Archive for ‘Filosofia’

13 Settembre, 2017

David Hume, La critica all’io e all’identità personale

by gabriella

David Hume (1711 – 1776)

Secondo Hume, l’identità dell’io non è giustificata da nessuna esperienza, né esiste argomentazione che possa dimostrarla. Se ci atteniamo all’esperienza, infatti, rileviamo solo “fasci di percezioni” mentre, se cerchiamo un’argomentazione logica, dobbiamo riconoscere che l’idea di identità non può coincidere con quella dell’io. L’io infatti è una composizione di relazioni, ma la nozione di relazione non è quella di identità. La sovrapposizione dell’identità all’io avviene quindi solo attraverso un’inferenza extraempirica ed extralogica come la nozione di “persona” che ha caratteri etici, religiosi o pratico-vitali, cioè sempre metaforici rispetto alla “sostanza metafisica” che dovrebbe corrisponderle.Trattato sulla natura umana, Bari, Laterza, 1982, I, pp. 263-266.

Ci sono alcuni filosofi, i quali credono che noi siamo in ogni istante intimamente coscienti di ciò che chiamiamo il nostro io: che noi sentiamo la sua esistenza e la continuità della sua esistenza; e che siamo certi, con un’evidenza che supera ogni dimostrazione, della sua perfetta identità e semplicità. Le sensazioni più forti, le passioni più violente, dicono essi, invece di di­strarci da tale coscienza, non fanno che fissarla più intensamente e mostrarci, col piacere e col dolore, quanta sia la loro influenza sull’io. Tentare un’ulteriore prova di ciò sarebbe, per essi, indebolirne l’evidenza: non c’è nessun fatto del quale noi siamo così intimamente coscienti come questo; e se dubitiamo di questo, non resta niente di cui si possa esser sicuri.

Disgraziatamente, tutte queste recise affermazioni sono contrarie all’esperienza stessa da essi invocata: noi non abbiamo nessun’idea dell’io, nel modo che viene qui spiegato. Da quale impressione potrebbe derivare tale idea? […] Ci vuol sempre una qualche impressione per produrre un’idea reale. Ma l’io, o la persona, non è un’impressione: è ciò a cui vengono riferite, per supposizione, le diverse nostre impressioni e idee. Se ci fosse un’impressione che desse origine all’idea dell’io, quest’impressione dovrebbe rimanere invariabilmente la stessa attraverso tutto il corso della nostra vita, poiché si suppone che l’io esista in questo modo.

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13 Settembre, 2017

David Hume, La critica all’idea di esistenza

by gabriella

David Hume (1711 – 1776)

In questo passo del Trattato sulla natura umana, Hume nota che poiché ogni conoscenza ha per oggetto soltanto i contenuti mentali ed è impossibile astrarre l'”esistenza” da questi contenuti, l’ipotesi di un mondo esterno, dotato di realtà indipendente, stabile e continua è indimostrabile. L’unica possibilità è quella di attribuire all’esistenza delle cose uno statuto relazionale priva di ogni d cit., pp. 78-81.

Non ci sono impressioni, né idee, di qualunque specie siano, delle quali abbiamo coscienza e memoria, che non siano concepite come esistenti, ed è evidente che da questa coscienza deriva l’idea e perfetta certezza dell’essere. Di qui si trae il dilemma più chiaro e conclusivo che si possa immaginare: poiché non ricordiamo mai un’idea o un ’impressione senza attribuirle l’esistenza, l’idea di esistenza deve derivare o da un’impressione distinta, per quanto unita a ogni percezione od oggetto del pensiero; ovvero dev’essere un’unica cosa con l’idea della percezione o dell’oggetto.

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10 Settembre, 2017

Jostein Gaarder, Il mondo di Sofia

by gabriella

Perché, secondo la prospettiva filosofica adottata da Sofia Amundsen, l’abitudine alle cose del mondo «rimbecillisce»?

