Archive for ‘Storia’

9 Dicembre, 2012

Sergio Zavoli, Nascita di una dittatura

by gabriella

Nascita di una dittatura, un documentario di Sergio Zavoli trasmesso dalla RAI nel 1972 e nel 2010 (Rai Storia).

 

Indice

1. L’interventismo
2. La marcia su Roma
3. La dittatura

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2 Novembre, 2012

Pier Paolo Pasolini, Che cos’è questo golpe? Io so

by gabriella
Pasolini

Pier Paolo Pasolini (1922 – 1975)

Corriere della Sera, 14 novembre 1974

 

Io so.
Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato “golpe” (e che in realtà è una serie di “golpe” istituitasi a sistema di protezione del potere).
Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969.
Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974.

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30 Settembre, 2012

La propaganda elettorale del 1948

by gabriella

Riprendo da storiadigitale.it i manifesti della Democrazia Cristiana per la campagna elettorale del 1948.

Si tratta di manifesti prodotti dalla Spes e promossi dai cosiddetti comitati civici, creati solamente nel febbraio del 1948, a pochi mesi dalle elezioni, ma che riuscirono a produrre ugualmente un volume di propaganda notevole.

Il fondatore dei comitati civici fu Luigi Gedda, personaggio legato agli ambienti della Chiesa e che dalla Chiesa, direttamente dalla persona del Papa Pio XII aveva ottenuto di fondare i comitati civici allo scopo di far fronte alla organizzazione capillare del Partito Comunista Italiano. E’ fondamentale ricordare che la struttura messa in opera da Gedda, servì a dare voce alle altre associazioni cattoliche che non potevano fare politica dovendo attenersi alle norme concordatarie del 1929 che proibivano alla Chiesa di fare propaganda. Oltre ai cinquanta manifesti citati vi fu una grande produzione di volantinaggio e la stampa di un periodico in 250.000 copie denominato il “Collegamento” e che ebbe grande diffusione nel Paese.

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26 Settembre, 2012

Angelo d’Orsi, Rovescismo, fase suprema del revisionismo. Michele Serra sul Mussolini equestre nel liceo marchigiano

by gabriella

Il libro di Giampaolo Pansa La grande bugia, sulle zone d’ombra della Resistenza, di cui La Stampa ha parlato il 3 ottobre (2006, ndr), scatena polemiche. Lunedì sera, a Reggio Emilia, è stato duramente contestato: esponenti dei centri sociali hanno occupato la sala cantando Bella ciao. Hanno fatto seguito una rissa, lo sgombero della sala da parte della polizia e perfino l’evocazione di un famoso collega di Pansa: i dimostranti hanno gridato «Viva i fratelli Cervi! Viva Giorgio Bocca!». Ieri sera, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha espresso al giornalista «la sua profonda deplorazione per gli atti di violenza di cui è stato oggetto». Sull’opera di Pansa interviene criticamente lo storico Angelo d’Orsi.

Angelo d’Orsi, Rovescismo, fase suprema del revisionismo

Chi sospetta che le ambizioni del giornalista Pansa siano di tipo politico, può ritenersi accontentato, sia pure col beneficio del dubbio: il «caso» è diventato un problema di ordine pubblico, dopo gli insulti e le baruffe a Reggio Emilia tra giovani di sinistra che contestavano Pansa e giovani di destra che ne prendevano le parti e intervento finale della polizia.

Sarebbe tuttavia un errore isolare Pansa: ormai si deve parlare di tutta una categoria di «rovistatori» della Resistenza, che grattano il fondo del barile per vedere dove si annidi (eventualmente) il marcio, e anche se non c’è, lo si inventa, lo si amplifica, e lo si sbatte in prima pagina. Che questa operazione sia fatta senza alcun criterio storico, senza le cautele minime di qualsivoglia studioso, poco importa. Se gli autori di libri di tal fatta, vendono, troveranno editori disposti a scommettere su di loro, media pronti a parlarne (e come si fa a non parlarne?), e un pubblico via via più incuriosito.

Una categoria inesauribile

Ma anche i rovistatori della Resistenza rientrano in una categoria più ampia, che sembra inesauribile e dalla quale ci dobbiamo aspettare altre puntate, sempre più clamorose. Noi sappiamo bene che esiste una differenza essenziale tra la revisione, momento irrinunciabile del lavoro del ricercatore storico, e il revisionismo, che possiamo definire come l’ideologia e la pratica della revisione programmatica.

