A Rostov (Russia), due uomini si sono affrontati armi in pugno dopo una discussione sulla dialettica trascendentale. Tratto da L’Unità del 20 settembre 2013.
[…] lunedì notte a Rostov sul Don, nella Russia europea […] due giovani di 26 e 28 anni, entrambi appassionati lettori di Immanuel Kant, sono in coda a un chiosco di alcolici. Parlano delle opere del grande filosofo dell’illuminismo tedesco, pare dapprima pacatamente; poi però incappano nella dialettica trascendentale e qui si accalorano, al punto che uno dei due tira fuori una rivoltella scacciacani e spara in testa all’altro, mandandolo all’ospedale, sia pure per una ferita non grave. Qui siamo al Guinness dei primati: quando mai una discussione sul mite e saggio Kant, mente tra le più universali e moralmente ammirevoli, ha suggerito di passare da un ragionamento alle vie di fatto? Nella dialettica trascendentale, seconda parte della Critica della ragione pura (1781), Kant esamina le pretese della ragione umana di fronte ai grandi problemi tradizionali della metafisica. In sintesi e un po’ liberamente: esiste Dio? Il mondo è una congerie di fatti casuali oppure ha un senso e uno scopo finale? L’anima dell’uomo è libera e immortale, oppure è totalmente condizionata?
In generale Kant vuole mostrare che a queste domande non possiamo dare una risposta definitiva e «scientifica»; d’altra parte, continuare a porsele equivale a segnalare un’esigenza insopprimibile, per la quale la Critica della ragione pratica mostrerà, nella dottrina morale, una soluzione appunto pratica, ovvero etica. Si tratta certo di questioni appassionanti, ma che si arrivi a spararsi addosso per sostenere in proposito un punto di vista sembra davvero, e come minimo, un’assurdità. Forse il chiosco dei liquori, l’ora notturna, il carattere russo, notoriamente focoso, chissà. Vorrei però aggiungere che, se si ricorda il passato, venire alle mani per i filosofi non è del tutto una novità.
Segnalo due episodi. Il primo ha come teatro la Sorbona, l’università di Parigi, negli anni 70 del 1200. Qui la condanna delle opere di Aristotele emessa dal vescovo Stefano Tempier scatena la controversia tra maestri secolari e maestri ecclesiastici, sostenitori i primi delle cosiddette arti minori e i secondi delle arti maggiori, cioè della teologia, alla quale tutti gli altri saperi si sarebbero dovuti sottomettere. Ne nascono episodi continui di proteste e violenti disordini, tra gli studenti e gli stessi maestri, che talora non si trattengono dal suonarsele sode.
Il secondo episodio riguarda ancora Aristotele; ora però la contesa non nasce dalla esigenza di inserire la filosofia aristotelica nel novero dei saperi cristiani; al contrario, si tratta di opporre ad Aristotele la nuova filosofia della natura di Bernardino Telesio. Nascono varie dispute in giro per l’Italia e nel 1573 a Venezia, studenti delle due scuole (quella telesiana e quella aristotelica di Padova), dopo intensissime discussioni, vengono, pare, alle mani.
Due episodi che suscitano forse qualche nostalgia nei vecchi professori di filosofia: tempi nei quali la filosofia era sulla cresta dell’onda; le sue battaglie erano l’avanguardia del processo politico e del progresso del sapere. E oggi? Oggi le cose sono tanto mutate che una contesa fisica per difendere una tesi filosofica è solo una stravaganza che fa notizia per la sua ridicola assurdità e per l’inevitabile stupore che suscita.
Immagino però che Kant redivivo preferirebbe in fondo così. Usare la violenza per sostenere una tesi filosofica è proprio il contrario di tutto l’insegnamento kantiano. La filosofia non si basa necessariamente sull’amore, come la dottrina cristiana, ma certamente si fonda sull’amicizia condivisa e questa a sua volta sull’amore della verità: non risulta che la verità segnali la sua presenza grazie ai lividi, alle contusioni e agli occhi neri.
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