1. Dalla pedagogia positivistica a quella sperimentale
l’intelligenza è un mezzo di adattamento, gli interessi sono l’equivalente dei bisogni
Decroly è uno dei protagonisti del passaggio da una pedagogia ancora classica, costruita sula base di riflessioni teoretiche, a una pedagogia scientifica intrecciata con la psicologia, la medicina e la biologia e messa alla prova della ricerca sperimentale.
Il filo conduttore di questo passaggio è la ricerca di un’educazione basata su interessi spontaneidei ragazzi legata a stimoli adeguati al ritmo del loro sviluppopsico-biologico.
È evidente l’influenza dell’evoluzionismo che in questo contesto, spiega l’intelligenza come uno strumento adattivo di sopravvivenza [vedi L’intelligenza come problem solving] e gli interessi dell’individuo come l’equivalente dei bisogni nell’adattamento di un organismo biologico al suo ambiente.
Un’introduzione alla pedagogia contemporanea che punta ai cambiamenti della visione educativa dalla modernità ad oggi, per collocare in prospettiva storica il successivo studio degli autori novecenteschi.
Don Lorenzo Milani (1923 – 1967)
Johann Heinrich Pestalozzi (1746 – 1827)
Jean-Antoine de Condorcet (1743 – 1794)
Il filo conduttore della lezione tende a mostrare come le conquiste della modernità (alfabetizzazione universale, diritto allo studio e scuola repubblicana) tendano a cristallizzarsi in forme stabili (il diritto alla scuola viene costituzionalizzato) integrando anche nuove conquiste democratiche (universalizzazione del principio di educabilità e scolarizzazione dei disabili), pur mantenendo tutte le contraddizioni della modernità.
Infatti, l’idea di Condorcet che «la società deve al popolo un’istruzione pubblica» quale unico strumento per realizzare l’eguaglianza, oggi sancita dall’art. 3 (Cost.It), convive in un quadro di ritiro dello Stato (non solo italiano) dall’impegno costituzionale che lascia esistere la vasta realtà dell’analfabetismo funzionale dei nostri giovani.
Indice
1.Premessa: la lezione degli antichi 2. Le conquiste della modernità
2.1L’alfabetizzazione universale 2.2Diritto allo studio e scuola repubblicana
3. Le caratteristiche della pedagogia contemporanea
3.1 Dall’emancipazione all’inclusione 3.2 L’era della didattica 3.3 Costituzionalizzazione e decostituzionalizzazione della scuola
1.Premessa: la lezione degli antichi
Protagora di Abdera (490 – 411 a.C.)
Come sappiamo, la lezione pedagogica del mondo antico, da Omero ad Aristotele, consiste nella comprensione del potere dell’educazione nello sviluppo umano.
Infatti, mentre per Omero l’eccellenza è il prodotto della nascita aristocratica che si realizza con l’aiuto di un maestro, già con i sofisti l’aretè è il sapere, perché è il possesso della conoscenza che promuove la capacità di parola e di comprensione del mondo (è la conoscenza che crea competenza). Eccellenti quindinon si nasce, ma si diventa attraverso la cura di sé, o skolé, un privilegio riservato nel mondo antico agli uomini liberi.
2. Le conquiste della modernità
siamo espressione dello stesso spirito
Dopo i Greci, l’idea cristiana della comune appartenenza allo Spirito del genere umano ha lentamente democratizzato l’accesso all’educazione, fino alla svolta protestante, la cui teologia prescriveva al cristiano il dovere di avvicinarsi a Dio attraverso le Scritture.
2.1 L’alfabetizzazione universale
In questo nuovo contesto politico-ideale occorre, dunque, saper leggere, così nella Lettera ai Borgomastri e ai Consigli di tutte le città tedesche del 1524, Lutero apre ai giovani di entrambi i sessi le prime scuole popolari, avviando l’alfabetizzazione dei poveri e delle donne in Europa.
Nicolas de Condorcet (1743 – 1794)
Jan Amos Komensky (1592 – 1670)
Un secolo dopo, il radicale protestante Comenio elabora un metodo per «insegnare tutto a tutti» e accendere la luce dello spirito nella mente di tutti gli uomini.
2.2 Diritto allo studio e scuola repubblicana
Ma la conquista fondamentale della modernità e punto d’arrivo dell’elaborazione precedente, è l’enunciazione, ad opera di Nicolas Condorcet, del diritto allo studio e dei principi della scuola repubblicana (1791).
