Lezione su Darwin, la genesi dell’evoluzionismo e dei suoi principi, ispirata a tre lezioni sul tema di Piergiorgio Odifreddi.
Indice
1. Il Beagle e gli anni della ricerca
1.1 I precedenti antichi dell’evoluzionismo
2. L’origine delle specie (1859)
2.1 La fecondazione delle orchidee da parte degli insetti
3. L’origine dell’uomo (1871)
4. L’idea di Dio e le polemiche con il clero
1. Il Beagle e gli anni della ricerca
Il 27 dicembre 1831, il brigantino Beagle salpa con Darwin [1809-1882] a bordo per completare il rilevamento della Patagonia e della Terra del fuoco cominciato dal capitano King tra il 1826 e il 1830.
L’arrivo alle Galapagos è uno dei momenti fondamentali di questo viaggio. Darwin studia le tartarughe, le iguane e soprattutto i fringuelli, stupendosi della enorme varietà di organismi che popolano l’arcipelago.
È qui che formula la tesi che l’isolamento geografico può dare origine alla varietà e alle variazioni delle specie:
L’unica luce che posso gettare su questa notevole differenza tra gli organismi delle varie isole, in particolare i fringuelli, è che correnti marine fortissime che corrono in direzione occidentale ovest, nord-ovest separino, per quanto riguarda il trasporto attraverso il mare le isole meridionali da quelle settentrionali.
Siccome l‘arcipelago è esente in modo notevolissimo da tempeste di vento, né gli uccelli, né gli insetti, né i semi leggeri possono essere trasportati da isola a isola e infine la grande profondità dell’oceano tra le isole e la loro origine apparentemente recente, in senso geologico, rendono altamente improbabile che siano mai state unite e allora, ripassando in rivista i fatti qui elencati, si resta stupefatti della forza creatrice dispiegata su queste piccole isole nude e rocciose e ancor più dalla sua azione dissimile, ma analoga negli effetti, su punti tanto vicini l’uno all’altro.
È il germe della teoria dell’evoluzione che Darwin svilupperà in seguito.
1.1 I precedenti antichi dell’evoluzionismo
Non si trattava però di una teoria nuova, i greci l’avevano già formulata [come nel caso dell’eliocentrismo, non avanzato per primo da Copernico ma da Aristarco], come emerge da questo passo della Fisica di Aristotele:
Che cosa impedisce che i rapporti tra le differenti parti del corpo siano puramente accidentali? Gli incisivi, per esempio, sono taglienti e servono a spezzare il cibo, mentre i molari sono piatti e servono a masticarlo.
Essi però non sono stati fatti con questo scopo e la loro forma è il risultato di un caso. Lo stesso vale per tutte le parti del corpo che sembrano essere naturalmente destinate a qualche scopo particolare: quelle costituite in maniera adatta grazie a una loro spontanea particolarità si sono conservate, mentre quelle non costituite in tal modo sono perite e continuano a perire.
Nell’antichità le idee della selezione naturale, come quella dell’eliocentrismo non ebbero successo.
Si affermarono invece le teorie creazioniste e fissiste, per le quali ogni specie è stata creata da un Dio così com’è, senza evoluzione temporale. Questa spiegazione cominciò ad essere messe in discussione nella seconda metà del settecento.
Un anno cruciale fu il 1749, in cui vennero pubblicate in Francia due opere che anticipavano alcuni aspetti della teoria dell’evoluzione: da una parte la Lettera sui ciechi a uso dei vedenti di Diderot e dall’altra la Storia naturale generale e particolare del conte di Buffon.
Entrambi gli autori ebbero dei guai per queste pubblicazioni, Diderot finì addirittura in galera e per poter uscire dovette abiurare le cose che aveva detto nella Lettera, Buffon fu invece censurato dalla Sorbona e costretto a dichiarare di «abbandonare tutto ciò che nel mio libro può essere contrario alla legge mosaica».
Ma il vero precursore scientifico di Darwin fu Lamarck, di cui lo scienziato scrive:
Egli per primo rese alla scienza il grande servigio di richiamare l’attenzione sulla possibilità che qualunque cambiamento del mondo organico, come pure del mondo inorganico, fosse il risultato di una legge e non di un intervento miracoloso. […]
Quanto alle cause del cambiamento, Lamarck ritiene che consistano in parte nell’azione diretta delle condizioni fisiche della vita e in parte nell’incrocio di forme preesistenti, ma soprattuto nell’uso e nel disuso, cioè negli effetti dell’abitudine. A quest’ultima causa egli sembra attribuire tutti i meraviglioosi adattamenti che si osservano in natura, per esempio il lungo collo della giraffa che le permette di brucare sui rami degli alberi, ma egli crede anche nell’esistenza di una legge di sviluppo progressivo [cosa che Darwin rifiuta].
