Archive for ‘Pedagogia’

29 Aprile, 2018

Pietro Alotto, Povertà logica e povertà linguistica

by gabriella

Poiché insegna filosofia, un collega chiede ad Alotto un manuale per insegnare la logica ai propri studenti: è l’occasione per osservare che competenze linguistiche e competenze logiche sono la stessa competenza osservata da punti di vista diverso. Tratto da La scuola che non c’è .. e altre storie.

Il magistrato si era intanto alzato ad accogliere il suo vecchio professore. «Con quale piacere la rivedo, dopo tanti anni!».
«Tanti: e mi pesano» convenne il professore.
«Ma che ne dice? Lei non è mutato per nulla, nell’aspetto».
«Lei sì» disse il professore con la solita franchezza.
«Questo maledetto lavoro… Ma perché mi dà del lei?».
«Come allora» disse il professore.
«Ma ormai…».
«No».
«Ma si ricorda di me?».
«Certo che mi ricordo».
«Posso permettermi di farle una domanda?… Poi gliene farò altre, di altra natura… Nei componimenti di italiano lei mi assegnava sempre un tre, perché copiavo. Ma una volta mi ha dato un cinque: perché?».
«Perché aveva copiato da un autore più intelligente».
Il magistrato scoppiò a ridere. «L’italiano: ero piuttosto debole in italiano. Ma, come vede, non è poi stato un gran guaio: sono qui, procuratore della Repubblica…».
«L’italiano non è l’italiano: è il ragionare» disse il professore. «Con meno italiano, lei sarebbe forse ancora più in alto».
La battuta era feroce. Il magistrato impallidì. E passò a un duro interrogatorio.

(Leonardo Sciasca, Una storia semplice, Adelphi 1989, pagg. 43–44)


Stamattina, un mio collega d’Italiano mi ha avvicinato e, come presunto esperto di Logica, mi ha chiesto: “Potresti consigliarmi un manualetto di logica, qualcosa di semplice per i miei studenti, che non sanno ragionare e argomentare?” Io gli ho risposto che non esistono manuali di logica che possono insegnare a ragionare ai suoi studenti. Mi ha guardato interdetto, pensando che volessi insultare l’intelligenza dei suoi studenti (di Scienze umane, n.d.r.). Dopodiché, ho spiegato…

Parlare una lingua naturale e ragionare sono dotazioni di base di un essere umano. E le due competenze sono strettamente correlate.

Nella scuola per lo più gli studenti sono impegnati in performance che necessitano di competenze linguistiche di buon livello. Comprendere una spiegazione, così come comprendere un passo di un manuale, un brano letterario o filosofico ecc., presuppone una buona padronanza dell’Italiano che non possiamo dare per scontata.

Ipotizzo che la buona o cattiva padronanza dell’Italiano possa essere un ottimo indice per fare una previsione ragionevolmente accurata degli esiti scolastici. Naturalmente, la competenza linguistica da sola non basta a prefigurare esiti buoni o di eccellenza, in quanto questa deve essere unita ad altri fattori come le buone strategie di studio, la costanza, l’impegno, le attitudini personali, ecc.; tuttavia, ipotizzo che una insoddisfacente o inadeguata competenza linguistica di partenza possa essere un sufficiente indizio di difficoltà o insuccessi scolastici futuri.

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15 Aprile, 2018

Gianni Rodari

by gabriella

Gianni Rodari (1920 – 1980)

L’infanzia come possibilità e alternativa al mondo adulto, lo sberleffo popolare e la critica sociale in Gianni Rodari di cui oggi ricorre il 29 anniversario della morte.

 

Indice

1. Una scuola grande come il mondo

1.1 RadioRai3, Sognando in grande
1.2 C’era due volte Gianni Rodari

 

2. Boero, DeLuca,Gianni Rodari

2.1 La lingua di Gianni Rodari

 

1. Una scuola grande come il mondo

C’è una scuola grande come il mondo.
Ci insegnano maestri e professori,
avvocati, muratori,
televisori, giornali,
cartelli stradali,
il sole, i temporali, le stelle.
Ci sono lezioni facili
e lezioni difficili,
brutte, belle e così così…
Si impara a parlare, a giocare,
a dormire, a svegliarsi,
a voler bene e perfino
ad arrabbiarsi.

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7 Aprile, 2018

Kant, l’educazione come umanizzazione

by gabriella
Immanuel Kant (1804)

Immanuel Kant (1724 – 1804)

Le dispense utilizzate da Kant nel suo insegnamento quasi decennale di pedagogia all’Università di Könisberg, furono pubblicate un anno prima della sua morte a cura dell’allievo Friedrich Theodor Rink.

