare uno strumento che viene in soccorso alla società.

La Norvegia ha sconvolto il mondo con il caso Breivik, che dopo il massacro di Utoya è stato condannato a una pena detentiva di 21 anni, e non rinchiuso in una cella in fondo al mare. Lo Stato vince quando non diventa un soggetto peggiore di colui che ha sbagliato, quando non utilizza le logiche criminali che sono logiche da legge del taglione.

Punire e torturare non portano giustizia ma decuplicano sofferenze che spesso il detenuto ha già vissuto. Non si può educare alla legalità attraverso la coercizione e il carcere. La recidiva è altissima quando in carcere non si lavora, non si è impegnati, quando non ci si sente utili.

Mi fermo qui. E se non vi ho convinto io lo faranno certo le foto di Valerio Bispuri e gli uomini e gli spazi che ritraggono. Parlano da sé e raccontano una utopia: una società, libera dalla necessità del carcere. Nonostante Caino.

 

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