Le parole e le cose pubblica questo bel saggio di Pierluigi Pellini sull’evoluzione della narrazione letteraria del denaro e dell’homo oeconomicus tra ottocento e novecento.
Il denaro è tema letterario di lunga durata, fin dall’antichità. Ma solo con il novel e il teatro del Settecento – da Defoe a Goldoni – le vicende economiche si fanno al tempo stesso motore dell’azione (oggetto del desiderio, motivo di conflitti e rivalità) e principio assiologico: in un contesto mercantile che non riconosce altro valore né altra autorità.
Perché i soldi diventino però l’esclusiva ragione di vita non di un tipo presentato come abnorme – come l’avaro, da Plauto a Molière – ma della quasi totalità dei personaggi romanzeschi; perché tutti i valori della tradizione (virtù, onore, amore) cedano il passo alla logica del profitto; perché insomma l’homo fictus della narrativa si tramuti in homo oeconomicus, si dovrà attendere La Comédie humaine.
Honoré de Balzac (1899 – 1950)
Nel romanzo dell’Ottocento, non si contano avari, accumulatori, speculatori.
In Balzac, il vecchio Grandet guadagna con il commercio una ricchezza enorme, che lesina ai familiari con patologica grettezza (Eugénie Grandet); l’onesto profumiere César Birotteau fa il passo più lungo della gamba, lanciandosi in disastrose speculazioni, e finisce rovinato: fra debiti, cambiali e loschi profittatori (Histoire de la grandeur et de la décadence de César Birotteau); per l’usuraio protagonista di Gobseck, oro e denaro sono strumenti di potere demiurgico e oggetti del desiderio esclusivi, su cui riversare, in un parossismo al tempo stesso esemplare e patologico, ogni energia libidica.
denaro
Il denaro, per impiegare la terminologia degli alienisti coevi (Esquirol), è la monomania di tutti i personaggi balzachiani. Perfino il patetico protagonista del Père Goriot, vittima dell’interesse e dell’egoismo imperante, non esita a dichiarare che «l’argent, c’est la vie» (i soldi sono la vita); e a ammettere che il soldo, quasi personificato, «fa tutto» («monnaie fait tout»).
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