Il fatto che Kant non si sia preso cura di pubblicarle durante la sua attività, potrebbe indurci a credere che la riflessione sull’educazione abbia un ruolo marginale nella sua opera. Ma, l’intero suo pensiero filosofico, al contrario, può essere considerato l’indicazione di un percorso di autoeducazione della ragione.

 

Indice

1. L’autoeducazione della ragione nell’opera di Kant

1.1 Libertà e natura umana
1.2 L’autonomia della ragione nel sapere aude

 

 2. L’educazione come umanizzazione

2.1 La formazione della personalità: dall’anomia all’autonomia
2.2 L’anomia nel bambino e il disciplinamento
2.3 L’eteronomia nel fanciullo e l’interiorizzazione della norma
2.4 La conquista dell’autonomia

3. L’etica kantiana nella filosofia contemporanea

3.1 Dall’interiorizzazione di un modello condiviso alla scoperta della morale universale
3.2 Dalla natura, comunità o Dio alla morale razionale

1. L’autoeducazione della ragione nell’opera di Kant

La ragione si sottomette solo ed esclusivamente alla legge che essa stessa si dà.
[Pensare, significa quindi] cercare in se stessi [non nell’io, ma nella ragione, NDR.] la pietra ultima di paragone della verità.

Non bisogna insegnare pensieri, ma insegnare a pensare.

Che cosa significa orientarsi nel pensare?, 1786

 

Nel suo complesso, l’opera kantiana può essere considerata un percorso di autoeducazione della ragione. 

Nella Critica della ragion pura (1781), infatti, la ragione si rivolge a se stessa per garantirsi della possibilità di conoscere e sapere entro quali limiti [vedi il tribunale della ragione pura (4)], ma può farlo solo dopo aver rinunciato alle proprie illusioni, cioè dopo aver chiarito a se stessa il funzionamento delle proprie facoltà e la natura delle proprie eccessive pretese [vedi la Dialettica trascendentale (10)].

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30 Marzo, 2018

Michel de Montaigne, Dell’educazione dei fanciulli

by gabriella

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Michel Eyquem de Montaigne (1533 – 1592)

L’occasione di parlare di educazione viene a Montaigne dalla prima maternità dell’aristocratica Charlotte Diane de Foix, Contessa de Gurson, alla quale si rivolge idealmente nel capitolo ventisei del «primo libro degli Essais (1580).

Dopo aver indugiato sulla propria formazione che, a suo giudizio, gli ha dato i rudimenti di tutti i saperi senza aver coltivato in lui vera conoscenza, Montaigne esprime la propria opinione sulla «maggiore e più grave difficoltà della scienza umana», quella pedagogica, considerando la quale è bene scegliere per il proprio figlio «un precettore che abbia piuttosto la testa ben fatta che ben piena».

Una guida di questo tipo, capace di sacrificare i saperi che servono solo da ornamento di una scienza pedante, saprà portare l’allievo a conoscere l’umanità e se stesso, «a saper ben morire e ben vivere» scegliendo tra le arti liberali, quella «che ci fa liberi».

Ad una filosofia grottesca e sfigurata, Montaigne risponde che «il vero specchio dei nostri ragionamenti è il corso della nostra vita», e che «non c’è che da assecondare il desiderio e l’amore, altrimenti non si fanno che asini carichi di libri». La scienza, infatti, non va portata con sé, «bisogna sposarla».

Ho riletto il testo basandomi sull’edizione Bompiani del 2012 [pp. 261-323] rivista in qualche passaggio a partire dall’originale francese [pp. 79-97].

Comunque sia, voglio dire, e quali che siano queste sciocchezze, non ho deciso di tenerle nascoste, non più di un ritratto di me calvo e incanutito dove il pittore avesse messo non un volto perfetto, ma il mio. Perché, allo stesso modo, ci sono qui i miei umori e le mie opinioni. Le do come cose che credo io, non come cose che si debbano credere. Qui miro soltanto a scoprire me stesso, e sarò forse diverso domani, se una nuova esperienza mi avrà mutato.

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26 Marzo, 2018

La tassonomia di Bloom alla prova delle tecnologie digitali

by gabriella

La tassonomia di Bloom è uno strumento di formalizzazione delle fasi di acquisizione di abilità e competenze nel processo educativo. Prende il nome da Benjamin Bloom, presidente del comitato di educatori che sviluppò la tassonomia e pubblicò il primo volume di Tassonomia degli obiettivi educativi: La classificazione degli scopi dell’educazione (1956).

