La logica e la ricchezza interiore degli psicotici illustrata da Jung. Tratto da Ricordi, sogni, riflessioni di Carl Gustav Jung, Milano, Rizzoli, 1992, pp. 167-170.
Visti dal di fuori, i malati di mente ci mostrano solo la tragica devastazione, raramente cogliamo la vita di quella parte dell’anima che ci resta nascosta. Le apparenze esterne sono spesso ingannevoli, come scoprii con sorpresa nel caso di una giovane paziente catatonica.
Aveva diciotto anni, ed era di buona famiglia. All’età di quindici anni era stata sedotta dal fratello, poi ne avevano abusato anche alcuni compagni di scuola. A sedici anni cominciò ad isolarsi; sfuggiva la gente e non le rimaneva, come unico rapporto sentimentale, che l’attaccamento ad un cattivo cane da guardia, appartenente ad un’altra famiglia, che lei aveva cercato di ammansire. Divenne sempre più strana, e a diciassette anni finì in manicomio, dove rimase un anno e mezzo. Udiva voci, rifiutava il cibo, e s’era chiusa in un assoluto mutismo. Quando la vidi per la prima volta, la trovai in un tipico stato catatonico.
Nel corso di parecchie settimane riuscii, molto gradualmente, a convincerla a parlare; dopo aver superato molte resistenze, mi disse che aveva vissuto sulla luna, e che questa era abitata, ma in un primo momento vi aveva visto solo uomini. Questi subito l’avevano presa con sé e l’avevano condotta in una abitazione «sublunare» dove custodivano i loro bambini e le loro mogli, poiché sulle alte montagne della luna viveva un vampiro che rapiva e uccideva donne e bambini, ragion per cui gli abitanti della luna erano minacciati di estinzione: questo era il motivo della vita «sublunare» della metà femminile della popolazione.
La mia paziente si era decisa a fare qualcosa per gli abitanti della luna, e aveva progettato di distruggere il vampiro. Dopo lunghi preparativi, lo attese sulla piattaforma di una torre che era stata eretta a questo scopo, e dopo qualche notte alla fine vide il mostro che si approssimava da lungi, svolazzando, verso di lei, simile a un grande uccello nero. Prese allora un lungo coltello sacrificale e lo nascose sotto la veste, attendendo l’arrivo del vampiro. Improvvisamente questo le si parò dinanzi: aveva parecchie paia di ali, che coprivano il viso e il corpo, così che ella non poteva vedere altro che penne. Stupefatta, fu presa dalla curiosità di scoprire quale fosse realmente il suo aspetto, e gli si avvicinò, impugnando il coltello; e a un tratto le ali si apersero e le apparve un uomo di sovrumana bellezza. Questi la strinse nelle sue braccia alate come in una morsa d’acciaio, impedendole di brandire il coltello. D’altronde era talmente affascinata dallo sguardo del vampiro che non sarebbe stato capace di colpire. Egli poi la sollevò dal suolo e volò via con lei.
Dopo questa rivelazione fu di nuovo capace di parlare senza inibizioni, e qui cominciò a manifestarsi la sua resistenza: sembrava che io avessi impedito il suo ritorno sulla luna, e che non potesse più andar via dalla terra. Questo mondo, diceva, non era bello, mentre era bella la luna, dove la vita era piena di significato. Qualche tempo dopo subì una ricaduta nel suo stato catatonico, e dovetti farla ricoverare in una clinica. Per qualche tempo fu frenetica.
Quando, all’incirca due mesi dopo, fu dimessa, era di nuovo possibile conversare con lei. Un po’ per volta giunse a rendersi conto che la vita sulla terra era inevitabile; ma si opponeva disperatamente a questa conclusione e alle sue conseguenze. Dovette essere rinviata alla clinica. Una volta la visitai nella sua cella e le dissi: «Non serve a nulla far così: non potrà ritornare sulla luna!» Mi ascoltò in silenzio, con un’aria distaccata, apatica. Questa volta però fu rilasciata dopo un breve periodo e si rassegnò al suo destino.
Accettò di lavorare come infermiera in un sanatorio; senonché lì c’era un assistente medico che, incautamente, tentò con lei degli approcci: rispose con un colpo di rivoltella! Per fortuna, lo ferì solo leggermente. Si era dunque procurata un revolver! Già prima andava in giro armata di una rivoltella carica, e me l’aveva consegnata durante l’ultima seduta, alla fine del trattamento. Quando, con meraviglia, le avevo chiesto a che le servisse, mi aveva risposto: «L’avrei ammazzata, se mi avesse delusa!»
Quando l’agitazione provocata dalla revolverata si fu calmata, ritornò alla sua città natale. Si sposò, ebbe figli, e sopravvisse a due guerre mondiali, nell’Europa orientale, senza avere mai più ricadute. Che cosa si può dire, per cercare di interpretare le sue fantasie? In conseguenza dell’incesto, che aveva dovuto subire da fanciulla, ella si sentiva umiliata agli occhi del mondo, ma innalzata nel regno della fantasia. Era stata trasportata in un regno mitico, poiché l’incesto è tradizionalmente una prerogativa dei re e degli dei. Come conseguenza, ne era derivata la sua completa alienazione dal mondo, quindi la psicosi. Era divenuta, per così dire, «extramondana», e aveva perduto il contatto con l’umanità. Era precipitata in lontananze cosmiche, nello spazio siderale, dove si era imbattuta nel demonio alato. Come di regola in tali casi, ne aveva proiettata la figura su di me, durante il periodo del trattamento. Così, automaticamente, ero minacciato di morte, come chiunque altro avesse potuto indurla a ritornare alla normale condizione umana. Raccontandomi la sua storia in un certo senso aveva tradito il demonio, e si era legata ad un uomo terreno: dopo di che le era stato possibile ritornare alla vita e perfino sposarsi.
Da allora in poi presi a considerare i malati di mente in una luce diversa, poiché avevo finalmente capito la ricchezza e l’importanza della loro vita interiore.
Commenti recenti