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19 Agosto, 2012

Nicola Gallerano, L’uso pubblico della storia. Bodei, Fine delle filosofie della storia?

by gabriella

Staccandosi dalla connotazione negativa che Jurgen Habermas aveva attribuito alla locuzione ‘uso pubblico della storia’, lo storico italiano Nicola Gallerano mostra come da sempre nell’operazione storiografica «la dimensione cognitiva si affianchi e si mescoli con quella affettiva, intrisa di valori, predilezioni, scelte non o pre-scientifiche». Nello specifico le rotture da cui è nata la contemporaneità hanno da una parte fatto perdere la fiducia ingenua di cui erano portatori gli storicismi classici e dall’altra hanno fatto emergere un bisogno di identità e di radicamento i cui effetti sono rintracciabili in una «ipertrofia dei riferimenti storici nel discorso pubblico».

Dall’Introduzione di Nicola Gallerano a L’uso pubblico della storia, F.Angeli, Milano, 1995, p. 7-8.

«Uso pubblico della storia» è una definizione che risale a Jurgen Habermas ed è stata da lui applicata alla «disputa tra gli storici» tedeschi [in G. E. Rusconi (a cura di), Germania: un passato che non passa. I crimini nazisti e l’identità tedesca, Torino, Einaudi, 1987, pp. 102-103]. Per uso pubblico della storia Haberman intende un dibattito che è in ultima istanza etico e politico sul passato. Un dibattito che si svolge «in prima» e non già «in terza» persona, a sottolineare cioè che non si tratta di una disputa scientifica – che richiede appunto la “terza” persona – ma di un contesto che coinvolge direttamente memoria, identità individuali e collettive, giudizi politici sul presente e sul futuro.

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3 Luglio, 2012

Catastroika

by gabriella

Un documentario greco torna a riflettere sui grandi esperimenti di privatizzazione degli anni ’90, dalla Russia di Yeltsin alla Germania Est dopo la riunificazione, per commentare quanto sta accadendo in Grecia e probabilmente presto in Italia.

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Era l’inizio del 1989 quando l’accademico francese Jaques Rupnik si sedette alla scrivania, per preparare un report sullo stato delle riforme economiche nell’Unione Sovietica di Mikhail Gorbaciov. Il termine che usò per descrivere il rantolo dell’impero fu Catastroika. Ai tempi di Yeltsin, quando la Russia istituì forse il maggiore e fallimentare esperimento di privatizzazione della storia dell’umanità, il Guardian diede al termine inventato da Rupnik un significato diverso. Catastroika divenno sinonimo della completa distruzione del Paese per mano delle forze che governano il mercato, della svendita dei beni pubblici e del rapido deterioramento degli standard di vita dei cittadini. Ora, l’unità per misurare la “catastroika” era diventata la disoccupazione, l’impoverimento sociale, il declino delle aspettative di vita, così come la nascita di una nuova casta di oligarchi che prende le redini di una nazione. Qualche anno dopo, la produzione di uno sforzo analogo nella privatizzazione massiccia delle proprietà pubbliche nella Germania riunificata (presentato ora come modello per la Grecia) creò milioni di disoccupati e alcuni dei più grossi scandali nella storia dell’Europa. E’ questa “Catastroika” che si sta abbattendo sulla Grecia, e forse presto sull’Italia.

23 Giugno, 2012

Paul Veyne, Comment écrit-on l’histoire?

by gabriella

Scarteremo le verità universali (l’uomo è sessuato,
il cielo è blu), perché l’evento è differenza
E’ storico ciò che non è universale e ciò che non è individuale.
Perché non sia universale bisogna che ci sia differenza, bisogna che sia specifico, che sia compreso, che rinvii ad un intreccio.

Paul Veyne, Comment on écrit l’histoire?

Si tout ce qui est arrivé est également digne de l’histoire, celle-ci ne devient-elle pas un chaos? Comment un fait y serait-il plus important qu’un autre? Comment tout ne se réduit-il pas à une grisaille d’événements singuliers?
La vie d’un paysan nivernais vaudrait celle de Louis XIV; ce bruit de klaxons qui monte en ce moment de l’avenue vaudrait une guerre mondiale… Peut-on échapper à l’interrogation historiste ? Il faut qu’il y ait un choix en histoire, pour échapper à l’éparpillement en singularités et à une indifférence où tout se
vaut.

