Archive for ‘Economia’

8 Giugno, 2012

Breve storia delle politiche monetarie italiane

by gabriella

Traggo dal blog Voci dall’estero, questo utile articolo ispirato al libro di Francesco Carlucci, L’Italia in ristagno, Milano, Angeli, 2008.

Il Serpentone

Nel 1973 l’Italia aderì al primo tentativo fatto in Europa di integrazione monetaria denominato “serpente monetario”, dove i paesi aderenti si impegnavano a mantenere le proprie valute ancorate al marco entro una banda di oscillazione, e insieme fluttuare nei confronti del dollaro. Le autorità di governo allora si accorsero abbastanza presto che la creazione di un sistema di cambi fissi tra economie non perfettamente integrate può fortemente danneggiare alcune delle economie avvantaggiandone altre, e che l’Italia non era in grado di migliorare nel breve periodo le debolezze strutturali della sua economia per adeguarne la competitività a quella dei partners più forti, quindi per evitare di mandare il paese in stagnazione, decisero velocemente di uscire dal serpente.

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5 Maggio, 2012

Joseph Stiglitz, L’ideologia come causa della recessione double-dip

by gabriella

Le politiche d’austerità ci stanno spingendo verso una recessione a doppio minimo [double-dip], ammonisce l’economista statunitense Joseph Stiglitz. Egli si è seduto a un tavolo per discutere con Martin Eiermann del nuovo pensiero economico e dell’influenza del denaro sulla politica.

The European: Quattro anni dopo l’inizio della crisi finanziaria, sei incoraggiato dai modi in cui gli economisti hanno cercato di comprenderla e dai modi in cui tali idee sono state raccolte da chi decide le politiche?

Stiglitz: Consentimi di dividere la materia in un modo leggermente diverso. Gli economisti accademici hanno svolto un grande ruolo nel provocare la crisi. I loro modelli sono stati eccessivamente semplificati, distorti e hanno tralasciato gli aspetti più importanti. Tali modelli carenti hanno poi incoraggiato chi decide le politiche a ritenere che i mercati avrebbero risolto tutti i problemi. Prima della crisi, se fossi stato un economista di vedute ristrette, sarei stato molto lieto di costatare che gli accademici avevano un grande impatto sulla politica. Ma sfortunatamente ciò è stato un male per il mondo. Dopo la crisi si sarebbe sperato che la professione accademica fosse cambiata e che le decisioni politiche fossero cambiate con essa e fossero divenute più scettiche e prudenti. Ci si sarebbe aspettati che, dopo tutte le previsioni sbagliate del passato, la politica avrebbe richiesto alle accademie un ripensamento delle loro teorie. Sono molto deluso, da ogni punto di vista.

The European: Gli economisti hanno costatato le carenze dei propri modelli ma non si sono dati da fare per scartarli o migliorarli?

Stiglitz: Nel mondo accademico quelli che credevano nel libero mercato prima della crisi, oggi continuano a farlo. Alcuni hanno operato una svolta e voglio riconoscere loro il merito di aver detto: “Abbiamo sbagliato. Abbiamo sottostimato questo o quell’aspetto dei nostri modelli.” Ma per la maggior parte la reazione è stata diversa. I sostenitori del libero mercato non hanno rivisto le proprie convinzioni.

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27 Aprile, 2012

Derivati, l’esposizione bancaria globale supera di dieci volte il PIL mondiale

by gabriella

Il 25 aprile Intermarket and more ha pubblicato un articolo dedicato allo scandalo dei derivati, strumenti bancari attraverso i quali la finanza globale ha socializzato il rischio di impresa e moltiplicato per milioni di volte il valore della ricchezza in circolazione. Con quale esito? Le bolle speculative cresciute sui derivati (e su infiniti altri mercati “particolari”, dall’edilizia alle dot.com) scoppiano e sono i cittadini a dover colmare le voragini incolmabili aperte dalla distruzione di enormi motagne di carta.

Per illustrare quanto sono alti i cumuli di carta che stanno aspettando il loro turno per crollare a loro volta, Intermarket ha elaborato una grafica impressionante nella quale ha misurato il volume in altezza dell’esposizione dei colossi bancari americani: una mazzetta di banconote da $100, del valore di $10.0000=un mattone.

Di seguito il risultato. La prima tabella illustra la gigantesca esposizione sui contratti derivati del mondo bancario USA (segue la grafica 3D). Successivamente, le rappresentazioni grafiche dell’esposizione sui derivati di sei banche americane in ordine di indebitamento.

