Archive for ‘Antropologia’

16 Marzo, 2014

La comunicazione animale

by gabriella

Le strategie sonore, gestuali e olfattive degli animali per comunicare al fine di predare senza essere predati e massimizzare le possibilità di riprodursi.

Gioco, ironia, divertimento animale

https://www.facebook.com/video.php?v=904401966289106&fref=nf

 

Simone Valesini, La cooperazione con l’uomo dell’Indicatore golanera

una femmina di Indicatore

una femmina di Indicatore con un raccoglitore Yao

L’uccello indicatore capisce l’uomo: così le specie comunicano da millenni. Gli indicatori golanera sono piccoli volatili africani che da millenni collaborano con le popolazioni nella ricerca del miele. I richiami utilizzati per dare inizio alla caccia, svela uno studio, sono la prima forma di scambio informativo scoperta tra uomini e animali selvatici.

DA MILLENNI, le tribù che abitano la savana del Mozambico hanno una tecnica infallibile per scovare del miele. Da quelle parti infatti basta affidarsi all’indicatore golanera, o indicator indicator, un piccolo uccello che ha la curiosa abitudine di guidare l’uomo (e altri animali) verso gli alveari, per mangiarne cera e larve che da solo non potrebbe procurarsi, e lasciare il miele al compagno di avventura. Per dare inizio alla caccia, gli abitanti del luogo utilizzano uno specifico richiamo: un caratteristico trillo seguito da una sorta di grugnito. Un segnale che viene tramandato di padre in figlio da tempo immemore, e che l’uccello sembra capire perfettamente. In effetti, dimostra uno studio appena pubblicato su Science, si tratterebbe di un’autentica forma di comunicazione, la prima mai scoperta tra esseri umani e animali selvatici.

La collaborazione tra uomo e gli indicatori, di per sé, è già un fenomeno estremamente raro: una forma di mutualismo (cioè una simbiosi vantaggiosa per entrambe le parti) di cui, almeno per la nostra specie, esistono pochissimi altri esempi in natura. Ma l’esistenza di un’autentica forma di comunicazione tra esseri umani e animali selvatici (e quindi non addestrati) è qualcosa di ancora diverso e, almeno fino a oggi, quasi impensabile. Eppure per i cacciatori di miele di etnia Yao che abitano nel nord del Mozambico è assolutamente normale: il loro strano richiamo, giurano, viene capito perfettamente dagli indicatori, che udito il segnale accorrono immediatamente per dare inizio alla ricerca di un alveare.

Incuriositi dalla faccenda, gli autori dello studio hanno deciso di verificare quanto ci fosse di vero nel racconto degli Yao. E in particolare, se gli indicatori fossero realmente attratti dal richiamo, o se non fosse invece la semplice presenza di un essere umano a predisporre gli uccelli alla ricerca del miele. Per iniziare, hanno seguito un gruppo di indigeni nelle loro spedizioni, constatando così che oltre il 75 percento di queste va a buon fine quando vengono utilizzati i richiami tradizionali.

Gli scienziati hanno quindi registrato i richiami degli Yao, e ne hanno verificato l’efficacia utilizzando due suoni completamente casuali come controllo. Accompagnati da esperti cacciatori di miele locali, hanno tentato di attrarre gli indicatori utilizzando i tre suoni registrati, e in questo modo è emersa chiaramente l’efficacia dei richiami, capaci di attirare un uccello e dare inizio alla caccia nel 66 percento dei casi, contro il 33 percento dei suoni di controllo. Ma non solo: una volta attratto un uccello, la spedizione ha tre volte più probabilità di andare a buon fine (di portare cioè alla scoperta di un alveare) se gli indicator vengono incitati lungo tutto il tragitto dal suono dei richiami degli Yao.

“I risultati – sottolinea Claire Spottiswoode, ricercatrice di Cambridge che ha coordinato la ricerca – dimostrano che esiste una forma di comunicazione tra esseri umani e animali selvatici che viene compresa perfettamente dagli animali”.