Sono gli scritti di questo aristocratico illuminato e dei politici giacobini a forgiare il modello di una scuola laica, pubblica e statale nella quale si insegnino non credenze e opinioni, ma le scienze e i saperi documentati e la cui frequenza sia obbligatoria nei primi anni di corso, perché
«la società deve al popolo un’istruzione pubblica» [Cinq mémoire sur l’instruction publique, 1, 1791]
quale unico strumento capace di rendere effettivo l’esercizio dei diritti di libertà ed eguaglianza.
Si afferma per la prima volta in modo esplicito, il principio dell’educazione comeemancipazione popolare dall’ignoranza e dalla marginalità, cioè come diritto al pieno sviluppo della persona umana [che permetta] l’effettiva partecipazione di tutti all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese (come recita ora il comma secondo dell’art. 3 della Costituzione italiana).
In una parola, alla scuola si riconosce di essere lo strumento per l’esercizio della sovranità popolare (cioè della scelta, della dcisione politica), perché senza educazione non c’è effettiva eguaglianza, ma permanenza della dipendenza di chi ignora da chi sa.
3. Le caratteristiche della pedagogia contemporanea
3.1 Dall’emancipazione all’inclusione
Nell’800, la rivoluzione industriale ha trasformato profondamente la società europea. Le condizioni del lavoro di fabbrica, la separazione tra tempi di vita e tempi di lavoro (con conseguente allontanamento dei genitori da casa) e il dramma del lavoro minorile, impongono una riflessione sulla cura dell’infanzia e sulle sue necessità educative.
Friedrich Fröbel (1782-1852)
Johann Heinrich Pestalozzi (1746 – 1827)
Saranno Fröbel e Pestalozzi a condurla, il primo reagendo alla realtà delle case di custodia – asili per una educazione meramente disciplinare dei figli delle madri lavoratrici – con i suoi Kidergarten che restituivano ai bambini la libertà del gioco, il secondo elaborando un metodo elementare per insegnare ad orfani e bambini deprivati, conseguenze tragiche delle guerre e della rivoluzione industriale.
È con la filantropia pedagogica di Pestalozzi che all’idea rivoluzionaria dell’emancipazione popolare si sostituisce quella più realista dell’inclusione.
In appassionate lettere ai potenziali finanziatori delle sue scuole e ricoveri per l’infanzia in difficoltà Pestalozzi, infatti, descrive le condizioni subumane di piccoli a cui la miseria e l’abbandono hanno impedito di imparare a camminare e parlare, proponendo per loro scuole in cui a una formazione elementare dello spirito e dell’etica si unisca l’avviamento al lavoro, quale strategia per includere questi figli del popolo in una società in cui resteranno marginali, ma non dipendenti dalla carità altrui.
Dopo la grande, isolata, teorizzazione di Comenio, quelle di Fröbel e Pestalozzi sono le prime anticipazioni di una riflessione pedagogica concentrata sulla didattica che sarà una delle cifre della contemporaneità.
L’alfabetizzazione popolare muove i primi passi anche nei paesi cattolici dell’Europa del Sud ed emerge già, con chiarezza, che i risultati educativi non sono garantiti dalla sola scolarizzazione.
Serve, quindi, un metodo per insegnare ai giovani che si stanno affacciando per la prima volta all’educazione scolastica: il novecento risponderà con la ripresa delle idee lockeane e rousseauiane che sfoceranno nell’esperienza delle scuole nuove e dell’attivismo pedagogico.
La scuola si incammina, non senza ritardi e resistenze, verso la centralità dello studente (puerocentrismo rousseauiano) e la laboratorialità (learning by doing lockeano).
3.3 Costituzionalizzazione e decostituzionalizzazione della scuola
Piero Calamandrei (1889 – 1956)
Un altro grande asse su cui si sviluppa la riflessione pedagogica novecentesca è quello della costituzionalizzazione delle idee illuministe del diritto allo studio e della scuola repubblicana sostenuta non solo da un dibattitto specialistico ma anche da battaglie popolari per la difesa del principio di eguaglianza o, in altri termini, di una scuola pubblica quale organo costituzionale della cittadinanza democratica o della sovranità popolare (Calamandrei, 1950).
L’idea che sia la scuola pubblica, laica, gratuita e obbligatoria a rendere effettivo il principio d’eguaglianza viene impresa nelle costituzioni del dopoguerra post-fascista della Repubblica italiana e degli altri paesi europei.
Ciò non estingue, però, il confronto tra questa idea emancipativa dell’educazionee quella che emerge già con Pestalozzi, di una scuola che tamponi le emergenze sociali della modernità, limitandosi a correggere le storture più evidenti.