Nel 1837, un anno dopo il rientro in Inghilterra, Darwin inizia a lavorare ai suoi appunti e comincia a ipotizzare che la selezione con la quale gli uomini creano nuove varietà di animali e vegetali potesse essere lo stesso meccanismo con cui la natura promuove la propria. Non riesce però a capire quale meccanismo agisca in natura.
“Per molto tempo mi rimase incomprensibile come la selezione si potesse applicare a organismi viventi in natura.
Nell’ottobre del 1838, cioè quindici mesi dopo l’inizio della mia ricerca sistematica, lessi per diletto il libro di Thomas Malthus Saggio sul principio della popolazione, poiché date le mie lunghe osservazioni sulle abitudini degli animali e delle piante mi trovavo in una buona disposizione mentale per valutare la lotta per l’esistenza cui ogni essere è sottoposto, fui subito colpito dall’idea che, in tali condizioni, le variazioni vantaggiose tendessero a essere conservate e quelle sfavorevoli a essere distrutte.
Comincia a farsi strada quella che Herbet Spencer chiamerà poi la teoria della “sopravvivenza del più adatto” nella lotta per la vita.
Nel primo anno di ricerca, Darwin ha già sviluppato il principio della variazione e quello della selezione naturale, consistente nella preservazione nella specie delle condizioni vantaggiose nella lotta per la vita.
Mancava ancora un principio fondamentale:
In quel tempo non afferrai un problema molto importante, ma non riesco a capire come abbia potuto non vederlo e non trovarne la soluzione: era l’uovo di Colombo. Mi riferisco alla tendenza degli organismi discendenti dallo stesso ceppo a divergere nei loro caratteri quando si modificano.
Sono in grado di ricordare il luogo esatto della strada che percorrevo in carrozza quando mi venne in mente la soluzione del problema con mia grande gioia. Ciò accadde molto tempo dopo che ci eravamo trasferiti a Downe [1842] e la soluzione, secondo me, consiste nel fatto che la discendenza modificata delle forme dominanti e in via di sviluppo tende ad adattarsi a parecchi luoghi che hanno caratteristiche molto diverse nell’economia della natura,
cioè il principio dell’adattabilità delle specie e il fatto che quando una variazione viene selezionata dalla natura e la popolazione è confinata dentro una certa area geografica, queste variazioni possono essere innanzituto sostenute, poi tendono a divergere fino a formare delle nuove specie.
2. L’origine delle specie (1859)
Nel 1858, Darwin riceve dall’arcipelago malese l’articolo Sulla tendenza delle specie a distaccarsi indefinitamente dal tipo originario, inviatogli dal naturalista Alfred Wallace che enunciava la stessa tesi sostenuta dallo scienziato e gli chiedeva consiglio per la pubblicazione.
Darwin decise così di pubblicare nello stesso numero della rivista della Linnean Society l’articolo di Wallace e un estratto dell’Origine delle specie ancora inedito.
Come ricorda Darwin nella sua autobiografia, l’articolo ebbe un’unica recensione, quella del reverendo Hotton di Dublino – noto anche per aver sostenuto che l’impiccagione era il metodo più umano per eseguire una condanna a morte – che suonava:
Tutto ciò che vi si dice di nuovo è falso e tutto ciò che è vero è vecchio.
[Odifreddi ricorda la recensione “ancora più perfida” del matematico italiano emigrato negli Stati Uniti, Giancarlo Rota: “Quando i pigmei gettano un’ombra così lunga significa che la sera è vicina”]. Tredici mesi dopo usciva la prima edizione di The Origin of Species che, tirata in 1250 esemplari andò esaurita nello stesso giorno.
L’opera, divisa in quattro capitoli, segue lo sviluppo cronologico delle scoperte di Darwin: il primo capitolo è dedicato alla variabilità delle caratteristiche allo stato domestico, il secondo a quella allo stato di natura; il terzo alla lotta per l’esistenza e il quarto alla sopravvivenza del più adatto.
