Archive for ‘Pedagogia’

1 Ottobre, 2012

Il pensiero cinese antico

by gabriella

china province-mapContemporaneamente alla fioritura della filosofia greca (Socrate, Platone) e indiana (Siddhartha Gautama, il Buddha), il VI° e V° secolo vede attivi in Cina Confucio (Kung Fuzí), fondatore del Ru Jia, la scuola dei letterati, Mòzî (Mo Tzu), caposcuola del moismo (Mo Chia), e Zhuāngzǐ (Chuang Tzu), il principale prosecutore della scuola daoista nata con Laozí (Lao Tzu).

A questa prima fase segue il cosiddetto periodo delle “cento scuole”, un’epoca di impressionante vivacità intellettuale che vede nascere, oltre alla scuola dello yin-yang il cui testo fondamentale, l’I-Ching o Libro dei mutamenti, è da datare però al secondo o addirittura al terzo millennio a. C. -, la speculazione di Mencio (Mengzí), caposcuola dell’indirizzo spiritualista del Ru Jia, di Xunzí  (Hsun Tzu), autore de L’arte della guerra ed espressione dell’opposta corrente materialista della scuola confuciana, e di Han Feizí, iniziatore del pensiero autoritario dei legisti (Fa Jia).

 

Indice

1. Confucio e il Ru Jia
2. Laozí e il Dao Jia
3. Han Feizí e i legisti (Fa Jia)


1.
Confucio e il Ru Jia

Tutte le cose sono complete dentro di noi. Non c’è maggiore delizia che comprendere questo mediante l’educazione di se stessi.

Mencio (Mengzí) , VII, 1

Il maestro Kung (Khung Fu Tzu, latinizzato in Confucio), come fu sempre chiamato Khung Chhiu, era nato nel -552 (VI° a. C.) nel piccolo stato di Lu nell’odierno Shandong.

Più che un pensatore originale, Confucio fu, in primo luogo, un maestro di morale, interessato a sviluppare un codice etico capace di migliorare la vita associata degli uomini. Il tema centrale del suo insegnamento è stato infatti quello del completo sviluppo della personalità e dell’armonizzazione dei rapporti umani finalizzato al conseguimento del bene comune.

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28 Settembre, 2012

Roberto Ciccarelli, Rapporto OCSE sulla scuola italiana: la bolla formativa è esplosa

by gabriella

Il Rapporto OCSE 2011 sulla scuola italiana fotografa con impietosa chiarezza i risultati delle politiche dell’istruzione degli ultimi vent’anni, dal berlingueriano 3+2 all’inasprimento gelminiano del numero chiuso. Il risultato è stato, non sorprendentemente, l’esclusione da scuola e lavoro per un giovane (19-25enne) su 4.

Penultimi nella classifica Ocse per la spesa pubblica nell’istruzione (il 4,7 per cento del Pil, contro una media del 5,8) OCSE, Education at a glance 2011 (versione italiana). I docenti della scuola (età media 50 anni) che percepiscono un reddito decisamente più basso rispetto ad altri lavoratori con un’istruzione universitaria. Nel dodicesimo rapporto Ocse Education at a glance presentato ieri a Parigi l’Italia si piazza al 24° posto (su 27 paesi) per gli insegnanti della primaria, al 23° per le superiori. La percentuale dei suoi laureati resta tra le più basse dell’area che riunisce i paesi più industrializzati: tra i 25 e i 64 anni sono il 15 per cento, contro una media Ocse del 31 per cento. Tutto questo mentre la disoccupazione aumenta significativamente tra i laureati (5,6 per cento), ma non tra i diplomati.

Nel paese del precariato di massa, e dei redditi sotto della soglia di povertà, l’Ocse conferma che nessuna istituzione, né tanto meno il mercato del lavoro, garantiscono ai laureati una retribuzione dignitosa, né un lavoro adeguato alla loro preparazione. È il ritratto più sincero che raramente è capitato di leggere nelle dichiarazioni dei governi in questa legislatura, per non parlare di quelle precendenti. Quella dell’esplosione della bolla formativa è una storia recente, che si può tradurre in una sola parola: fallimento.

La favola del «3+2»

Fallimento, ad esempio, della riforma Berlinguer-Zecchino del 2000 che varò il cosiddetto «3+2», tra le mirabolanti promesse della «società della conoscenza» in cui il centro-sinistra prodiano credeva fermamente. «Un’occasione mancata – l’hanno definita i tecnici Ocse – colpa anche della contrazione dei posti nella dirigenza delle pubbliche amministrazioni, che erano in passato lo sbocco privilegiato per i vostri laureati, e del boom di offerta di corsi i cui profili non trovano corrispondenza sul mercato».