I settori della tassonomia di Bloom fanno riferimento ai vari obiettivi che gli educatori dovrebbero definire per i loro studenti. Lo strumento divide gli obiettivi in tre domini: cognitivo, affettivo e psicomotore (a volte semplificati rispettivamente in ‘conoscere/testa’, ‘sentire/cuore’ e ‘fare/mani’). All’interno dei domini il passaggio al livello successivo è pregiudicato dall’acquisizione delle conoscenze a abilità che precedono. Uno degli obiettivi della tassonomia di Bloom è quello di motivare gli educatori a concentrarsi su tutti e tre i dominî, creando un approccio educativo più olistico.
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Tassonomia di Bloom aggiornatataxonomy-verbs infographic

8 Marzo, 2018

La donna nell’Atene classica

by gabriella

donna-al-lavabo-tondo-da-un-kylix-attico-a-figure-rosse-attribuito-al-pittore-eufronio-vi-secolo-a-c-new-york-metropolitan-museumDa Studia humanitatis, traggo due brani raccolti da Jean-Pierre Vernant sulla condizione femminile nella Grecia antica: la custodia e la negazione della cittadinanza e il matrimonio.

 

La custodia e la negazione della cittadinanza

Il sesso era un decisivo fattore per determinare chi potesse diventare cittadino adulto in senso pieno. Ad Atene, una donna era integrata nella città non in quanto cittadina, bensì in quanto figlia o moglie di un cittadino. Il diventare adulte per la maggior parte delle ragazze di condizione libera era segnato dalla tappa decisiva del matrimonio.
Alla paideía maschile corrispondeva, nel caso delle femmine, alla “custodia”. Il termine parthénos alludeva in primo luogo allo status antecedente al matrimonio, più che all’integrità fisica vera e propria.

Una legge attribuita a Solone stabiliva che, se il padre avesse scoperto che la figlia intratteneva rapporti sessuali prima del matrimonio, essa cessava di appartenere alla famiglia e poteva essere venduta. Per essa si chiudevano le prospettive del matrimonio; di qui l’importanza della “custodia”, come garanzia di preservazione delle condizioni d’accesso alle nozze. Fin dalla nascita le giovani trascorrevano gran parte della loro vita in casa, affidate alle cure della madre o delle schiave: qui, apprendevano ben presto i lavori domestici della filatura e della preparazione del cibo. Solo le feste religiose delle città erano un’occasione di uscita.

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20 Dicembre, 2017

Lettura e dispersione scolastica

by gabriella

dropoutUna ricognizione del problema del Dropout o dispersione scolastica e i risultati dell’indagine condotta nel nostro Liceo nell’a.s. 2015/2016 in collaborazione con la cattedra di Pedagogia sperimentale del Dipartimento di Filosofia e Scienze umane dell’UniPg.

Il progetto Schola del Dipartimento di Filosofia a cui la scuola ha partecipato nell’a.s. 2016/17.

La videolezione TED (con testo italiano) di Ken Robinson: How to escape education’s death valley.

In coda i materiali del convegno su Lettura e dispersione scolastica tenutosi il 20 dicembre 2017 presso il Dipartimento di Filosofia e Scienze umane (FISSUF) dell’Università di Perugia.

I cosiddetti dropout sono studenti rinunciatari che, per diverse ragioni, si sono ritirati dagli Istituti scolastici. Il termine drop-out, infatti, significa “caduti fuori”, e si riferisce appunto a quei ragazzi che “abbandonano”. Per “abbandono scolastico” si intende l’abbandono dell’istruzione e della formazione prima del completamento dell’istruzione secondaria superiore o dei suoi equivalenti nella formazione professionale.

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1 Dicembre, 2017

Marco Romito, Recensione a Christian Raimo “Tutti i banchi sono uguali”

by gabriella

L’autore di Una scuola di classe recensisce il saggio di Christian Raimo sul ruolo della diseguaglianza nel nostro sistema scolastico. Tratto da Doppiozero.

Criticando i programmi di ‘educazione compensatoria’ apparsi nel secondo dopoguerra con l’obiettivo di sostenere gli studenti ‘culturalmente deprivati’ attraverso interventi di ‘arricchimento culturale’, il sociologo dell’educazione britannico Basil Bernstein titolava un suo articolo apparso sulla rivista New Society in questo modo:

Education cannot compensate for society.

Basil Bernstein (1924-2000)

La sua posizione può essere sintetizzata all’estremo in due punti. Uno. I promotori di questi programmi sorvolano sul fatto che gli studenti considerati ‘deficitari’ frequentano spesso scuole incapaci di garantire loro un ambiente d’apprendimento paragonabile a quello di cui possono godere gli studenti provenienti dai ceti più abbienti.