In relazione alla selezione naturale, Darwin scrive:
La conservazione delle differenze e variazioni individuali favorevoli e la distruzione di quelle nocive sono state da me chiamate “selezione naturale” o “sopravvivenza del più adatto”. Le variazioni che non sono né utili né nocive non saranno influenzate dalla selezione naturale e rimarranno allo stato di elementi fluttuanti, come si può osservare in certe specie polimorfe, o infine si fisseranno per cause dipendenti dalla natura dell’organismo e da quella delle condizioni.
Altri hanno persino immaginato che la selezione naturale dia luogo a variabilità, mentre invece la selezione comporta soltanto la conservazione delle variazioni non appena compaiono e siano vantaggiose all’individuo nelle sue particolari condizioni di vita.
Darwin parla di sopravvivenza del più adatto nella lotta per la vita, un’espressione neutra a cui oggi si tende a sostituire la sopravvivenza del “migliore”. Darwin non ammette tale indebita sostituzione, perché qualcuno che era adatto in un certo momento può non esserlo al variare delle condizioni, e questa è la ragione per cui le specie possono anche perire.
Darwin sostiene che “più adatto” significa più differenziato e specializzato, dunque più complesso. A questo aumento della complessità è molto difficile associare qualche caratteristica morale o etica, inoltre, a volte, sono proprio gli organismi più semplici ad assolvere meglio le loro funzioni e a mantenersi invariati molto a lungo.
Darwin descrive il modo in cui le specie si diversificano e si allontano tra loro attraverso la metafora dell’albero della vita:
È un fatto veramente meraviglioso, anche se non ce ne rendiamo conto perché troppo consueto, che tutti gli animali e tutte le piante attraverso il tempo e lo spazio siano collegati gli uni agli altri per gruppi, subordinati ad altri gruppi, così che possiamo osservare che varietà della stessa specie più strettamente collegate e specie di uno stesso genere meno strettamente o inegualmente collegate, formano sezioni e sottogeneri e che specie di distinti generi molto meno strettamente collegate o collegate in differenti misure formano sottofamiglie, famiglie, ordini, sottoordini, classi e così via.
Se le specie fossero state create indipendentemente, nessuna spiegazione di questo tipo di classificazione sarebbe possibile, mentre invece essa si spiega con l’eredità e con l’azione complessa della selezione naturale che comporta estinzione e divergenza dei caratteri.
Le affinità di tutti gli esseri della stessa classe sono state spesso rappresentate con un grande albero. Credo che questa similitudine corrisponda bene alla realtà. I verdi e germoglianti rami possono rappresentare le specie esistenti e quelli prodotti negli anni precedenti possono rappresentare la lunga successione di specie estinte.
Ad ogni periodo di crescita tutti i rametti in sviluppo tentano di ramificarsi in tutte le direzioni e di sorpassare e uccidere i ramoscelli e i rami circostanti allo stesso modo in cui le specie o i gruppi di specie hanno in tutti i tempi sopraffatto altre specie nella grande battaglia per la vita.
I tronchi divisi in grandi rami e questi in rami sempre più piccoli furono essi stessi una volta, quando l’albero era giovane, rami germoglianti, e questo rapporto tra i vecchi e i nuovi germogli per mezzo di ramificazioni può rappresentare bene la classificazione di tutte le specie estinte viventi in gruppi subordinati a gruppi.
Dei molti rami che fiorirono quando l’albero era un arbusto, soltanto due o tre ora sviluppatisi in grandi tronchi sopravvivono e sostengono gli altri rami. Così, delle specie che vissero in remoti periodi geologici, pochissime hanno lasciato discendenti viventi e modificati. Dal primo sviluppo dell’albero, molti tronchi e rami sono morti e caduti e questi rami caduti di varie dimensioni possono rappresentare quegli interi ordini, famiglie, generi che attualmente non hanno rappresentanti viventi e che conosciamo solamente allo stato fossile.