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31 Agosto, 2012

Daniela Lucangeli, Learning disabilities: difficoltà vs disturbo

by gabriella

LucangeliLa conferenza sui disturbi dell’apprendimento tenuta a Perugia dalla professoressa Lucangeli (Univ. Padova) alla fine di maggio 2012, è stata tra gli interventi conclusivi della formazione per gli insegnanti umbri sulla Legge 170/2011. Proprio la sua collocazione al termine di un percorso che valorizzava gli strumenti della legge l’ha resa socraticamente preziosa, perché capace di mettere in crisi la credenza nella natura biologica di molte difficoltà d’apprendimento (qui le slide).

L’intervento di Daniela Lucangeli permette di capire che i ragazzi dislessici non hanno bisogno di strumenti burocratici per essere inclusi, ma che sono la scuola e l’insegnamento ad aver bisogno di strumenti e di potenziamento per includerli davvero. Al netto del risultato legislativo sui DSA si registra, al contrario, la tendenza ormai ventennale a togliere alla scuola sempre più mezzi e capacità di intervento educativo.

Apprendimento e cervello

Abbattere l’insuccesso scolastico, realizzare gli obiettivi scolastici e creare benessere.

Daniela Lucangeli

Fin dall’esempio con cui esordisce, appare evidente il rifiuto della professoressa Lucangeli di aderire al biologicismo delle neuroscienze. Un museo espone in una teca otto cervelli, una targa ricorda a lato che sono appartenuti a quattro scienziati e quattro criminali, ma la loro struttura e fisionomia esteriore sono identiche: né il crimine, né il genio sono dunque nel nostro cervello [si veda per questo Alva Noë, Perché non siamo il nostro cervello, Nota mia].

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27 Luglio, 2012

Giorgio Mascitelli, Le Olimpiadi a scuola. Piero Bevilacqua, A che serve premiare il merito?

by gabriella

Una meravigliosa, semplice e persino breve illustrazione del significato profondo del rafforzamento della nostra meritocrazia scolastica.

E’ molto strano che, da quando ci si occupa di educare fanciulli, non si sia immaginato altro strumento per guidarli che l’emulazione, la gelosia, l’invidia, la vanità, l’avidità, il vile timore, tutte la passioni più dannose, più pronte a fermentare e più adatte a corrompere l’anima anche prima che il corpo si sia formato.

Jean-Jacques Rousseau

Se esaminiamo le politiche scolastiche degli ultimi anni, l’unica «idea pedagogica» rintracciabile, accanto a provvedimenti che hanno a che fare con logiche economiche, è quella di rafforzare lo spirito di competizione degli studenti e di far così trionfare la meritocrazia. La recente idea del ministro Profumo di istituire un premio in ogni istituto per lo studente dell’anno non è certo un fulmine a ciel sereno, ma piuttosto il tentativo di dare una risposta sul piano simbolico, e quindi educativo, a questo tipo di discorso. Da un punto di vista storico non è una novità: tutte le società desiderose di introdurre forme di mobilitazione permanente dei loro cittadini hanno sempre utilizzato la scuola per finalità di questo genere.

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17 Luglio, 2012

Pier Cesare Rivoltella, La mente, l’occhio, il cuore. Jaime D’Alessandro, Il problema non è il device, ma il metodo

by gabriella

Una riflessione di Rivoltella su didattica e nuove tecnologie dallo slogan quasi zen. Il file audio contenente l’intera relazione è disponibile qui. In coda una breve nota di D’Alessandro ci rammenta che se le tecnologie non sostengono l’accantonamento della didattica frontale è meglio lasciarle a casa.

1. La mente

Il profilo cognitivo (il brainframe, per dirla con de Kerckhove) che le nuove tecnologie contribuiscono a costruire è quello di:
una mente incarnata (embodied cognition): il primato della dimensione tattile (nelle interfaccia) e l’esternalizzazione della scena cognitiva sugli schermi concorre a definire il lavoro cognitivo come lavoro sugli oggetti;
una mente distribuita: la policronia (cioè la possibilità di vivere più tempi nello stesso tempo) e un ordine dell’attenzione periferico (perché impegnato a non perdere d’occhio nessuno dei frame aperti sulla propria scrivania) eleggono la velocità a propria cifra distintiva. Ne consegue che il pensiero abilitato dalle tecnologie è un pensiero breve;
una mente multiliteracy. Le nuove tecnologie chiedono al soggetto la competenza di saper usare linguaggi diversi, propri dei singoli sistemi espressivi, e formati mediali diversi. Il risultato è quello che Jenkins chiama navigazione transmediale e che si traduce in un’estensione delle competenze alfabetiche (secondo l’indicazione del New London Group).

