Un’intervista a Carlo Sini sul tradimento di Heidegger della persona e dell’insegnamento di Husserl del quale fu allievo.
Perché Heidegger tradì il suo maestro Husserl?
«Sembra che a rompere i rapporti sia stato Husserl, sconcertato dall’adesione di Heidegger al nazismo. Vale comunque la pena di rammentare che Heidegger dedicò a Husserl Essere e tempo e glielo consegnò a Friburgo nel giorno del suo compleanno. Husserl, al momento, non lo aprì nemmeno. Lo fece tempo dopo, quand’era cresciuta la fama del suo allievo. E commentò che si trattava del suo stesso pensiero “ma senza fondamento”. Lo considerò un tradimento della fenomenologia, che non fu mai abbandonata da Husserl ».
Può spiegare il termine “fenomenologia”?
«E’ il tentativo di tornare alle “cose stesse”, mettendo tra parentesi le teorie sulle quali abbiamo edificato i nostri saperi. Si vuole fare ritorno all’essere del mondo così come questo si manifesta, in modo genuino e primario, riesaminando, riosservando e ridescrivendo i fenomeni originali. Secondo Husserl dobbiamo aderire alle cose, non nasconderle, servendoci della lingua che ricostruisca una ragione descrittiva. Questa teoria ha plasmato diversi metodi d’approccio scientifico. Ad essa si è ispirata la fenomenologia psichiatrica, dove il paziente viene descritto così com’è, nel suo apparire, e la terapia trova il proprio motore nei dati immediati dei suoi gesti e dei suoi atteggiamenti ».
Qual era la posizione di Heidegger?
«Si convinse che un programma filosofico, pur apprezzabile, che avesse a fondamento l’immediatezza delle cose stesse, fosse già fallito a partire da Platone. Quella filosofia nata per il dominio del logos uccideva se stessa. Da qui la sua critica alla metafisica. Il tentativo fu perciò di ritrovare una verità della realtà in qualcosa che preceda la filosofia, e trovò quel qualcosa nella poesia. Nel “pensiero poetante”, come amava ripetere. Non a caso lavorò molto su Rilke».
In che modo Heidegger, in principio, aderì alla fenomenologia?
«Per molti versi vi restò ancorato fino all’ultimo. Negli anni Sessanta (Husserl era morto nel ’38), Heidegger scrisse di considerarsi legato alla rivelazione fenomenologica, che doveva in gran parte a Husserl. Ma è grande il divario tra i due filosofi, a partire dalle rispettive formazioni. Heidegger proveniva da studi classici, mentre Husserl era un frutto delle scienze matematiche. I suoi riferimenti erano l’illuminismo e Cartesio: era un ebreo votato al culto della ragione. Heidegger invece prendeva le mosse da Aristotele, che arrivava a considerare un fenomenologo più profondo del suo maestro. In sostanza Heidegger è un romantico, e vede la modernità come un pericolo enorme che ha preteso di sostituirsi a Dio. Il suo è un pensiero genialmente reazionario».
Husserl, a sua volta, non ebbe forse un rapporto problematico con la modernità?
«Sì. Nella sua ultima opera rimasta incompiuta, La crisi delle scienze europee, Husserl evoca i rischi della specializzazione scientifica, che può far perdere il senso della ragione umana e portare l’Europa a divenire un fenomeno meramente antropologico, come la Cina o ciò che ha determinato la filosofia occidentale attraverso l’impresa della modernità, da Galileo a Cartesio, si mostra solo come volontà di potenza. Anche per Heidegger è necessario abbandonare la ragione devastatrice che rende la terra un deserto. Ma la divergenza dei due filosofi coincide con un’opposizione epocale. Per Husserl il nichilismo, cioè la caduta nella barbarie della scienza che ha perso l’unità del potere, diventa un impegno ulteriore per la ragione, da ricondurre ai suoi compiti veri, in quanto l’illuminismo ha promulgato una ragione incapace d’imporsi. Secondo Heidegger invece, lo svelamento di un essere enigmatico che si sottrae alla ragione occidentale rischia di gettarci nel “futuro della bomba atomica”. L’uomo che si autoproclama signore della natura ha compiuto un sacrilegio nei confronti dell’essere, e ci sospinge verso la devastazione».
Heidegger è convinto che l’uomo, con un eccesso d’uso della scienza, abbia tradito il proprio ruolo nella vita?
«Esatto. E legge l’avvio di tale tradimento nella filosofia platonica. Si comincia a scambiare l’essere delle origini con una sorta di entificazione, riducendo la rivelazione degli esseri a cose che si possono manovrare, misurare, produrre. Husserl e Heidegger concordano nel sostenere che ridurre l’ente alla sua misura matematica, come fa Galileo, è insufficiente. Però l’uno vuol scavare sotto e andare all’indietro, mentre l’altro si propone di scavare avanti e andare oltre. Heidegger aveva intuito una cosa non chiara a Husserl, e cioè la natura tecnologica della vita moderna: aveva compreso che la tecnica non è un’applicazione della scienza, ma che quest’ultima è una conseguenza della tecnica, laddove Husserl era ancora della vecchia idea che prima si fa la teoria e poi si costruisce la pratica. Per Heidegger il porre l’uomo al centro della natura e farne il suo legislatore è la tragedia dell’Occidente, mentre per Husserl la filosofia equivale alla ragione, che in fin dei conti genera la democrazia. Le correnti nazionalistiche, infatti, tradiscono questo modo di pensare».
Non a caso Heidegger aderì al nazismo.
«Questa è stata una vergogna e una rovina per la filosofia. Un vero tradimento: uno dei più influenti filosofi del Novecento ha tradito l’essenza di libertà e umanità che la filosofia incarna. Husserl sosteneva che i filosofi sono i funzionari dell’umanità. Una visione democratico- illuministica intollerabile per Heidegger».
Ma Heidegger fu davvero nazista? Nella famosa intervista concessa allo Spiegel, “Ormai solo un Dio ci può salvare”, prende le distanze dal nazismo.
«Era un seguace del nazismo della prim’ora, un simpatizzante delle camicie brune. Da figlio di contadini, scorse nel nazismo delle origini una rivolta popolare che tornava alle forze della natura contro quelle che considerava le due degenerazioni della democrazia occidentale, cioè l’illuminismo e il marxismo. Ma quando ci fu “la notte dei lunghi coltelli” capì la pericolosità dell’hitlerismo. Resosi conto delle sue implicazioni, lo rinnegò e fu perseguitato per questo. L’anima nera di Heidegger fu la consorte Elfride, antiebraica e iscritta fin da giovane nei movimenti nazisti. E tanto per inseguire ancora il tema del tradimento, con una digressione in ambito privato, c’è da dire che Heidegger tradì molto sua moglie. Al di là della sua maschera di severa rispettabilità, il grande filosofo non solo visse una tormentata storia d’amore con la più illustre tra le sue allieve, Hanna Arendt, ma ebbe numerose relazioni clandestine».
La nozione di tradimento è frequentata dalla filosofia?
«Lo è nella forma nobilitata e un po’ idealistica del motto Amicus Plato sed magis amica Veritas. Ovvero: inevitabile che il buon discepolo tradisca. Sono amico di Platone, ma la verità è più amica. Il discepolo fedele è un ripetitore, ma ogni cosa ripetuta muore. L’eccesso di fedeltà produce un’imbalsamazione delle idee».
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