La scuola che invia precocemente al lavoro o che alterna la scuola ad esso in un quadro di analfabetismo funzionale persistente, che offre programmi di studio semplificati e inconsistenti ai ragazzi che non ha saputo/voluto formare, cioè la scuola rimodellata dalle riforme degli ultimi 20 anni, è una scuola, di fatto, decostituzionalizzata che, nel migliore dei casi, include ma non emancipa.
3.4 Democratizzazione dell’educabilità
È in questo quadro che va pensata una delle conquiste democratiche più importanti, vanto della scuola italiana, quale il principio dell’inclusione nelle classi normali dei ragazzi disabili.
Questa fondamentale democratizzazione del principio di educabilità, cioè del principio che tutti possono essere educati e sviluppare la propria personalità attraverso la scuola e l’istruzione, prende avvio nel 1971 con la legge che prevede l’inserimento«nelle classi normali della scuola pubblica» nell’istruzione dell’obbligo per tutti i ragazzi, salvo quelli «affetti da gravi deficienze o menomazioni tali da impedire o rendere molto difficoltoso l’apprendimento».
Con questa norma, si abbandona l’idea delle classi differenziali, per sposare il principio (affermato esplicitamente nel 1977 con l’introduzione dell’insegnamento di sostegno) che la diversità sia una caratteristica di qualità della scuola pubblica capace di arricchire tutti coloro che la frequentano.
Tale produzione normativa ha alle spalle un dibattito pedagogico che ha definitivamente bandito l’idea che alcuni ragazzi non siano in grado di imparare e che si impegna in una elaborazione di idee e concetti che si trasferiscono alle norme scolastiche: quelli inserimento, poi di integrazione, quindi di inclusione, che portano con sé l’idea che la diversità non costituisca ostacolo alla partecipazione di tutti alla vita sociale.
Nello stesso momento, a partire dagli anni ’60, si sviluppa a livello mondiale un nuovo movimento di rinnovamento pedagogico, alimentato da pedagogie critiche dell’istituzione scolasticae dell’educazione tradizionale.
Con Paulo Freire e Ivan Illich in America Latina, Don Milani, Bruno Ciari e altri in Italia, si afferma l’idea che
Nessuno educa nessuno, nessuno si educa da solo, gli uomini si educano insieme, con la mediazione del mondo [Paulo Freire, Pedagogia do oprimido, 1968; La pedagogia degli oppressi]
don Milani (1923 – 1967)
e che la scuola non fa abbastanza per insegnare e rendere uguali bambini e ragazzi. Peggio, denuncia don Milani, ne certifica le diseguaglianze e inasprisce le discriminazioni fin dal loro ingresso nelle aule scolastiche:
come un ospedale che «che cura i sani e respinge i malati».
Di qui l’accusa agli insegnanti, colpevoli di aver dimenticato il loro compito e il loro dovere indicati nell’art. 3:
[…] Se ognuno di voi sapesse che ha da portare innanzi a ogni costo tutti i ragazzi e in tutte le materie, aguzzerebbe l’ingegno per farli funzionare. Io vi pagherei a cottimo. Un tanto per ragazzo che impara tutte le materie. O meglio multa per ogni ragazzo che non ne impara una. Allora l’occhio vi correrebbe sempre su Gianni (l’allievo più svantaggiato). Cerchereste nel suo sguardo distratto l’intelligenza che Dio ci ha messa certo uguale agli altri. Lottereste per il bambino che ha più bisogno, trascurando il più fortunato, come si fa in tutte le famiglie. Vi svegliereste la notte con il pensiero fisso su lui a cercar un modo nuovo di fare scuola, tagliato su misura sulla sua. Andreste a cercarlo a casa sua se non torna. Non vi dareste pace, perché la scuola che perde Gianni non è degna d’essere chiamata scuola [Lettera a una professoressa, 1967].
Un approfondimento sulla pedagogia speciale e la didattica capace di educare ragazzi disabili o in situazione di disagio, favorendone l’inclusione sociale.
Verso la pedagogia speciale
Indice
1.La nascita della pedagogia speciale
1.1 Il «Selvaggio dell’Aveyron»
2. Séguin e l’educazione degli idioti
2.1Ovide Decroly 2.2 Maria Montessori
3. L’inserimento scolastico dei disabili in Italia
1. La nascita della pedagogia speciale
La pedagogia speciale nasce con il rifiuto dell’idea di ineducabilità di un individuo in condizioni di handicap e, successivamente, della segregazione in istituto delle persone portatrici di disabilità.