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9 Luglio, 2012

Laozí, Dao Dé Ching

by gabriella

Il Dao è flessibile come un arco; l’alto diventa più basso, ed il modesto si eleva.
Esso riduce la distanza che è stata stesa, ed allunga ciò che è divenuto troppo corto.
È la Via del Dao di prendere da quelli che hanno troppo e di darlo a chi ha bisogno,
La via della persona comune, non è la Via del Dao, perchè simili persone
sono abituate a prendere da quelli che sono poveri e dare a quelli che sono ricchi.
Il saggio sa che i suoi averi non sono di nessuno, perciò lui li dà al mondo;
senza riconoscenza e senza rimpianti, solamente facendo il suo lavoro.
Cosi egli compie ciò che a lui viene richiesto; e senza starci a pensar su,
lui fa dono della sua saggezza, senza mostrarlo in alcun modo.

Taglia via la saggezza, getta via il sapere: il profitto del popolo sarà centuplicato.
Taglia via l’umanità, getta via la giustizia: il popolo tornerà alla pietà filiale.
Taglia via l’abilità, getta via il profitto: non ci saranno più ladri né banditi.
Per queste tre cose la cultura non è sufficiente.
Abbi quindi qualcosa su cui fare affidamento.
Mostrati naturale, abbraccia la semplicità.
Abbi pochi interessi personali e pochi desideri.
Con lo studio ogni giorno si aumenta.
Con la via ogni giorno si diminuisce.
Si diminuisce sempre più finché si arriva al non-fare.

8 Luglio, 2012

Mike Wesch, Rethinking Education

by gabriella

Il professor Wesch spiega come i sistemi educativi debbano essere ripensati alla luce della produzione collettiva di saperi e della complessità della cultura partecipativa (participatory culture).

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=5Xb5spS8pmE]

22 Giugno, 2012

Marcel Hénaff, Il prezzo della verità

by gabriella

La recensione di Beniamino Fortis a Marcel Hénaff, Il prezzo della verità. Il dono il denaro, la filosofia, Città Aperta, 2007.

Quel che conta non ha prezzo [per tutto il resto c’è Master Card …]

Se vi sia ancora spazio, nell’epoca del pieno dispiegamento della logica commerciale, per un ambito sottratto alle valutazioni mercantili è questione che assume un ruolo preponderante nell’ambito delle tematiche trattate da Marcel Hénaff. Da essa prende le mosse il percorso che le attraversa, e ad essa è riconducibile la sostanziale continuità tra i tre nuclei problematici che, dell’intera opera, scandiscono e orientano lo sviluppo. Figure della venalità, L’universo del dono, La giustizia nello scambio e lo spazio mercantile, sono infatti le tre tappe, i tre quadri concettuali, susseguentisi nella stretta relazione che nell’ultima parola dell’uno, riconosce contemporaneamente il primo atto del successivo. Nel risultato ultimo, conseguito nell’ambito di un piano tematico, il presupposto, a partire dal quale è consentito lo sviluppo della trattazione seguente.

Oggetto della prima parte dell’opera è la delineazione del concetto di venalità. Una ricostruzione della critica rivolta da Platone e Aristotele contro i sofisti individua il tratto saliente della polemica nell’indignazione provata dinanzi alla circostanza, per la quale era consuetudine dei maestri di sofistica esigere un onorario in cambio dei servigi offerti. Nella fattispecie, appare scandalosa l’indebita istituzione di un rapporto fra ciò che, per sua stessa natura, risulta essenzialmente incomponibile: «La scienza e il denaro non si misurano con lo stesso metro» (Aristotele, Etica Eudemia, VII, 10, 1243b).

Sulla base di tale irriducibile incommensurabilità, le conclusioni che si traggono conducono al più profondo discredito per i sofisti – che quindi, non possono in alcun modo essere quei maestri di autentico sapere per i quali si spacciano, poiché, se veramente così fosse, nessun compenso potrebbe, in tal caso, risultare adeguato. È il fatto che gli insegnamenti sofistici siano – in certo qual modo – misurabili – che a essi, cioè, sia possibile dare un prezzo – a evidenziarne la radicale estraneità rispetto all’autentica saggezza della filosofia.