A conti fatti, l’esposizione dei derivati di TUTTO il sistema bancario, è pari a circa 10 dicasi 10 volte il PIL MONDIALE.  Morale: siamo seduti su una montagna di carta, in un mondo tecnicamente fallito con una serie di contratti matematicamente inesigibili.

Per capire quanto sia pazzesca questa esposizione. Si può partire da un po’ di numeri e di “spessori”. Ecco a livello dimensionale la differenza tra 100 $ e 1.000.000.000.000 $ ovvero un trilione:

Bank of New York Mellon: esposizione in derivati pari a $ 1,375 trillioni

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18 Aprile, 2012

Mario Pianta, Nove su dieci. Perché stiamo (quasi) tutti peggio di dieci anni fa

by gabriella
di Emilio Carnevali
Contro la stupidità anche gli dèi sono impotenti
John M. Keynes
Nella copiosa letteratura sulla crisi fiorita negli ultimi tempi il libro di Mario Pianta – “Nove su dieci. Perché stiamo (quasi) tutti peggio di 10 anni fa” – ha il merito di collocarsi su un angolo visuale di più ampio raggio: quali sono le cause profonde del declino italiano? Perché su di noi la crisi ha avuto conseguenze peggiori che negli altri paesi europei? Come uscirne?
La precipitosa caduta dai “cieli azzurri” berlusconiani della quale il nostro Paese è stato recentemente protagonista ha lasciato dietro di sé una scia. Le sue origini si perdono nella fantasmagoria del “nuovo miracolo italiano” promesso all’inizio del millennio dall’“imprenditore prestato alla politica” (ed evocato anche dall’allora governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio). Il suo ultimo tratto, però, è ancora ben visibile ad occhio nudo e può essere a sua volta suddiviso in segmenti più piccoli, come gradini di una discesa sempre più rapida e rovinosa: dalla negazione più risoluta della crisi siamo passati all’ormai famoso «fattore psicologico» tirato in ballo per dare ragione della vendetta che l’economia reale si stava prendendo sugli slogan politico-pubblicitari. Quando poi non è stato più possibile negare l’evidenza è cominciato il mantra della crisi che c’è, «ma noi ce la stiamo cavando meglio di tutti gli altri»; oppure della crisi che c’è, «ma il governo ha risposto senza mettere le mani nelle tasche degli italiani».

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5 Aprile, 2012

Le politiche “anticrisi” spiegate da Lidia Undiemi

by gabriella

L’economista Lidia Undiemi spiega la natura fallimentare delle politiche monetariste a cui sono ispirate le misure anticrisi da Obama a Monti (tra lo sconcerto del conduttore e degli ospiti in studio a Linea Notte).

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=rOMal8helx0&feature=related]

 

24 Marzo, 2012

Salvatore Settis, La TAV in Val di Susa e le New Town de L’Aquila

by gabriella

Che cos’hanno in comune la Tav in Val di Susa e le new towns berlusconiane che assediano L’Aquila dopo il terremoto? Che cosa unisce l’autostrada tirrenica e il “piano casa” che devasta le città? Finanziatori e appaltatori, banche e imprese sono spesso gli stessi, anche se amano cambiare etichetta creando raggruppamenti di imprese, controllate, partecipate, banche d’affari e d’investimento. E sempre gli stessi, non cessa di ricordarcelo Roberto Saviano, sono i canali per il riciclaggio del denaro sporco delle mafie. Ma queste lobbies, che senza tregua promuovono i propri affari, non mieterebbero tante vittorie senza la connivenza della politica e il silenzio dell’opinione pubblica. Espulso dall’orizzonte del discorso è invece il terzo incomodo: il pubblico interesse, i valori della legalità.

Se questo è il gorgo che ci sta ingoiando, è perché l’Italia da decenni è vittima e ostaggio di un pensiero unico, spacciato per ineluttabile. Un unico modello di sviluppo, una stessa retorica della crescita senza fine governano le “grandi opere”, la nuova urbanizzazione e la speculazione edilizia che spalma di cemento l’intero Paese. Ma su questa idea di crescita grava un gigantesco malinteso. Dovremmo perseguire solo lo sviluppo che coincida col bene comune, generando stabili benefici ai cittadini. E’ invalsa invece la pessima abitudine di chiamare “sviluppo” ogni opera, pubblica o privata, che produca profitti delle imprese, anche a costo di devastare il territorio. Si scambia in tal modo il mezzo per il fine, e in nome della “crescita” si sdogana qualsiasi progetto, anche i peggiori, senza nemmeno degnarsi di mostrarne la pubblica utilità.

