In lotta per la libertà
Karl Marx, La Guerra civile in Francia, III
All’alba del 18 marzo, Parigi fu svegliata da un colpo di tuono:
“Vive la Commune!”.
Che cos’è la Comune, questa sfinge che tanto tormenta lo spirito dei borghesi?
“I proletari di Parigi,” diceva il Comitato centrale nel suo manifesto del 18 marzo, “in mezzo alle disfatte e ai tradimenti delle classi dominanti hanno compreso che è suonata l’ora in cui essi debbono salvare la situazione prendendo nelle loro mani la direzione dei pubblici affari […]. Essi hanno compreso che è loro imperioso dovere e loro diritto assoluto di rendersi padroni dei loro destini, impossessandosi del potere governativo”.
Ma la classe operaia non può mettere semplicemente la mano sulla macchina dello stato bella e pronta, e metterla in movimento per i propri fini. Il potere statale centralizzato, con i suoi organi dappertutto presenti: esercito permanente, polizia, burocrazia, clero e magistratura – organi prodotti secondo il piano di divisione del lavoro sistematica e gerarchica – trae la sua origine dai giorni della monarchia assoluta, quando servì alla nascente società delle classi medie come arma potente nella sua lotta contro il feudalesimo. Il suo sviluppo però fu intralciato da ogni sorta di macerie medioevali, diritti signorili, privilegi locali, monopoli municipali e corporativi e costituzioni provinciali.
Auschwitz
Traggo dal blog di Mauro Poggi questa riflessione davvero bella sulla responsabilità.
Tutto ciò che è necessario per il trionfo del male è che i giusti non facciano niente.
Edmund Burke
Nell’atrio del primo blocco del lager una placca ammonisce, in polacco e in inglese, che chi non ricorda la Storia è condannato a riviverla: “Kto nie pamięta Historii skazany jest na jej ponowne przezycie”; “The one who does not remember History is bound to live through it again”.
L’autore, George Santayana, forse era stato ispirato dalla dichiarazione del comandante del campo Rudolf Hoess, poco prima di venire impiccato sulla forca allestita davanti all’ingresso del forno crematorio:
“Nella solitudine del carcere sono arrivato alla dolorosa consapevolezza dei crimini commessi contro l’umanità. Come comandante del campo di sterminio di Auschwitz realizzai una parte dei piani di sterminio concepiti dal Terzo Reich. Come responsabile, pago con la mia propria vita… La scoperta e l’accertamento di questi mostruosi crimini contro l’umanità servono ad evitare nel futuro le premesse che conducono a fatti così terribili.”
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La guerra asimmetrica e l’attentato di Parigi
Tratto da Senzasoste.it.
“Ci accingiamo a condurre una guerra che sarà spietata”. Dal discorso in diretta tv alla nazione del presidente francese Hollande, tarda serata di ieri.
Parigi, se guardiamo agli ultimi trent’anni, è già stata colpita da diverse tipologie di attacchi. Nel 1986, ad esempio c’è una serie di attentati (bombe che colpiscono negozi di lusso e magazzini popolari) legati alla richiesta di liberazione di un militante di una importante fazione libanese. Poi ci sono gli attentati della metà degli anni ’90, legati alla vicenda dell’appoggio francese al colpo di stato algerino, che provocano diversi morti. Esplosioni di bombe rudimentali non certo con attacchi coordinati come quelli di venerdì 13.
Anche allora, come per Charlie Hebdo, la retorica della restrizione della sorveglianza, dello stanare i terroristi, della mano ferma che deve colpire anche all’estero se necessario ovviamente si è sprecata. Il punto è che, da almeno trent’anni, tutte le grandi criticità del medio oriente, in un modo o in un altro, hanno finito per manifestarsi sul suolo parigino. Da quelle rappresentate dagli sciiti del 1986 ai filo-sunniti della strage Charlie Hebdo. C’è solo da stupirsi del fatto, con la Francia in testa al bombardamento della Libia del 2011, non sia accaduto a Parigi qualcosa di direttamente proveniente dal paese nordafricano. Sugli attentati di venerdì 13, rispetto al passato anche recente, possiamo notare un salto di qualità. Stavolta la Francia rischia non tanto di importare attentati ma proprio una guerra in casa. E di esportarla in Europa.
Isis e Islam moderato
Intervista a Laura Guazzone, docente di Storia contemporanea dei paesi arabi presso l’Istituto italiano di Studi Orientali all’università Sapienza di Roma. «Estremisti in ascesa, dopo che si è negata l’opzione dell’Islam moderato». Tratto da Il Manifesto.
Professoressa, partiamo dall’inizio: quando ci si riferisce all’Islam moderato, cosa si intende e come si pone di fronte a questi eventi?
Sull’espressione Islam moderato ci sono molti fraintendimenti, come capita di sovente in dibattiti complessi. A volte questi fraintendimenti sono ingenui, a volte sono manipolatori; bisogna partire dal chiarire un punto, ovvero: quando parliamo di Islam moderato andrebbe chiarito se si sta parlando in senso religioso o se parliamo di Islam moderato in senso politico. Le due espressioni possono coincidere ma non necessariamente. Se ragioniamo sulle forme di dialogo o di contenimento rispetto alle varie forme di Islam questi elementi vanno chiariti.