Come qua e là vediamo un pollone che spunta da una biforcazione posta alla base di un albero e che è stato favorito dalla sorte ed è ancora vivo alla sua sommità, così osserviamo occasionalmente un animale come l’ornitorinco che per le sue affinità collega in qualche modo due grandi rami della vita e che a quanto pare è stato risparmiato da una fatale concorrenza perché abitante in una stazione protetta. […]
La selezione naturale che deriva dalla lotta per l’esistenza e che conduce quasi inevitabilmente alla distruzione e alla divergenza dei caratteri nei discendenti di una qualsiasi specie progenitrice, spiega la grande caratteristica universale dell’affinità di tutti gli esseri viventi, cioè la loro distribuzione in gruppi subordinati ad altri gruppi. Forse non arriveremo mai a sbrogliare l’inestricabile matassa dell’affinità tra i membri di una classe, ma quando si miri a uno scopo ben preciso e non si cerchi qualche ignoto piano di creazione, si può sperare di compiere lenti ma sicuri progressi.
2.1 La fecondazione delle orchidee da parte degli insetti
Tra L’origine delle specie (1859) e L’origine dell’uomo (1871), Darwin scrive La fecondazione delle orchidee da parte degli insetti (1862) e La variazione degli animali e delle piante allo stato domestico (1868). Nel primo dei due, Darwin si accorse di un fenomeno che poi è diventato noto come coevoluzione: alcune specie, in questo caso una specie animale e una vegetale, si evolvono insieme, quasi in parallelo e si adattano l’una all’altra.
In particolare Darwin fece un’osservazione che poi è diventata famosa, a proposito di un’orchidea che ha la particolarità di emettere profumo solo di notte, quindi attira gli insetti solo di notte e ha uno sperone lungo fino a trenta centimetri al fondo del quale ha un nettare molto dolce. Guardando questa orchidea Darwin si rese conto che doveva esserci un impollinatore che, innanzitutto era un insetto notturno, perché l’orchidea profuma solo di notte e poi che doveva avere un organo di raccolta del polline lungo anche trenta centimetri. All’epoca non trovò alcun insetto che soddisfacesse queste caratteristiche e fece allora una previsione scientifica, anticipando l’esistenza di questa falena impollinatrice che fu poi effettivamente osservata nel 1903 e prese il nome di Praedicta.
3. L’origine dell’uomo [1871]
Che l’uomo è disceso da qualche forma meno organizzata, mi dispiace pensarlo, riuscirà assai disgustosa per molti, ma difficilmente si può dubitare che noi siamo discesi da barbari […]. Per parte mia, vorrei piuttosto essere disceso da quella piccola eroica scimmietta che sfidò il suo terribile nemico per salvare la vita del proprio guardiano o dal quel vecchio babbuino che discendendo dalle montagne portò via trionfante il suo giovane compagno da una torma di cani stupiti, piuttosto che da un selvaggio – o anche da un uomo civilizzato – che trae diletto dal torturare nemici, consuma sacrifici di sangue, pratica l’infanticidio senza rimorso, considera le mogli come schiave, non conosce il pudore ed è tormentato da enormi superstizioni, ma qui non ci siamo occupati di speranze o di timori, ma soltanto della verità, per quanto la nostra ragione ci permette di scoprire. Peraltro mi sembra che l’uomo, con tutte le sue nobili qualità, […] ancora porta impressa nella sua struttura fisica l’impronta indelebile della sua intima origine.
Charles Darwin, L’origine dell’uomo
Nella sua autobiografia, Darwin racconta come arrivò a scrivere L’origine dell’uomo, osservando che quando si convinse che le specie erano mutabili, ritenne che l’uomo dovesse essere regolato dalla stessa legge. Nell‘origine delle specie una sola riga faceva allusione all’uomo:
è probabile che con quest’opera sarà fatta luce sull’origine dell’uomo e sulla sua storia.
L’origine dell’uomo parte dalla dimostrazione dell’assenza di differenza tra l’uomo e gli altri animali, come le scimmie.
Chi voglia decidere se l’uomo sia il discendente modificato di qualche specie preesistente, probabilmente dovrebbe prima appurare se egli muta, sia pure leggermente, nella struttura fisica e nelle facoltà mentali . In caso positivo, se i mutamenti sono trasmessi alla sua discendenza in conformità alle leggi che vigono per gli animali inferiori. Inoltre, per quanto la nostra ignoranza ci permetta di valutare, dovremmo appurare ancora se tali variazioni siano il prodotto di cause generali e siano regolate da quelle stesse leggi generali che valgono per gli altri organismi. […] E’ noto che l’uomo è costruito sullo stesso tipo o modello generale di ogni altro mammifero ..