Il prossimo passo, racconta la ricercatrice, sarà ampliare lo studio ad altre comunità di raccoglitori di miele africani, per documentare le diverse varianti locali del richiamo utilizzato per attrarre gli indicatori. Una ricerca che andrà svolta con una certa urgenza, aggiunge Spottiswoode, perché sempre più comunità ormai hanno iniziato a comprare zucchero raffinato invece di affidarsi all’aiuto degli indicatori. E la loro connessione millenaria con questi uccelli potrebbe presto diventare un ricordo.

5 Gennaio, 2014

Michel Foucault, La nascita dell’economia politica

by gabriella

Foucault2L’economia, nel doppio senso che l’inglese distingue in economy (l’oggetto) e economics (la disciplina che lo studia), comincia a costituirsi come campo solo nell’era moderna, in un lungo processo che culmina alla fine del XVIII secolo con la costituzione di un nuovo sapere: l’economia politica. Michel Foucault ha studiato questa genesi nel sesto capitolo de Le parole e le cose, un testo che ha il grande merito di mostrare come oggetto e disciplina si strutturino insieme, evitando quindi il grande anacronismo delle “storie interne”, e cioè quella forma narrativa antistorica che mette in scena un oggetto eternizzato nelle forme in cui oggi ci appare e segue l’affinamento degli strumenti concettuali forgiati per analizzarlo come se lo avessero sempre avuto di fronte.

 

‹ion�3��’à?€����������‡‡†‡‡ˆˆˆ‡ˆˆˆˆˆˆ1. Dall’analisi delle ricchezze all’economia politica

Lo sguardo archeologico di Foucault cerca di restituire la dimensione particolare del dibattito da cui nasce l’economia politica, senza cedere alla tentazione di vedere nei dibattiti del passato l’anticipazione di temi e problemi dell’oggi. Mantiene cioè operante quel rapporto di alterità che è condizione fondamentale della conoscenza storica (e antropologica). Attraverso i caratteri del tutto particolari dei problemi, Foucault contribuisce inoltre a indicarci la profonda storicità della teoria economica che non è letta come il progressivo affinarsi di una lettura di un dominio del reale (l’economia) dato come presente da sempre, ma mostra invece come il dibattito teorico e la costituzione del dominio economico procedano parallelamente.

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2 Gennaio, 2014

Bronislaw Malinovski, Il Kula presso i Trobriand

by gabriella

MalinovskiTratto da B. Malinowski, Argonauti del Pacifico occidentale, Newton Compton, Roma, 1973, pp. 100-102, 110 e 107-108.

Soulava e Mwali

Soulava e Mwali

Il kula è una forma di scambio di carattere intertribale ad ampio raggio che viene effettuato da comunità si­tuate in un vasto cerchio di isole che formano un circuito chiuso. Questo circuito lo si può vedere nella carta qui riprodotta, dove è rappresentato dalle linee che uniscono un certo numero di isole a nord e a est dell’estremità orientale della Nuova Guinea.

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2 Gennaio, 2014

Ruth Benedict, L’educazione dei bambini in Giappone

by gabriella

Tratto da Il crisantemo e la spada, 1946.

Anche l’educatore occidentale più premuroso non riuscirebbe ad immaginare quali siano le cure che i Giapponesi riservano di loro bambini.

In America i genitori, pur preparando i loro piccoli ad un tipo di vita molto più sciolto e molto meno stoico di quel­lo giapponese, tuttavia, fin dall’inizio, non esitano a dimostrare al bambino che i suoi piccoli desideri non sono affatto legge a questo mondo. Noi siamo abituati ad imporre al bimbo un certo regime relativamente alla nutrizione e alle ore di riposo, e, anche se il piccolo protesta e fa i capricci, lo obblighiamo ugualmente ad aspettare il momento prestabilito per il cibo e per il sonno.

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31 Dicembre, 2013

Controllo delle risorse, produzione, potere

by gabriella

acquaAntropologia economica e antropologia politica

Le questioni di cui si occupa l’antropologia economica che studia come le risorse materiali sono prodotte, distribuite e utilizzate – e quelle di cui si interessa l’antropologia politica – che indaga quali autorità, poteri e relazioni di uguaglianza o diseguaglianza costituiscano la vita sociale – sono, nei fatti, strettamente connesse: la disponibilità di risorse e il loro controllo è infatti inseparabile dall’esercizio del potere.

