Oggi ho trovato questo scritto di Christian Raimo (Internazionale) per l’abbandono dei “percorsi multidisciplinari” a legami deboli e un lavoro finale semplice, ma significativo: battaglia che pensavo di condurre in solitaria fino alla fine.
Maggio è il mese della febbre delle tesine. Ossia: i più di cinquecentomila studenti che tra un mese affronteranno l’esame di stato, ovvero quello che chiamiamo la maturità, devono preparare una breve ricerca di una quindicina, una ventina, di cartelle che, a partire da un certo argomento, s’impegni a toccare più materie possibile. I ragazzi per lo più vanno nel panico: cercano di arrangiarsi. Se hanno cominciato a chiedere lumi già al primo quadrimestre, arrivati a questo punto dell’anno mostrano schemi strampalati con un sacco di frecce.
“Porto il Mistero: così ci metto il velo di Maya in Schopenhauer, l’enigma di Edipo in greco, il codice Enigma in storia, e i numeri irrazionali in matematica, che ne dice prof?”.
Invece di guidarli, correggerli, c’è forse solo da compatirli.
“Ho pensato che posso parlare del rapporto tra uomo e natura in tutta la storia”, “Prof, ma se parlo del fascismo poi posso mettere i cereali in biologia per la battaglia del grano?”, “Io volevo fare una tesina con tutti i segni dell’oroscopo, collegando ogni materia a un segno”. “Io porto il Sonno”, “Io porto la Pizza”, “Io porto la Tristezza”, “Io porto un romanzo fantasy che ho scritto”. Senza contare i classici della tesinografia: il doppio, il viaggio, il sogno…
I professori si limitano ad accettare la vulgata, proclamata come se fosse una legge morale: l’importante è fare collegamenti
Sul sito del ministero dell’istruzione non c’è nulla di chiaro in merito alla compilazione di questa tesina. Nelle faq (domande frequenti) dedicate alla maturità si dice che non è obbligatoria, ma non si specifica che valore abbia invece portarla e, in caso si scelga di non portarla, cosa occorra fare.
Sui siti specializzati in consigli per studenti ci sono istruzioni metodologiche che somigliano a delle dritte di consulenti di marketing: scegli l’argomento che ti piace sul serio!
I professori non stanno messi meglio. Invece di spiegare come accedere alle fonti, come consultare i testi, come compilare un indice, come stendere una bibliografia, come redigere le note (in quella che, per capirci, potrebbe essere un’utile semplificazione aggiornata degli insegnamenti di Umberto Eco su Come si fa una tesi di laurea), si limitano ad accettare la vulgata proclamata come se fosse una legge morale: l’importante è fare collegamenti.
Ci sono studenti incolpevoli che la prendono alla lettera e scrivono una tesina che parte da storia parlando dei mezzi di comunicazione di massa (la radio), passano a chimica (il radio), per arrivare a educazione fisica (il radio e l’ulna).
La retorica della trasversalità
Qual è il senso didattico del “fare collegamenti”? E qui non si tratta di stigmatizzare una moda della critica culturale, anche accademica, che privilegia sempre di più la critica tematica a quella storica, a quella linguistica, a quella testuale. Occorre invece giudicare senza appello una pratica nociva per la scuola italiana.
La retorica della “trasversalità” è la via facile, e sciatta, con cui si è legittimata qualunque forma di associazione arbitraria tra gli argomenti più disparati. Per quale motivo il tema del viaggio in Jonathan Swift ha qualcosa a che fare con il viaggio di Dante negli inferi o con il viaggio sulla Luna o, ancora più gratuitamente, con l’esperienza del viaggio della memoria che oggi si fa ad Auschwitz?
Il “fare collegamenti” senza un’adeguata preparazione è la legittimazione dell’opinionismo, del guazzabuglio dialettico che vediamo ogni giorno propalato sulle pagine di giornali scritti male, di saggi approssimativi, di dibattiti in tv incapaci di entrare nel merito con dati a proprio supporto e tesi ben argomentate.
La scuola dovrebbe smetterla con quest’altro idolo inutile e dannoso dell’originalità. La multidisciplinarità non s’improvvisa: pretenderla da un ragazzo di diciannove anni, anche volenteroso e preparato, vuol dire chiedergli di simularne una parodia, premiare l’illusione di una padronanza disciplinare che ovviamente non ha, rendergli un cattivo servizio con la scusa di motivarlo.
Allo stesso modo la scuola dovrebbe smetterla con quest’altro idolo inutile e dannoso dell’“originalità”. La tesina, ripetono studenti e professori asserviti a una liturgia retorica che si tramanda di anno in anno, deve essere originale! Ma perché? Qual è il valore formativo di una piccola ricerca di quindici o venti pagine, che di nuovo non può far altro che fingere – spesso in modo caricaturale – un carattere di originalità? Ciò che si reclama originale spesso è solo strampalato o desueto. Che senso ha inventarsi un lavoro scolastico bizzarro? “Per incuriosire la commissione”, ci si può sentire rispondere. Anche qui, per quale ragione?
Certo, è anche vero che magari qualcuno della commissione d’esame s’incuriosisce, e di fronte a questi elaborati che trattano di un argomento estratto a caso nel vasto campo dello scibile umano, si sentono giustificati nel loro esprimere un giudizio di puro gusto: personale, idiosincratico. “Mi colpisce questa tesina sui fiori, anche io sono un appassionato di fiori”.
Un ruolo educativo serio
Sempre per questo assurdo obiettivo di fare impressione sulla commissione, ci si ingegna sul come comporre delle tesine graficamente curate. Dove per “graficamente curate” spesso s’intende piene di foto, disegni, immagini, colori; è chiaro che questo alle volte colpisca, incuriosisca qualche professore in sede d’esame. Ma è altrettanto evidente che è l’ennesima pretesa deleteria dal punto di vista formativo. Invece d’insegnare a fare un lavoro semplicemente ordinato, a comprendere cosa vuol dire e quanto può essere complicato dare un’organizzazione gerarchica al testo o stendere una bibliografia, ci s’improvvisa grafici o critici di una grafica editoriale ornamentale, per nulla funzionale all’esposizione della ricerca.
A tutto questo c’è rimedio? Certo, ci si può accontentare di essere bonari e sperare che in mezzo al volontarismo, all’intuizione, alla vivacità dell’intelligenza degli studenti, qualcosa di buono poi comunque venga fuori. Ma quest’indulgenza può d’altro canto avere risultati nefasti: chi alla maturità si sente di aver fatto bene così, si ritroverà a replicare le stesse cattivissime abitudini al momento della tesina e della tesi universitaria, millantando trasversalità, originalità ed estro grafico.
Invece ci si potrebbe prendere la responsabilità di avere un ruolo educativo serio e immaginare di chiedere agli studenti un lavoro scritto diverso. Qualcosa che non sia né particolarmente originale o multidisciplinare. Si potrebbe chiedere di portare alla maturità delle relazioni di testi di saggistica complessi. Si potrebbero creare dei percorsi tra cui scegliere, e valutare la capacità di sintesi, di confronto con la letteratura secondaria. Sembrerebbe un compito più noioso, ma sarebbe infinitamente più utile e arricchente.
E inoltre incontrerebbe il favore degli studenti che, invece di trovarsi imbarazzati a vagare smarriti in quella libertà assoluta di scelta dell’argomento e del metodo che altro non è che il territorio selvaggio dell’improvvisazione e dell’amatorialità, avrebbero delle linee guida da seguire, capirebbero come incanalare i propri interessi, imparerebbero cos’è una scrittura saggistica seria e non una cattiva arte affabulatoria.
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