E porta molti altri elementi di similitudine, dal comune fastidio dei parassiti della pelle, all’indistinguibilità dell’embrione umano da quello di altri animali e alla comune origine dell’embrione dalla fecondazione dell’ovulo. E’ in questo contesto che affronta il tema degli organi rudimentali, inutili all’uomo, che sono la testimonianza della sua storia biologica precedente, come il coccige (deriviamo da un animale codato), l‘appendice (tipica dell’intestino degli erbivori), i canini (i nostri precursori sono stati dei predatori) o il fatto che alcuni di noi riescono ad aggrottare la fronte e pochi invece a muovere le orecchie (ciò che mostra la presenza di alcuni muscoli che condividiamo con gli animali).
La lunga ma non nobile genealogia dell’uomo porta Darwin a osservare che le scimmie antropomorfe e l’uomo hanno progenitori comuni. Oggi sappiamo che uomo e scimpanzé condividono il 98% del patrimonio genetico, per cui le differenze esistenti tra noi e questo animale sono prodotte da quel 2% di diversità cromosomica. L’uomo avrebbe facoltà mentali, si dice, superiori a quelle degli animali. Darwin mostra in proposito che anche queste facoltà mentali non sono così diverse, sostenendo che questa diversità è quantitativa, non qualitativa, e che ciò che riteniamo tipico dell’uomo, come le sensazioni, gli istinti, le emozioni, i sentimenti, gli affetti, la memoria, l’attenzione, l’immaginazione, il linguaggio addirittura e la ragione, sono tutti aspetti che invece condividiamo con loro:
L’uomo e gli animali superiori, specialmente i primati, hanno alcuni istinti in comune, tutti hanno i medesimi sensi, le intuizione e le sensazioni, le stesse passioni, affezioni ed emozioni, anche le più complesse come la gelosia, il sospetto, l’emulazione, la gratitudine e la magnanimità. praticano l’inganno e sono vendicativi. Talora sono soggetti al ridicolo e hanno anche il senso dell’umorismo, provano meraviglia e curiosità e possiedono le stesse facoltà di attenzione, imitazione, decisione […] e la ragione, anche se a dei livelli molto diversi. Gli individui della stessa specie sono graduati, per intelletto, dall’assoluta imbecillità all’eccellenza, sono soggetti alla folia anche se di gran lunga meno spesso che nell’uomo, nondimeno molti scrittori hanno insistito sul fatto che l’uomo è diviso da un’insuperabile barriera da tutti gli animali superiori, nelle sue facoltà mentali.
A questo proposito, c’è un passo di Crisippo, appartenente alla Stoa, verso il 300 a.C., in cui il filosofo racconta di aver visto un cane che inseguiva una preda, arrivare a un trivio e dopo aver annusato e scartato la prima e la seconda, scegliere la terza senza annusare, padroneggiando il principio d’esclusione; ciò che mostra come anche i greci avessero già capito che l’uomo non ha l’esclusiva della mente.
Darwin minimizza anche le differenze a proposito delle più tipiche espressioni della mente, come ad esempio, il linguaggio:
La formazione dei diversi linguaggi e delle diverse specie [si può fare un albero sia degli uni che delle alte, NDR], le prove che entrambi si sono sviluppati attraverso un processo graduale, sono stranamente parallele. […] Noi possiamo rintracciare l’origine di molte parole andando più indietro di quanto non si possa fare per le specie, perché possiamo capire come siano sorte dall’imitazione di vari suoni. Troviamo in linguaggi distinti notevoli analogie dovute alla comune origine e analogie dovute a un simile processo di formazione. Abbiamo in entrambi i casi, la riduplicazione delle parti, gli effetti di un uso continuato a lungo e così via, la frequente presenza di rudimenti sia nel linguaggi che nelle specie è ancora più notevole. I linguaggi degli esseri organici possono essere classificati in gruppi e sottogruppi […] un linguaggio, come una specie, una volta estinto non riappare mai, uno stesso linguaggio non ha mai due luoghi di nascita, due diversi linguaggi si possono incrociare o mischiare, vediamo variabilità in ogni lingua e nuove parole sopraggiungono continuamente.