C’è quindi una stretta relazione tra risorse e potere, perché l’acquisizione e la disponibilità di una risorsa possono incrementare la possibilità che un individuo o un gruppo hanno di imporsi su altri individui o su altri gruppi. Tale relazione è tuttavia diversa a seconda delle circostanze e delle forme d’adattamento delle società. Come si è visto, ci sono differenze notevoli tra l’economia di un gruppo di cacciatori-raccoglitori e quella di una comunità di agricoltori. Si tratta di differenze che non consistono solo nel diverso modo di procacciarsi il cibo e di ridistribuirlo, ma che interessano anche le relazioni tra i componenti delle rispettive società.

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30 Dicembre, 2013

Il rapporto dei popoli nativi con la natura

by gabriella
capoSeattle

Capo Seattle – 1852

Un documento illustrativo del rapporto dei popoli nativi con la natura – celebre e controverso perché secondo alcune fonti non autentico, ma della cui bellezza nessuno dubita – è la lettera che il capo indiano Seattle avrebbe inviato nel 1852 al presidente degli Stati Uniti Franklin Pierce che voleva negoziare con i nativi il possesso della terra.

Quando il Gran Capo di Washington manda a dire che desidera acquistare la nostra terra, egli chiede molto da noi. Il Gran Capo manda a dire che ci riserverà un’area in modo che noi possiamo vivere comodamente. Egli sarà il nostro padre e noi saremo suoi figli.

Così noi considereremo la Vostra offerta di comprare la nostra terra. Ma non sarà facile.

Perché questa terra è sacra per noi. Questa acqua scintillante che scende nei ruscelli e nei fiumi non è solo acqua ma il sangue dei nostri antenati. Se vi vendiamo la terra dovrete ricordare che è sacra, e dovrete insegnareai vostri figli che è sacra, e che ogni immagine spirituale riflessa nella chiara acqua dei laghi parla di avvenimenti e ricordi nella vita del mio popolo.

Il mormorio dell’acqua è la voce del padre di mio padre. I fiumi sono nostri fratelli, spengono la nostra sete. I fiumi trasportano le nostre canoe e alimentano i nostri figli. Se vi vendiamo la nostra terra dovrete ricordarvi e insegnare ai vostri bambini che i fiumi sono nostri fratelli, e vostri, e che dovrete d’ora innanzi riservare ai fiumi tutte le gentilezze che riservereste a ogni fratello.

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28 Dicembre, 2013

Pierre Clastres, Tabu alimentare, obbligo di scambio e legame sociale presso i Guayaki

by gabriella
cacciatore Guayaki

cacciatore Guayaki

In questo passo di Interdit alimentaire, échange contraint, et lien social chez les Guayaki – ora in La socièté contre l’état, 1974 – Clastres spiega il legame tra il divieto posto ai cacciatori di mangiare le proprie prede, l’obbligo universale di dono e la costruzione del legame sociale presso la società tradizionale del Guayaki [traduzione mia, testo originale in coda].

Per il cacciatore Aché c’è un tabù alimentare che gli impedisce formalmente di consumare la carne delle proprie prede:

baï jyvombré ja uéméré : « è vietato mangiare gli animali che noi stessi abbiamo cacciato»,

così che quando un uomo arriva al villaggio, egli condivida il risultato della caccia con la sua famiglia (moglie e figli) e gli altri membri del gruppo di caccia; naturalmente, egli non assaggerà la carne preparata da sua moglie. Ora, come si è visto, la selvaggina occupa il posto più importante nell’alimentazione dei Guayaki. Ne risulta che ogni uomo passa la propria vita a cacciare per gli altri e a ricevere da questi il proprio cibo. Questa proibizione è strettamente rispettata, persino dai ragazzi non iniziati quando uccidono degli uccelli.