 

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29 Agosto, 2017

Giorgio Agamben, Che cos’è il contemporaneo

by gabriella

Giorgio Agamben

Il testo della lezione inaugurale del corso di Filosofia Teoretica dell’a.a. 2006-2007 che Agamben ha tenuto presso la Facoltà di Arti e Design dello IUAV di Venezia.

Contemporaneo è l’inattuale, osserva il filosofo, colui che sa vedere «come un male, un inconveniente, un difetto, qualcosa di cui la sua epoca va giustamente orgogliosa» [F. Nietzsche, Considerazioni inattuali, II, 1874].

Il contemporaneo è una singolare relazione col proprio tempo, che aderisce a esso e, insieme, ne prende le distanze, è un’abilità particolare, che equivale a neutralizzare le luci che provengono dall’epoca per scoprire la sua tenebra, il suo buio speciale. In G. Agamben, Che cos’è il contemporaneo e altri scritti, Roma, Nottetempo, collana I sassi, 2010, pp. 22-33.

1. La domanda, che vorrei iscrivere sulla soglia di questo seminario, è:

Di chi e di che cosa siamo contemporanei? E, innanzitutto, che cosa significa essere contemporanei?”

Nel corso del seminario ci capiterà di leggere testi i cui autori distano da noi molti secoli e altri più recenti o recentissimi: ma, in ogni caso, essenziale è che dovremo riuscire a essere in qualche modo contemporanei di questi testi.

Il “tempo” del  nostro seminario è la contemporaneità, esso esige di essere contemporaneo dei testi e degli autori che esamina. Tanto il suo rango che il suo esito si misureranno dalla sua – dalla nostra – capacità di essere all’altezza di questa esigenza.

Una prima, provvisoria, indicazione per orientare la nostra ricerca di una risposta ci viene da Nietzsche. In un appunto dei suoi corsi al Collège de France, Roland Barthes la compendia in questo modo:

“Il contemporaneo è l’intempestivo”.

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28 Luglio, 2017

Maximilien Robespierre, Sul processo del re (Sur le procès du roi). Louis Antoine de Saint Just, Sur le jugement de Louis XVI

by gabriella

Il discorso sul giudizio di Louis XVI pronunciato da Robespierre alla Convenzione il 3 dicembre 1792, è uno dei capolavori dell’oratoria politica di tutti i tempi. L’originale francese è in coda alla traduzione italiana. Segue quello di  Saint-Just del 13 novembre [non tradotto].

Que cet événement mémorable soit consacré par un monument destiné à nourrir dans le coeur des peuples le sentiment de leurs droits et l’horreur des tyrans ; et, dans l’âme des tyrans, la terreur salutaire de la justice du peuple.

Maximilien Robespierre

Cittadini,

L’assemblea è stata condotta a sua insaputa lontano dalla vera questione. Qui non c’è affatto un processo da fare. Luigi non è affatto un accusato. Voi non siete dei giudici. Voi non siete, non potete che essere degli uomini di stato e i rappresentanti della nazione. Non avete affatto una sentenza da dare per o contro un uomo, ma una misura di salute pubblica da prendere, un atto di previdenza nazionale da esercitare.

Un re detronizzato, nella repubblica non è buono che a due scopi: o a turbare la tranquillità dello stato e a spezzarne la libertà o a fare l’una e l’altra insieme. Ora, io sostengo che la caratteristica che ha preso fin qui la vostra deliberazione, va direttamente contro lo scopo. In effetti, qual è la decisione che la sana politica prescrive per cementare la repubblica nascente? E’ di incidere profondamente nei cuori il disprezzo della monarchia e di impressionare tutti i partigiani del re.

Pertanto, presentare a tutto il mondo il suo delitto come un problema, fare della sua causa l’oggetto della discussione più impegnativa, più sacra, più difficile alla quale possano accingersi i rappresentanti dei popolo francese, mettere una distanza incommensurabile fra il ricordo di ciò che egli fu e la semplice dignità di un cittadino, significa precisamente aver trovato il segreto per renderlo ancora pericoloso per la libertà.