E la morale, anch’essa per Darwin frutto dell’evoluzione:
Qualsiasi animale dotato di istinti sociali ben marcati compresi quelli verso i genitori e figli, acquisterebbe inevitabilmente un senso morale o una coscienza, non appena i suoi poteri intellettuali fossero divenuti tanto sviluppati o quasi altrettanto che nell’uomo. Infatti, gli istinti sociali portano un animale a compiacersi della compagnia dei suoi simili, a sentire un certo grado di simpatia per loro e a compiere per essi vari servizi; in secondo luogo, appena le facoltà mentali si saranno sviluppate abbastanza notevolmente, le immagini di tutte le azioni passate e i loro motivi ritorneranno incessantemente nel cervello di ogni individuo; in terzo luogo, dopo che si è acquisita la facoltà della parola e possono essere espressi i desideri della comunità, l’opinione generale che ciascun membro dovrebbe agire per il bene comune, dovrebbe naturalmente guidare in maggior misura l’azione; e infine, l’abitudine dell’individuo giocherebbe, in definitiva, un ruolo molto importante nel guidare la condotta di ogni membro. Non intendo sostenere che ogni animale esclusivamente sociale, se le sue facoltà diventassero attive e tanto sviluppate come nell’uomo acquisterebbe esattamente lo stesso senso morale, potrebbero avere gli animali un senso di giustizia e ingiustizia diverso portandoli a seguire linee di condotta completamente diverse.
In questo caso, insomma, gli animali potrebbero avere una morale diversa dalla nostra. Ma, in definitiva, qual è la nostra? Esiste una morale universale o non ci sono forse diverse morali nei diversi gruppi umani, evolutesi storicamente? L’opinione di Darwin è che non vi sia niente di universale.
Nessuna tribù si potrebbe tenere unita se l’assassinio, il ladrocinio, il tradimento fossero comuni, di conseguenza, tali crimini, nei limiti di una tribù sono soggetti a eterna infamia, ma non suscitano eguale sentimento oltre questi limiti.
Esempi: “non uccidere il tuo prossimo”. Anche nella Bibbia, “non uccidere gli ebrei”, fuori da questo gruppo l’assassinio non suscita ugual sentimento. La conclusione è che
il cosiddetto senso morale è originariamente derivato dagli istinti sociali, perché entrambi agli inizi si riferiscono esclusivamente alla comunità interna.
Darwin ha così realizzato una decostruzione delle religioni, considerate anch’esse come un fenomeno dell’evoluzione, come tutte la altre qualità umane.
Arrivano ora le pagine più interessanti e anche più discutibili di Darwin, in cui lo scienziato si occupa della società con uno sguardo che sarebbe oggi classificato come “darwinismo sociale” e che non tiene conto che l’evoluzione umana ha preso strade diverse dalla selezione naturale: l’evoluzione culturale e le sue logiche sono diventate predominanti rispetto alla selezione naturale (natura vs cultura). Comportarsi secondo natura è una cosa estremamente pericolosa per l’uomo che persegue la giustizia proprio perché si comporta secondo cultura.
Alla fine di questa riflessione, nella quale Darwin ha mostrato come l’uomo si sia evoluto, lo scienziato lo colloca nel contesto degli altri esseri viventi, nella famiglia zoologica di appartenenza:
l’uomo appartiene alla superfamiglia delle scimmie antropomorfe, alla famiglia degli ominidi e appartiene al genere homo […] gli antichi progenitori dell’uomo dovevano essere anticamente coperti di pelo, avendo ambedue i sessi la barba, le loro orecchie erano probabilmente a punta e capaci di movimento, il loro corpo era provvisto di coda con muscoli propri, il coccige ce lo ricorda […] avevano abitudini arboree e vivevano in paesi caldi coperti di foreste [..] in un tempo ancora precedente dovevano aver avuto abitudini acquatiche, i polmoni infatti sono antiche vesciche natatorie che servivano per galleggiare e addirittura nell’embrione umano è evidente un punto dove un tempo erano le branchie […].
4. L’idea di Dio e le polemiche con il clero
Poiché l’evoluzionismo smentisce il fissismo (le specie sono sempre state come le vediamo) e il creazionismo (Dio ha creato le specie come sono) biblici, Darwin è stato fortemente contestato dai cattolici e dalle altre religioni cristiane. Nel giugno 1860 (un anno dopo la pubblicazione dell’Origine delle specie) si tenne a Londra uno storico dibattito a cui presero parte Thomas Huxley (poi soprannominato il “mastino di Darwin”) e il vescovo Samuel Wilberforce. Al vescovo che gli chiedeva se ritenesse di discendere da una scimmia per parte di nonno o di nonna, Huxley rispose:
io trovo meno vergognoso discendere da una scimmia che da una persona come lei che usa la propria intelligenza per oscurare la verità.