La réponse est double. D’abord l’histoire ne s’intéresse pas à la singularité des événements individuels, mais à leur spécificité (…) ; ensuite les faits, comme on va voir, n’existent pas comme autant de grains de sable. L’histoire n’est pas un déterminisme atomique: elle se déroule dans notre monde, où effectivement une guerre mondiale a plus d’importance qu’un concert de klaxons; à moins que – tout est possible – ce concert ne déclenche lui-même une guerre mondiale; car les « faits » n’existent pas à l’état isolé: l’historien les trouve tout organisés en ensembles où ils jouent le rôle de causes, fins, occasions, hasards, prétextes, etc. Notre propre existence, après tout, ne nous apparaît pas comme une grisaille d’incidents atomiques; elle a d’emblée un sens, nous la comprenons ; pourquoi la situation de l’historien serait-elle plus kafkéenne ? L’histoire est faite de la même substance que la vie de chacun de nous.

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18 Aprile, 2012

Joseph Halevi, La violenza fondatrice. Israele/Palestina. Le radici del conflitto

by gabriella

Fino a due decenni fa non esisteva ancora in Israele una sistematica storiografia sulle origini dello Stato. I libri e i saggi di storia erano scritti in termini partitici e spesso da persone che erano presenti negli organismi più legati alla formazione di Israele. Durante tutto il regno del Mapai (il partito socialdemocratico sionista, che governo’ ininterrottamente dal 1948 al 1977, trasformatosi poi in partito del lavoro, Avodà e infine in ‘Un solo Israele’) tutto cio’ che toccava sia le radici storiche dello Stato sia le analisi correnti dei rapporti con gli ‘arabi’ (i palestinesi venivano considerati inesistenti) era gestito in maniera rigorosamente di modello stalinista. La struttura politica del Mapai – con il suo Comitato centrale, con le sue organizzazioni kibutzistiche, con il suo ferreo controllo sul sindacato-impresa Histadrut , con i suoi istituti di ricerche sociali e casi editrici – prevedeva una stretta direzione politica dell’interpretazione storica.

Gli altri due partiti sionisti fiancheggiatori a sinistra del Mapai, il quasi comunista Mapam e il gruppo estremista Achdut ha Avodà – quest’ultimo fondatore delle clandestine brigate terroristiche Palmach, autrici nel 1947-1948 di molte uccisioni ed espulsioni di palestinesi, da cui provennero Yitzhak Rabin e Ygal Allon – essendo più piccoli e più dichiaratamente marxisti, riproducevano in maniera accentuata la concezione ideologica della storia del paese 1. La pubblicazione – avvenuta prima in ebraico – del lavoro di Yehoshua Porath, The Emergence of the Palestinian-Arab National Movement. 1918-1929 (Cass, London 1974), rappresentò un novità dirompente poiché vi era documentata la nascita di un movimento di lotta in un periodo – gli anni venti – che i sionisti trattavano come assolutamente privo di presenza politica palestinese. Tuttavia la vera svolta ebbe luogo dopo l’avvento al potere della destra di Menachem Begin nel 1977. La destra israeliana non ha mai sviluppato la rete di istituzioni, di case editrici, di giornali, propria del movimento social-sionista, il quale – avendo una gestione del potere del tutto identica a quella della Democrazia cristiana in Italia – sosteneva le sue reti grazie al controllo esercitato sullo Stato. Di conseguenza, l’allontamento dal potere dopo il 1977 comportò una secca perdita dei meccanismi di sottogoverno, che erose rapidamente il controllo intellettuale esercitato dal socialismo sionista sulla vita del paese. I giornali diventarono molto più aperti e oggi i tre organi di stampa del sionismo socialista sono scomparsi 2.

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14 Aprile, 2012

21 luglio 2001. Diaz. Don’t clean up this blood

by gabriella

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14 Aprile, 2012

Primo Levi, Io sono un centauro

by gabriella

A venticinque anni dalla scomparsa di Primo Levi, morto a Torino l’11 aprile 1987, Memoradio ha ricordato il grande scrittore torinese riproponendo alcuni documenti dai quali scelgo l’intervista rilasciata ad Alberto Gozzi il 13 gennaio 1985 (per riascoltare la sua voce), le tre puntate di Se questi sono uomini e un breve estratto de La Tregua.

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Mai dimenticherò (Se questi sono uomini 1, di Gianfranco Rossi)

Il ritorno ad Auschwitz di Primo Levi (Se questi sono uomini 2, di Gianfranco Rossi)

Cerca le ceneri, mamma (Se questi sono uomini 3, di Gianfranco Rossi)

Valentina Carnelutti legge La Tregua

Prima puntata

Seconda puntata

Terza puntata

Quarta puntata

Quinta puntata

Sesta puntata

Settima puntata

Ottava puntata

Nona puntata

Decima puntata

Wikiradio, Massimo Raffaeli racconta Primo Levi.


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