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15 Marzo, 2012

La costituzionalizzazione del pareggio di bilancio

by gabriella

Il 6 marzo 2012, la Camera ha approvato in seconda lettura, il disegno di legge che introduce il vincolo del pareggio di bilancio nella Costituzione italiana. La nuova normativa prevede l’equilibrio tra entrate e uscite anno per anno, contraddicendo così uno degli elementi cardini dell’economia keynesiana, ovvero il raggiungimento dell’equilibrio in un intero ciclo economico. Fa un passo avanti decisivo, quindi, la costruzione di quella “Europa tedesca” voluta dal nuovo patto fiscale, promosso dalla cancelliera Merkel, sulla base di una errata analisi della crisi europea, tutta concentrata sull’ipotesi che essa sia dovuta alla “prodigalità” dei paesi periferici (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna). Abbiamo invece visto che tale ipotesi è contraddetta dai fatti, come si ostinano a sottolineare molti economisti.

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8 Marzo, 2012

Domenico Moro, Salari e costo del lavoro. Uno studio comparato

by gabriella

1. Confronti incongrui

Qualche giorno fa le agenzie di stampa hanno riportato che, secondo Eurostat, le retribuzioni lorde italiane nel 2009 erano ben al disotto della media Ue a 27. Quintultime, per la precisione, inferiori anche a quelle di Spagna e Grecia. Il ministro Fornero ha colto la palla al balzo per ribadire che le retribuzioni sono basse perché il costo del lavoro è alto. Come da sempre sostiene Confindustria, i lavoratori sarebbero pagati poco a causa di tasse sul lavoro troppo alte. Il governo, invece, si è affrettato a precisare che la tabella Eurostat era stata letta male e che retribuzioni e costo del lavoro italiani sono nella media Ue. Qual è la verità? Alcune precisazioni sono necessarie.

In primo luogo, non è corretto confrontare retribuzioni e costo del lavoro annui. Orari e ore effettivamente lavorate variano da Paese a Paese. È come se al supermercato comparassimo i prezzi di confezioni di tonno di dimensioni diverse, senza impiegare una unità di misura comune, il prezzo in euro al chilo. Per un confronto corretto dobbiamo prendere le retribuzioni orarie.

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29 Febbraio, 2012

Valsusa

by gabriella

Sono un chiaro segnale di timore le denigrazioni e le accuse a Luca Abbà, ancora in un letto d’ospedale, al quale “Il Giornale” del 28 febbraio 2012 si è ignobilmente permesso di dare del “cretinetti”. Cresce la paura che una protesta ventennale che non accenna a piegare la testa possa parlare ai tanti che, pur non sapendo esattamente dove sia la Val di Susa, potrebbero cominciare a impararne la lingua. Un articolo di Paolo Baldeschi chiarisce perché. Prima però, il servizio realizzato da Sandro Ruotolo sullo sgombero della baita Clarea, la caduta dal traliccio dell’attivista NO TAV e i ritardi dei soccorsi, mentre le ruspe continuano a scavare.

In coda le ragioni del NO e l’appello a Monti firmato da oltre trecento esperti e un articolo dell’Economist sull’assenza di benefici economici del TAV e il fallimento delle politiche europee di sviluppo dei territori. Chiudono uno studio sui costi e il Libro nero (Ivan Cicconi) di questa “grande opera”, paradigmatica di scelte politiche caratterizzate dall’attitudine alla rapina, cecità per il bene comune e promozione della disinformazione: il TAV è ormai divenuto il simbolo della spoliazione e dell’occupazione violenta dei territori ai quali si chiede di subire il depauperamento delle risorse ambientali, la desertificazione delle attività economiche (paradossalmente, mentre di parla di sviluppo) e i danni alla salute dei cittadini che sono per giunta chiamati a pagarne i costi.

Questo, come affermava la signora padovana che ieri mattina ha telefonato a Prima pagina (radiorai3), significa «essere dominati, non più essere governati». Naturalmente, il conduttore Massimo Giannini, vicedirettore di Repubblica, le ha tolto immediatamente la parola. La signora ha, infatti, colto implicitamente la connessione tra questo tipo di investimenti pubblici e la firma di Monti dell’altro ieri del fiscal compact, con la quale un paese in recessione si obbliga a conseguire il pareggio di bilancio mentre regala denaro pubblico (stimato per ora a oltre 50 miliardi di euro, il 2,6% dei quali a carico dell’UE) al malaffare (partitico-imprenditorial-mafioso) al costo di scuole, strade, ospedali, e qualità della vita dei cittadini.