Qualche anno dopo, nel 1869 un biologo italiano, Francesco Parago, tenne una conferenza dal titolo abbastanza blasfemo:
L’uomo fatto a immagine di Dio, fu fatto anche a immagine della scimmia.
Il primo ministro inglese, poi, Benjamin Disraeli, in una conferenza diede voce al sentimento popolare :
Darwin sarà anche disceso dalle scimmie, ma io sono disceso dagli angeli.
Nel 1864, prima della pubblicazione de L’origine dell’uomo, in Italia, il biologo cattolico Filippo de Filippi tenne una famosa conferenza intitolata L’uomo e le scimmie che toccò con grande clamore i temi darwiniani dando inizio alle polemiche anche in Italia. Nel 1907, Pio X pubblica l’enciclica Facendi dominicis gregis contro il modernismo, identificato come
la sintesi di tutte le eresie, una cattedra di pestilenza, un torrente di gravissimi errori
proponendo una ritirata difensiva nella scolastica e un’avanzata offensiva contro la stampa dei libri modernisti. L’enciclica di Pio X non parla di Darwin, lo fa invece quella di Pio XII De humani generis del 1950 che è dedicata a
correggere alcune false opinioni che minacciano di sovvertire i fondamenti della dottrina cattolica, [ad esempio] il sistema evoluzionistico.
Per sapere cosa pensasse Darwin di Dio e della religione, si può considerare la sua autobiografia che ricorda come prima di imbarcarsi sul Beagle, su indicazione del padre Darwin avesse coltivato il progetto di farsi pastore e avesse studiato in seminario, tanto che anche i più ortodossi dei suoi compagni di viaggi olo prendevano in giro per le sue perfette citazioni bibliche. Al ritorno dal viaggio, però, scrive lo scienziato, mi resi conto che la Bibbia
non meritava più fede della credenza dei libri indù o delle leggende dei barbari e che fosse impossibile per un uomo sano di mente credere nei miracoli. L’incredulità si insinuò nel mio spirito e finì per diventare totale, il suo sviluppo fu tanto lento che non ne soffersi e e da allora non ho più avuto alcun dubbio sull’esattezza della mia conclusione. In realtà, non posso capire perché ci dovremmo augurare che le promesse del cristianesimo si avverino, perché in tal caso gli uomini senza fede come mio padre, mio fratello e quasi tutti i miei amici più cari sarebbero puniti per l’eternità e questa è un’odiosa dottrina.
Ma l’idea che l’esistenza del creato presupponesse quella di un creatore, sembrava diffcilmente smentibile. Darwin ricorda che da studente di teologia, l’idea che l’esistenza di un orologio presupponga quella dell’orologiaio gli aveva dato tanto piacere quanto i teoremi di Euclide. Ora si accergeva però di aver dato proprio lui il colpo mortale a questa tesi:
oggi, dopo la scoperta della legge della selezione naturale, cade il vecchio argomento di un disegno della natura […] argomento che nel passato mi era sembrato deciso: un piano che regoli la variabilità degli esseri viventi e l’azione delle selezione naturale non è più evidente di un disegno che predisponga la direzione del vento.
La natura inoltre, non ci ispira idee di bellezza e di bene, ma di orrore: la selezione dle più adatto implica che nella lotta per la vita qualcuno abbia il sopravvento su qualcun’altro che perisce, non solo individualmente, ma anche come specie e se guardiamo alla storia della terra vediamo che quasi tutte le specie sono scomparse.
Nel 1851 muore la figlia decenne, Anne. Da questo momento Darwin smette di frequentare il luogo di culto e cessa di considerarsi credente. Continuerà a dirsi, prima teista, poi agnostico, tuttavia è convinto che la religione sia un fenomeno legato alla socializzazione:
Non dobbiamo trascurare la probabilità che il costante inculcare la credenza in Dio nelle menti dei bambini possa produrre un effetto così forte e duraturo sul loro cervello non ancora completamente sviluppato, da diventare per loro tanto difficile sbarazzarsene, quanto per la scimmia disfarsi dell’istintiva paura o ripugnanza del serpente.
The birth of species from Former Worlds on Vimeo.
Commenti recenti