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18 Giugno, 2012

Mauro Boarelli, L’inganno della meritocrazia

by gabriella

Finiti gli scrutini, quest’anno gli insegnanti hanno già toccato con mano gli esiti “autoselezionanti” della “riforma”. Curricoli scardinati, anticipazioni scriteriate di contenuti (dovute alla cancellazione del binomio biennio+triennio e alla sua sostituzione con la formula biennio+biennio+monoennio dove ad ogni passaggio si cambia materia e si procede con metodo storico), affollamento delle classi, inesistenza del sostegno, mancanza degli strumenti di lavoro (dalla LIM ai pc, ai proiettori ..) hanno prodotto medie altissime di ragazzi respinti e rinviati a settembre. Che non sia semplicemente un anno sfortunato lo si capisce poi agli esami di stato (di cui oggi si sono insediate le commissioni), dove ci si confronta con colleghi di altre scuole e si trova conferma di questa impennata di insuccessi attesi a cui la scuola guarda impotente o distratta.

Rileggiamoci allora l’articolo di Boarelli sul merito vah, che ci fa bene.

Marco Boarelli, L’inganno della meritocrazia

La meritocrazia è sulla bocca di tutti, a destra come a sinistra. In una società come quella italiana, dove l’assenza di “merito” incancrenisce ogni articolazione della vita sociale e svilisce aspirazioni, competenze, passioni e idee, quale cittadino – indipendentemente dalle idee politiche professate – potrebbe essere pregiudizialmente ostile verso questo termine? Eppure è un termine ambiguo. Muta di senso a seconda di chi lo usa, ma al tempo stesso custodisce un insieme di significati non negoziabili che dovrebbero indurre a maneggiarlo con prudenza. Come ogni parola, anche questa non è neutrale. Va interrogata alla ricerca del senso profondo e delle sue implicazioni.

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16 Giugno, 2012

Sandro Chignola, Il compito della scuola: insegnare a decostruire le forme doxastiche

by gabriella
Il sostegno di Foucault e Sartre agli studenti durante il maggio 68

Il sostegno di Foucault e Sartre agli studenti durante il maggio 68

Sandro Chignola, filosofo veronese, studioso del pensiero di Michel Foucault e curatore di Governare la vita. Un seminario sui Corsi di Michel Foucault al Collège de France (1977-1979) (Ombre corte, Verona 2006, pp. 154, 13 euro) ci aiuta a dissipare il rumore mediatico che avvolge in questi giorni la proposta di legge Profumo, attraverso un’analisi serrata del ruolo della scuola pubblica nella società italiana contemporanea e della funzione svolta dall’ideologia del merito nei progetti nei progetti di riorganizzazione dell’ultimo ventennio. Intervista curata da Marco Ambra.

Marco Ambra: Partiamo proprio dai processi di riorganizzazione della scuola in corso dagli anni ’90. Lei li ha descritti nei termini di una ristrutturazione secondo l’ideologia del new public management: la graduale privatizzazione della scuola pubblica, l’implementazione di una tecnologia didattica delle competenze, il coinvolgimento di tutti gli shareholders (genitori, studenti, funzionari pubblici, dirigenti) nella valutazione dell’attività didattica, anche attraverso strumenti di misurazione statistico-quantitativa (come le prove INVALSI). In che modo questi punti-guida dell’azione riorganizzatrice della scuola pubblica creano uno spazio nel quale può inserirsi quello che Foucault, nella Nascita della biopolitica, rileva come uno dei dispositivi più efficaci del neoliberismo: l’idea di un individuo imprenditore di sé, ontologicamente primo rispetto alla società nella quale agisce? In che senso questa riorganizzazione è sostenuta da un’episteme pedagogica espressione della didattica delle competenze?

Sandro Chignola:
Il fatto che io mi riferisca a Sicurezza, territorio e popolazione e alla Nascita della biopolitica per decostruire gli interventi di riforma che si sono abbattuti sulla scuola pubblica a partire dagli anni ’90 è qualcosa che in qualche modo Foucault stesso auspicava quando ribadisce, nelle interviste, di pensare alla propria opera come ad una cassetta degli attrezzi. L’opera foucaultiana non è una disciplina o un pensiero chiuso nella propria coerenza, quanto piuttosto una «freccia scagliata al cuore del presente» (Habermas), un repertorio di argomenti, mosse, analisi che potevano e possono essere proseguite. C’è una serie di conferenze di Foucault attorno alla metà degli anni ’70 in cui dice di avere pensato a tutti i suoi libri come a gallerie di miniere che dovevano crollare, come fuochi d’artificio o addirittura molotov: qualcosa che si consuma nel momento in cui l’analisi produce il proprio effetto. Ora, i due corsi che ho citato all’inizio sono straordinari per le cose che metti a tema nella domanda. Soprattutto per quello che la Nascita della biopolitica dice rispetto alla relazione tra governamentalità e neoliberismo.

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