8 settembre 1943
Il servizio di Radiorai3 [prima parte; seconda parte; terza parte; quarta parte] dedicato al settantesimo anniversario dell’armistizio, due anni fa.
Alle 19:42 dell’8 settembre 1943, il capo del governo Maresciallo Badoglio dette agli italiani l’annuncio dell’armistizio dagli studi dell’Eiar di Via Asiago. L’8 settembre del 1943 rappresenta una data cruciale per la memoria e per l’identità collettiva dell’Italia repubblicana postbellica. Non esagerava Winston Churchill quando scriveva che dopo l’8 settembre iniziava per il nostro Paese il periodo più tragico della sua storia, quello di una guerra civile, di un paese diviso in due, lacerato da una feroce occupazione nazista e dai continui bombardamenti angloamericani, dove la Resistenza iniziava, si allargava e si radicava e la violenza delle truppe di occupazione, spalleggiate dai soldati e dai militi della Repubblica sociale italiana, si faceva sempre più terribile.
E’ un periodo segnato dalla vergogna per la fuga indecorosa del re e del Governo e per la mancata difesa di Roma, per l’abbandono nel caos e nella mancanza di ordini dell’esercito, per la repressione o il non aiuto alle iniziative popolari di resistenza contro i tedeschi. Ma è anche un periodo in cui la speranza e la gioia, esplose il 25 luglio, trovano una loro radice nella lotta di resistenza che in un anno e mezzo contribuirà alla libertà del paese e al suo riscatto morale e politico. Ne è memoria e anticipazione il discorso di Duccio Galimberti del 26 luglio 1943.
Mentre il re fugge, i romani restano a difendere la città: è la battaglia di Porta S. Paolo.
Montesquieu e i cagots
Traggo da Verso un mondo nuovo questo articolo su Montesquieu e i cagots.
E’ poco noto che Charles-Louis de Secondat barone di Montesquieu cominciò la sua brillante carriera, in qualità di consigliere e poi presidente del parlamento di Bordeaux, agli inizi del diciottesimo secolo, difendendo la dignità di una casta di reietti, i cagots. Fu in quell’occasione che formulò le sue teorie egualitarie, seguendo questo ragionamento (pseudo-sillogismo):
le tirannie si fondano sulla paura > i cagots sono temuti > l’uguaglianza e la democrazia dovranno servire ad abolire la paura.
I cagots (variamente denominati Cagots, Gézitain, Chrestians, Gahets, Capots, Agots) della regione pirenaica Francese e Spagnola rappresentano il primo e uno dei più formidabili ed atroci esempi di biologizzazione di una categoria umana (cioè di naturalizzazione di una differenza culturale). Questi sfortunati esseri umani furono trasformati in una sub-specie, una casta di intoccabili segregati ed ostracizzati dal resto della popolazione.
Questo episodio della storia del razzismo è importante perché mostra che il razzismo era presente anche nei paesi mediterranei di tradizione greco-romana ed è possibile che in qualche modo questo fenomeno fosse collegato al tentativo di biologizzare le differenze culturali di Mori ed Ebrei nella Spagna dell’Inquisizione. Sappiamo infatti che l’Inquisizione impiegò medici spagnoli per determinare il grado di purezza razziale degli imputati (Alcalà, 1984) e lo stesso avvenne nella Germania nazista, quando ai medici genetisti (Erbarzt) venne richiesto di stabilire la proporzione di “ebraicità” dei certi cittadini tedeschi.
Patrice Lumumba
Chi dimenticherà che ci davano del tu perché non eravamo degni delle forme di rispetto dei bianchi?
Patrice Lumumba, Discorso del Primo Ministro
Fra i martiri della liberazione del continente nero dal dominio europeo, c’è Patrice Lumumba, dirigente politico e poeta. Sotto, il suo intervento fuori protocollo, pronunciato davanti a re Baldovino e alle autorità belghe in qualità di primo ministro, il 30 giugno 1960, giorno dell’indipendenza del Congo. Commuove ascoltare la voce di quest’uomo, che aveva frequentato la sola scuola elementare, rovesciare pacatamente la verità ufficiale dei colonizzatori. Cliccare sull’icona CC per avviare i sottotitoli in italiano.
Samuele Tieghi, La decolonizzazione
Nell’Africa Nera il processo di decolonizzazione giunse in ritardo. Infatti se India e Algeria, si resero indipendenti nel volgere di breve tempo dopo la fine della Seconda guerra mondiale, i numerosi Paesi dell’Africa Centrale e Meridionale giunsero all’indipendenza molto più tardi.
La storia di Kim Puch e del fotografo che la ritrasse
La storia della bambina simbolo dell’orrore della guerra in Vietnam e di Nick Ut, il fotografo vietnamita che la ritrasse, in fuga dal napalm, l’8 giugno 1972. Bruno Maida le racconta a Wikimedia.
Altri articoli sul Vietnam:
Serge Reggiani, Le Déserteur
16 marzo 1968, Massacro di My Lai
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