Luigi fu re, e la repubblica è stata fondata; la famosa questione che vi impegna è decisa da queste sole parole. Luigi è stato detronizzato per i suoi delitti; Luigi ha denunciato il popolo francese come ribelle e ha chiamato in suo aiuto per castigarlo, le armi dei confratelli tiranni. La vittoria del popolo ha deciso che soltanto lui era ribelle. Luigi non può dunque essere giudicato: è già condannato, o la repubblica non è affatto assolta. 

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26 Luglio, 2017

Marco Maurizi, Le bestie che dunque siamo

by gabriella

manoSpecismo e antispecismo nella chiara esposizione di uno dei principali filosofi animalisti italiani. Tratto da Asinus Novus.

L’uomo ha sempre sentito il bisogno di dare un nome a ciò che gli appare ignoto in modo da renderselo più presente e, dunque, meno oscuro e minaccioso. Ma esistono nomi che assolvono il compito esattamente opposto: di una vicinanza e di una continuità fanno un’abissale lontananza e un’invalicabile barriera. Se, come ha osservato Derrida, quando diciamo “l’animale” cerchiamo attraverso un singolare aberrante di annullare tutte le differenze tra le specie e di contrapporle così in massa al genere umano (Jacques Derrida, L’animale che, dunque, sono, trad. it. di M. Zannini, Jaca Book, Milano 2006, p. 73), una funzione non diversa assolvono termini come “bestia”, “belva”, “bruto” o “fiera”. In ognuno di questi termini e, ancor di più, nel sistema simbolico che essi costituiscono nel loro insieme, è facile leggere il tentativo da parte degli umani di marcare una differenza insormontabile tra sé e il resto del vivente, soprattutto rispetto a quei viventi che maggiormente li inquietano con sguardi che, probabilmente a causa di una certa vicinanza evolutiva, sono più difficili da ignorare. In tutti i casi in cui l’umano ritiene di dover ricorrere a queste espressioni linguistiche è facile mostrare il gioco di prestigio attraverso il quale ciò che potrebbe meritare una qualche forma di considerazione emotiva ed etica viene, attraverso la parola, risospinto al di là, marchiato dall’infamia di una condizione altra, gettato nel vortice dell’esistenza più abietta. È questo meccanismo occulto e perverso che fa sì che persino un amante degli animali come Leonardo potesse scrivere senza apparente contraddizione:

“chi non raffrena la volontà colle bestie s’accompagni” (Leonardo Da Vinci, Scritti letterari, Rizzoli, Milano 1974, p. 71).

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26 Giugno, 2017

Stefano Rodotà, L’uso umano 
degli esseri umani

by gabriella

Nel secondo dopoguerra il dibattito sui limiti della scienza 
e della tecnologia era strettamente legato ai timori di distruzione 
del genere umano legati alla bomba atomica. Oggi le nuove sfide sono quelle del postumano, in cui la ‘soglia’ dell’umano viene travalicata aprendo certamente grandi possibilità ma ponendo anche nuovi, complessi interrogativi. Ed è sul terreno del diritto 
che si pongono le sfide più importanti: i princìpi di eguaglianza 
e dignità devono essere il faro per rimanere umani. Uno degli ultimi contributi di Stefano Rodotà, pubblicato da MicroMega.

 

Norbert Wiener (1894 -1964)

1. Quando, nel 1950, Norbert Wiener pubblica le sue riflessioni su cibernetica, scienza e società, sceglie come titolo L’uso umano degli esseri umani. In queste parole troviamo qualcosa che va oltre la storica consapevolezza dello scienziato per le conseguenze della sua ricerca. Vi è l’eco di un tempo cambiato, e non solo per la percezione lucida di quel che la tecnologia avrebbe determinato e che lo induce a una pionieristica riflessione sui rapporti tra l’umano e la macchina. Siamo a ridosso della seconda guerra mondiale e Wiener è tra gli scienziati più consapevoli dei rischi di una militarizzazione della scienza, tanto che rifiuta ogni finanziamento legato a queste finalità, ogni coinvolgimento in simili ricerche. Negando l’innocenza della scienza, nel 1947, in una lettera intitolata «A Scientist Rebels», ribadisce il suo rifiuto di incoraggiare

«the tragic insolence of the military mind»,

che può determinare appunto usi inumani degli esseri umani, con un riferimento esplicito alle bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki. La riflessione sui rapporti tra scienza e società viene così legata alla responsabilità per gli effetti della ricerca scientifica e tecnologica, e proiettata nel futuro.