Una delle conseguenze più importanti è che impedisce di fatto [1] la dispersione degli indios in famiglie nucleari: l’uomo morirebbe di fame, a meno di rinunciare al tabù. Bisogna dunque spostarsi in gruppo. I Guayaki, per renderne conto, affermano che mangiare gli animali uccisi con le proprie mani è il modo più sicuro di attirarsi il maleficio.
Questo superiore timore dei cacciatori basta a imporre il rispetto che essa fonda: se si vuole continuare a uccidere degli animali, non bisogna mangiarli.
La teoria indigena fa leva semplicemente sull’idea che la congiunzione tra il cacciatore e gli animali morti, sul piano del consumo, implichi una disgiunzione tra il cacciatore e gli animali vivi, sul piano della produzione.

In realtà, questa proibizione alimentare possiede anche un valore positivo, in quanto opera come un principio strutturante che fonda la società guayaki come tale. Stabilendo una relazione negativa tra ogni cacciatore e il prodotto della propria caccia, essa mette tutti gli uomini nella stessa posizione l’uno in rapporto agli altri, e la reciprocità del dono di cibo si rivela così non soltanto possibile, ma necessaria: ogni cacciatore è allo stesso tempo donatore e ricevente di carne.

Il tabù sulla selvaggina appare così come l’atto fondativo della scambio di cibo presso i Guayaki, vale a dire come il fondamento stesso della loro società. […] Esso costringe l’individuo a separarsi dalla propria selvaggina, lo obbliga a contare sugli altri, permettendo così al legame sociale di stringersi in maniera definitiva, l’indipendenza dei cacciatori garantisce la solidità e la permanenza di questo legame, e la società guadagna in forza ciò che l’individuo perde in autonomia.

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1 Dicembre, 2013

Jean-Paul Sartre, Prefazione a Frantz Fanon, Les damnés de la terre

by gabriella

SartreLes damnés de la terre esce nel novembre 1961 nel corso della guerra d’Algeria, mentre Frantz Fanon, un giovane psichiatra impegnato nella lotta anticolonialista, è in fin di vita in un ospedale americano – dove muore l’8 dicembre. Il libro, che esce con la prefazione di Jean-Paul Sartre, viene immediatamente bandito in Francia per «attentato alla sicurezza interna dello stato»

Vous condamnez cette guerre mais n’osez pas encore vous déclarer solidaires des combattants algériens ;
n’ayez crainte, comptez sur les colons et sur les mercenaires : ils vous feront sauter le pas.
Peut-être, alors, le dos au mur, débriderez-vous enfin cette violence nouvelle que suscitent en vous de vieux forfaits recuits.
Mais ceci, comme on dit, est une autre histoire. Celle de l’homme.
Le temps s’approche, j’en suis sûr, où nous nous joindrons à ceux qui la font.

Jean-Paul Sartre

Il n’y a pas si longtemps, la terre comptait deux milliards d’habitants, soit cinq cents millions d’hommes et un milliard cinq cents millions d’indigènes. Les premiers disposaient du Verbe, les autres l’empruntaient. Entre ceux-là et ceux-ci, des roitelets vendus, des féodaux, une fausse bourgeoisie forgée de toutes pièces servaient d’intermédiaires. Aux colonies la vérité se montrait nue ; les « métropoles » la préféraient vêtue ; il fallait que l’indigène les aimât. Comme des mères, en quelque sorte.

L’élite européenne entreprit de fabriquer un indigénat d’élite ; on sélectionnait des adolescents, on leur marquait sur le front, au fer rouge, les principes de la culture occidentale, on leur fourrait dans la bouche des bâillons sonores, grands mots pâteux qui collaient aux dents ; après un bref séjour en métropole, on les renvoyait chez eux, truqués. Ces mensonges vivants n’avaient plus rien à dire à leurs frères ; ils résonnaient ; de Paris, de Londres, d’Amsterdam nous lancions des mots « Parthénon ! Fraternité ! » et, quelque part en Afrique, en Asie, des lèvres s’ouvraient : « … thénon !… nité ! » C’était l’âge d’or.

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=GByyCmgdpTY]

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1 Dicembre, 2013

Stefano Sinibaldi, Le parole del razzista

by gabriella

L’omaggio di Stefano Sinibaldi a Frantz Fanon nel cinquantesimo anniversario della morte [8 dicembre 1961].