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Paolo Baldeschi, TAV Val di Susa. Una battaglia rivoluzionaria per la democrazia

Una battaglia rivoluzionaria, non perché usi la violenza, ma perché le ragioni dei No-Tav, se fossero accolte, implicherebbero una ‘rivoluzione’ nel sistema partitico-imprenditoriale-tangentizio italiano. Tutto ciò è esaurientemente spiegato in Il libro nero dell’alta velocità di Ivan Cicconi. Il libro, documentato oltre possibile dubbio, spiega non solo le vicende, ma le ragioni strutturali di un affare, l’Alta Velocità, che è, dopo tangentopoli, il nuovo banco di finanziamento dei partiti, della casta e, Fiat in testa, dei capitalisti nostrani. E’ un sistema che sfugge a ogni controllo tecnico, contabile e di legittimità e si autoalimenta sestuplicando (come di fatto è accaduto) il costo delle opere.

La chiave dell’architettura è il Project financing combinato alla Legge Obiettivo. Lo stato avrebbe dovuto finanziare attraverso Tav (dal 2010 sciolta in Rete ferroviaria italiana) un quaranta per cento del costo dell’opera, il sessanta i privati; i quali, però, di tasca propria hanno messo gli spiccioli, il resto se lo sono fatto prestare dalle banche, meglio se da loro partecipate. Ma non basta, perché per legge (obiettivo) il General Contractor dell’opera, soggetto privato scelto da Tav, affida direttamente progettazione e realizzazione delle opere a imprese collegate e rappresentative di tutto il capitalismo immobiliare e cementizio italiano: da Caltagirone a Lodigiani, da Todini a Ligresti passando per la Lega delle cooperative, oltre, capofila, Impregilo della Fiat; il tutto senza gare d’appalto e via ‘per li rami’, cioè per sub-appalti e sub-sub-appalti, fino ad arrivare alle imprese della mafia e della camorra.

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5 Febbraio, 2012

Riccardo Achilli spiega il paradigma della “nuova macroeconomia classica”, cioè il modello che ci aiuta a diventare poveri

by gabriella

L’accordo intergovernativo di ieri ha delineato la, per così dire, “strategia” che l’Europa pensa di mettere in campo per uscire dalla crisi, illudendosi di salvare un euro che oramai anche i principali think tank liberisti internazionali danno per spacciato. La strategia è imperniata sul fiscal compact (che anche dal punto di vista comunicativo fa pensare più ad una compilation di musica dance che ad un pacchetto di politiche fiscali, ma tant’è) e su non meglio precisate linee-guida per riattivare la crescita economica ed occupazionale nei Paesi dell’Unione.

Non starò a fare una lunga analisi del “fiscal compact” (ci sono ottimi articoli che girano su Internet, ne segnalo uno ai naviganti: “Per un nuovo fiscal compact”, di Renato Costanzo Gatti). Mi limiterò ad enucleare alcuni aspetti di fondo:

l’obbligo di rientrare di un ventesimo dell’extra debito (cioè del debito pubblico superiore al 60% del PIL) all’anno comporta di fatto manovre finanziarie pari a 42 Meuro per il primo anno, 40 Meuro per il secondo, 38 Meuro nel terzo, e così via. Tale regola costringe l’economia italiana a rinunciare ad uscire dalla recessione per lustri. Di fronte alla durezza del sacrificio finanziario imposto, le cosiddette “circostanze attenuanti” che Monti sarebbe riuscito a strappare sono ben poca cosa. In realtà, ad essere precisi, non ha strappato niente, poiché ha solo ottenuto che si riportasse nel fiscal compact quanto già previsto nel “six pack” varato qualche mese fa: in sostanza, l’ammontare dell’extra-debito pubblico viene corretto per i passivi impliciti legati all’indebitamento del settore privato (significativamente più basso in Italia rispetto alla media Ue), e per una combinazione fra il costo aggiuntivo legato all’invecchiamento della popolazione, corretto per i risparmi conseguibili da riforme previdenziali. Anche a voler considerare lo scenario più ottimistico, ovvero portando a deduzione dell’extra debito pubblico l’intero ammontare di risparmio lordo privato (gli effetti finanziari più rilevanti della riforma previdenziale si faranno sentire dopo il 2014, quindi riportati al presente attualizzati, risultano di entità non molto significativa) avremmo comunque manovre finanziarie pesantissime, incompatibili con ipotesi di ripresa economica, pari a 35 Meuro nel primo anno, 33 Meuro nel secondo, 31 nel terzo, e così via;

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