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23 Giugno, 2017

Stefano Rodotà, Verso una società postumana. Vademecum per la felicità

by gabriella

Una sintesi della lezione tenuta il 23 aprile all’università di Perugia, pubblicata su Repubblica del 28 aprile 2015.

Nel 1950 Norbert Wiener pubblica le sue riflessioni su cibernetica, scienza e società, e sceglie come titolo L’uso umano degli esseri umani. Parole in cui si coglie l’eco di un tempo cambiato dalla bomba atomica, che indurrà nel 1956 Guenther Ander a dire che L’uomo è antiquato, e a scrivere:

«Come un pioniere, l’uomo sposta i propri confini sempre più in là, si allontana sempre più da se stesso; si “trascende” sempre di più — e anche se non s’invola in una regione sovrannaturale, tuttavia, poiché varca i limiti congeniti della sua natura, passa in una sfera che non è più naturale, nel regno dell’ibrido e dell’artificiale».

Questo congedo dall’umano era cominciato almeno un quarto di secolo prima.

Quando Julien Huxley aveva inventato il termine “transumanismo”, riferito poi alla «tecnologia che permette di superare i limiti della forma umana», molte trasformazioni sono già visibili, si parla del corpo come un nuovo “oggetto connesso”, una “nanobio- info-neuro machine”, che annuncia la fine dell’età umana. Quale spazio rimarrebbe per quell’attività umana che consiste nell’agire libero e nel dare regole all’agire? Scomparirebbero i diritti “umani”, e con essi i principi di dignità e eguaglianza? L’orizzonte si è dilatato, la definizione del postumano non è riferita solo alle innovazioni legate a biologia e genetica, ma è il risultato della convergenza di elettronica, intelligenza artificiale, robotica, nanotecnologie, neuroscienze. Alla realtà “aumentata” dall’elettronica si accompagna la prospettiva dell’uomo “aumentato”.

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27 Maggio, 2017

Silvano Agosti, Lettere dalla Kirghisia

by gabriella

Prima lettera

…basta saper immaginare un’isola, perché quest’isola incominci realmente ad esistere.

Kirghisia, 3 luglio

Cari amici,Lettere_Kirghisia

non sono venuto in Kirghisia per mia volontà o per trascorrere le ferie, ma per caso.

Improvvisamente ho assistito al miracolo di una società nascente, a misura d’uomo, dove ognuno sembra poter gestire il proprio destino e la serenità permanente non è utopia, ma un bene reale e comune. Qui sembra essere accaduto tutto ciò che negli altri Paesi del mondo, da secoli, non riesce ad accadere.

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5 Maggio, 2017

John Locke, L’origine delle idee e dell’idea di sostanza

by gabriella

ideeDa dove vengono le idee che abbiamo

Poiché ogni uomo è consapevole di pensare, e poiché ciò cui il suo spirito si applica mentre pensa sono le idee che vi si trovano, è fuori dubbio che gli uomini hanno nel loro spirito molte idee; come ad esempio quelle espresse dalle parole bianchezza, durezza, dolcezza, pensare, movimento, uomo, elefante, esercito, ubriachezza e così via. La prima domanda da porsi è dunque: come gli vengono queste idee? (1)

So che è dottrina comunemente ammessa che gli uomini ab­biano idee e caratteri originari stampati nel loro spirito fin dal pri­mo momento della loro esistenza. Ho già esaminato diffusamente quest’opinione, e credo che ciò che ho detto nel Libro precedente sarà più facilmente accolto quando avrò mostrato da dove l’intel­letto può procurarsi tutte le idee che ha e in quali modi e gradi esse possono giungere allo spirito: sul che mi appellerò all’osser­vazione e all’esperienza di ognuno (2).

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