En tant qu’homme, je m’engage à affronter le risque de l’anéantissement pour que deux ou trois vérités jettent sur le monde leur essentielle clarté.

[Come uomo, mi impegno ad affrontare il rischio dell’annientamento perchè due o tre verità possano rischiarare il mondo]

Frantz Fanon

A Dicembre di cinquant’anni fa [l’articolo è uscito nel 2011], nel 1961, moriva, per una leucemia, Frantz Fanon. Solo pochi mesi prima, si era ancora in piena guerra franco-algerina, il coraggioso libraio-editore François Maspéro, aveva pubblicato il suo scritto sul colonialismo I dannati della terra [qui l’originale francese]. In Italia Einaudi lo pubblicherà subito dopo con una tempestività d’altri tempi.

Fanon nasce nel 1925 in Martinica, sotto la dominazione francese. Partecipa come volontario alla guerra di liberazione della Francia dalla dominazione nazista. Qui, in seguito, si stabilisce e, nel 1952, si laurea in Medicina specializzandosi in neuropsichiatria. L’anno dopo lavora in un ospedale algerino dove resterà fino al 1956 quando, per il suo appoggio al movimento per l’indipendenza, viene costretto ad abbandonare il paese. Si rifugia nella vicina Tunisi da dove opera il Comitato di coordinazione del Fronte di Liberazione Nazionale algerino ( FLN ). Il suo saggio nasce dall’esperienza in Algeria ma si allarga fino a diventare un esame e una condanna del colonialismo in sé, indicando nel “terzo mondo” il possibile futuro protagonista di un cambiamento del corso della storia. Fanon si rivolge, partendo dalla tragedia del Nord Africa, a tutta l’umanità andando ad esaminare i criteri alla base del fenomeno del colonialismo e dello sfruttamento in generale.

Jean-Paul Sartre coglie bene, nella prefazione al libro, questo aspetto:

… l’oppressione si palesa. I nostri soldati, oltremare, respingendo l’universalismo metropolitano, applicano al genere umano il “numerus clausus”: poiché nessuno può – senza reato- spogliare il suo simile, asservirlo od ucciderlo, pongono a principio che il colonizzato non è il simile dell’uomo … per giustificare il colono di trattarli da bestie da soma”.

Come sempre è il linguaggio che sancisce questa barriera, dice Fanon:

[…] il linguaggio del colono, quando parla del colonizzato, è un linguaggio zoologico […] il colono, quando vuole descrivere bene e trovare la parola giusta, si riferisce costantemente al bestiario.

 

tratto da:

27 Novembre, 2013

Pietro Bianchi, Lacan. Struttura e scrittura

by gabriella

Altri scritti di LacanIn occasione della pubblicazione italiana di Altri scritti di Jacques Lacan – uscito due mesi fa per Einaudi – Pietro Bianchi ha dedicato un’interessante riflessione all’«insegnamento orale» di Lacan e al concetto di struttura. Da Le parole e le cose.

Freud l’aveva definita una talking cure, e forse è per questo che la psicoanalisi ha sempre avuto una relazione così difficile con la parola scritta. Questo fatto è ancora più evidente quando si parla di Lacan che infatti scrisse relativamente poco durante la sua vita. Non è un caso che solitamente si identifichi lo psicoanalista francese con un seminario più che con un corpus di opere vere e proprie; o che i suoi articoli siano per lo più sbobinature di conferenze, testi pensati per presentazioni orali, o appunti di interventi; e che persino i suoi allievi ancora oggi si riferiscano alla sua esperienza intellettuale chiamandola insegnamento, sottolineandone l’aspetto orale e di formazione degli allievi. E infatti l’unica vera pubblicazione della sua vita, quella che diede una svolta alla sua fama intellettuale – il volume appunto degli Scritti, pubblicato da Seuil nel 1966 – fu reso possibile dalla volontà e dalla perseveranza di un esterno: François Wahl, che riuscì a convincere Lacan con mille sforzi della bontà del progetto. In particolare Wahl riuscì a persuaderlo del fatto che avrebbe avuto bisogno di un proprio “libro” per potersi elevare alla dignità di intellettuale pubblico. Per essere finalmente legittimato come un grande pensatore del proprio tempo.

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