Esclusi dai contesti educativi e considerati fino ad allora irrecuperabili, i ragazzi portatori di handicap fanno le loro prime esperienze scolastiche, superando in questo modo le esperienze di custodia ed assistenza.
La pedagogia speciale affonda le sue radici in Francia, nel clima illuministico della fine del ‘700 e dell’interesse per lo studio dell’uomo e dell’educazione che vede la nascita dei primi istituti per l’educazione delle persone con menomazioni sensoriali uditive e visive.
Il mondo cattolico ha guardato con sospetto e distanza alle innovazioni dell’attivismo pedagogico, nella convinzione che la scuola nuova mettesse in discussione l’educazione cristiana.
La principale obiezione mossa dai filosofi cattolici all’attivismo, consiste nel rilievo che l’uomo non è solo natura istintiva e sensibile, ma anche spirituale e razionale e che il suo destino non è solo di ordine sociale, ma anche personale e religioso.
Per questo, secondo lo svizzero Eugène Dévaud, la vera scuola attiva è quella che considera tutto l’uomo, inclusi gli aspetti spirituali e religiosi, ed è perciò quella ispirata all’umanesimo cristiano, il solo in grado di indicare il senso all’esperienza umana.
1.Marco Porcio Catone 2. Marco Tullio Cicerone 3.Marco Fabio Quintiliano
Con la sua sintesi di motivi ellenistici e temi della tradizione arcaica romana, il pensiero educativo da Catone (234-149 a.C.) a Quintiliano (35/40-96 a.C.) ha avuto un’influenza fondamentale sulla tradizione occidentale.
A differenza del pensiero greco, la cultura romana non dispone di un’opera letteraria a cui riferirsi come elemento fondativo, i valori e i principi comuni vengono dunque rintracciati all’interno della tradizione, cioè di quella vita di un popolo di contadini che si affidava ai motivi etici della famiglia, della dedizione allo stato, del rispetto delle leggi e della tradizione, della pietas verso gli dèi, della fermezza (virtus), della dignità personale (gravitas) e del lavoro.
Questo insieme di valori, codificato nelle leggi non scritte del mosmaiorum e in quelle inscritte nel bronzo delle Dodici tavole – una legificazione che fu, di fatto, una codificazione del mos maiorum del 451 a. C. per rispondere a conflitti sociali tra patrizi e plebei – costituisce il carattere romano della riflessione sviluppata nei circa quattro secoli che prendiamo in considerazione.
Questa identità originaria costituisce il filtro attraverso cui Roma si confronta con la cultura greca da Marco Porcio Catone, che considera nefasta la sua influenza e le attribuisce la crisi morale e il declino delle istituzioni avite, a Cicerone (106-43 a.C.) che la considera con circospezione ma la pone a fondamento delle virtù fondamentali dell’uomo pubblico.
Filosofo neoidealista, politico fascista e autore della riforma della scuola che porta il suo nome, Gentile è stato interprete dell’hegelismo di destra e, come tale, ha concepito l’educazione come autoformazione nell’unità spirituale fra maestro e allievo.
1. Il platonismo e la concezione pedagogica gentiliana
Platone (428/7 – 348/7)
Nella visione platonica che caratterizza il suo pensiero pedagogico, il processo educativo si risolve nel «farsi» dello spirito, nella dialettica filosofica e nell’elevazione spirituale frutto dello scambio tra maestro e allievo, nel quale entrambi si accostano alla verità.
L’insegnamento è, per Gentile, «teoria in atto», fuoco creatore e diveniente dello spirito, di cui non si possono fissare le fasi o prescrivere il metodo. Il metodo infatti non è altro che il maestro stesso – «il metodo è il maestro» – il quale non deve affidarsi a una specifica didattica, ma alle proprie risorse interiori:
«non è questa mia una scienza come le altre, essa non si può in alcun modo comunicare, ma come fiamma s’accende da fuoco che balza: nasce d’improvviso nell’anima dopo un lungo periodo di discussioni sull’argomento e una vita vissuta in comune, e poi si nutre di se medesima». [Platone, Lettera VII];
Si tratta di una concezione recentemente riecheggiata nell’invito di Massimo Recalcati a far vivere l’insegnamento nell’elemento erotico e, in generale – che ne siano consapevoli o meno – negli approcci critici verso le innovazioni didattiche percepite come un inutile “modernismo”.