Due. Questi programmi assumono che l’uso della lingua e della cultura dei ceti dominanti sia l’unico criterio valido per valutare gli studenti. Bernstein, e con lui Michael Young – a cui si deve l’invenzione del termine ‘meritocrazia’ con cui titolava un suo saggio satirico-distopico, nel 1958 –, così come Pierre Bourdieu in Francia, sollecitavano dunque a ragionare sulle disuguaglianze di istruzione attraverso una riflessione sui modi attraverso cui le strutture sociali definiscono gerarchie di tipo linguistico-culturale e su come il sistema scolastico si presti, in modi più o meno consapevoli, a renderle legittime.

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25 Settembre, 2017

Margaret Mead, La prima educazione e la formazione del carattere presso gli Arapesh

by gabriella

Tratto da Margaret Mead, Sesso e temperamento, 1935.

Come viene modellato il bambino arapesh in quella persona accomodante, gentile, ricettiva che è l’Arapesh adulto? Quali sono i fattori determi­nanti della prima educazione infantile, cui si deve se il ragazzo crescerà tranquillo e soddisfatto, non aggressivo e non incline a prendere l’iniziativa, incapace di sentire lo stimolo della concorrenza e invece pronto a capire e a corrispondere, ricco di calore umano, docile e fiducioso? È vero che io in qualsiasi società semplice e omogenea i bam­bini riveleranno da adulti gli stessi tratti generali di carattere di cui i genitori avranno dato loro il modello. Però non si tratta di imitazione. C’è un rapporto più sottile e preciso fra il modo in cui il bambino viene nutrito, messo a dormire, discipli­nato, educato all’autocontrollo, vezzeggiato, puni­to e incoraggiato, e la formazione del suo caratte­re di adulto.

In qualsiasi società, presso qualsiasi popolo, il modo come uomini e donne trattano i loro bambini è una delle cose più significative nella formazione della personalità dell’adulto, ed è anche uno dei punti sui quali si manifestano più acutamente i contrasti tra i sessi. Possiamo com­prendere gli Arapesh, e il temperamento caldo e materno tanto degli uomini quanto delle donne, soltanto se ci rendiamo conto della loro esperien­za infantile e di quella che a loro volta fanno vivere ai figli.

Nei primi mesi il bambino non è mai lontano dalle braccia di qualcuno. Andando in giro, la ma­dre lo porta o sul dorso, in un sacco di rete specia­le sostenuto dalla fronte, o sospeso sotto uno dei due seni in una specie di bilancia di scorza d’albe­ro intrecciata. Il secondo è il costume delle popolazioni della costa, il primo delle popolazioni delle pianure; le donne della montagna usano l’uno o l’altro, generalmente a seconda delle condizioni di salute del bambino. […] Allattato ogni volta che piange, tenuto sempre vicino a qualche donna che possa, all’occorrenza, dargli il suo seno, messo a dormire di solito a contatto con il corpo materno, portato col sacco di rete sul dorso o tenuto ran­nicchiato fra le braccia oppure in grembo, se la madre siede a cucinare o a fare lavori di intreccio, il bambino gode costantemente di una sensazione di calore e di sicurezza. […]

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8 Giugno, 2017

Noi non vogliamo essere i migliori, noi vogliamo che il meglio della vita ci appartenga

by gabriella

plutotlavie2Che le scuole siano i frutteti di un gaio sapere, come gli orti che i disoccupati e i più deboli non hanno ancora avuto l’immaginazione di piantare nelle grandi città sfondando il bitume e il cemento

Raoul Vaneigem

La scuola ricorda i penitenziari – osserva Vaneigem – la sua bruttezza e il suo degrado incitano al vandalismo. Bisogna allora distruggerla? Domanda doppiamente assurda. Prima di tutto perché è già distrutta. Sempre meno interessati da ciò che insegnano e studiano – e soprattutto dalla maniera di istruire e istruirsi – professori e allievi non sono forse indaffarati a far colare a picco insieme il vecchio piroscafo pedagogico che fa acqua da tutte le parti?

La noia genera la violenza, la bruttezza degli edifici incita al vandalismo, le costruzioni moderne, cementate dal disprezzo degli impresari immobiliari, si screpolano, crollano, prendono fuoco, secondo l’usura programmata dei loro materiali di paccottiglia. Alle stupide pretese del maestro di regnare tirannicamente sulla classe rispondono con eguale stupidità il baccano e il chiasso che servono da sfogo alle energie represse.

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