Pubblicato a New York nel 1897 [la traduzione italiana esce nel 1913], Il mio credo pedagogico espone, nella forma di un atto di fede i principi dell’“educazione progressiva”, sperimentata dall’anno precedente nella scuola-laboratorio che Dewey aveva fondato presso l’Università di Chicago.
Nei cinque articoli di cui è composto il testo, l’autore illustra le tesi fondamentali di questo nuovo indirizzo dell’educazione moderna che saranno, da questo momento, il manifesto del movimento della scuola attiva.
Il testo è tratto da John Dewey, Il mio credo pedagogico. Antologia di scritti sull’educazione [a cura di Lamberto Borghi], Firenze, La Nuova Italia, 1952, pp. 3-31], il commento è mio.
Articolo I. Cos’è l’educazione
– ogni educazione deriva dalla partecipazione dell’individuo alla coscienza sociale della specie. Questo processo inizia inconsapevolmente quasi dalla nascita e plasma continuamente le facoltà dell’individuo [..] mediante questa educazione inconsapevole, l’individuo giunge a condividere le risorse intellettuali e morali che l’umanità è riuscita ad accumulare.
L’educazione è il processo di conquista da parte dei giovani delle capacità e delle conoscenze degli adulti dei quali ripropone le sfide: è una socializzazione e uno sviluppo di facoltà
Con l’educazione il giovane partecipa della vita della sua comunità e vi si inserisce in modo attivo
Tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento cominciano ad affermarsi le cosiddette scuole nuove, realtà educative che rispondono al bisogno di rivedere l’organizzazione, i contenuti e i metodi di una scuola che non appare più rispondente ai bisogni di un mondo in rapida trasformazione.
La loro nascita avviene, non casualmente, in Inghilterra, il paese all’avanguardia nello sviluppo economico e sociale ed attento, più che altrove, al raccordo tra scuola e società, in continuità con l’approccio di John Locke, che aveva rivoluzionato i programmi scolastici in funzione di una cultura «utile» alla formazione delle classi dirigenti.
Cecil Reddie (1858 – 1932)
1.1 Abbotsholme: liberty is the obedience to the law
La New School creata da Cecil Reddie nel 1889 adAbbotsholme (nel Derbyshire) era modellata su misura delle esigenze della borghesia: era una scuola privata, attenta all’educazione linguistica e scientifica e, in particolare, alla formazione «mondana» attraverso il lavoro manuale, la vita all’aria aperta, i viaggi e la conoscenza del mondo.
John Dewey (1859-1952) è il massimo esponente del pragmatismo americano e il pensatore che più d’ogni altro esprime le ragioni profonde, educative e sociopolitiche, dell’attivismo pedagogico del primo Novecento.
«Il futuro è legato al diffondersi dell’atteggiamento scientifico. È questa l’unica garanzia contro uno sviamento su vasta scala per opera della propaganda. Ancor più importante, è l’unico modo per assicurare la possibilità di una pubblica opinione abbastanza intelligente per affrontare i presenti problemi sociali».
2.1Unitarietà del reale e strumentalismo logico 2.2 L’esperienza e l’interazione individuo-ambiente 2.3Esperienza e pensiero 2.4 L’origine del pensiero 2.5 Educazione ed autoeducazione
1.La scuola progressiva
Nato a Burlington, nel piccolo Stato del Vermont, Dewey risente in particolare delle influenze del pragmatismo di William James, una filosofia che ha come proprio oggetto di riflessione l’esperienza e il processo di interazione tra l’individuo e l’ambiente.
Dietro di essa si può intravedere l’evoluzionismo di Darwin che, come è noto, ha posto l’interazione individuo-ambiente alla base dei processi di adattamento coi quali l’umanità si è evoluta nel tempo.
Isocrate(Ισοκράτης) fu allievo di Gorgia e contemporaneo di Platone, della cui concezione educativa fu fiero avversario.
Nell’Antidosis dichiarò, infatti, polemicamente, l’inutilità pratica della filosofia, tanto sul piano individuale che su quello politico: un attacco all’Accademia platonica a cui rispose Aristotele con il Protreptico, l’Esortazione alla filosofia.
Alla filosofia, secondo Isocrate, era dunque preferibile la retorica, la quale, benché non aspirasse a verità assolute, era capace di avvalersi delle opinioni e di farne strumenti di concreta azione politica.
Mentre Platone era giunto a criticare aspramente l’educazione greca condotta sui classici omerici, Isocrate recupera quindi il valore culturale della tradizione e torna a fondare la paideia sulla retorica.
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