Il lungometraggio Mashgh-e shab – Compiti a casa, girato da Abbas Kiarostami nel 1989, mostra la dura esistenza scolastica dei bambini iraniani di modesta estrazione sociale.
Si tratta di un documentario da vedere, non solo per capire le ragioni dell’insuccesso scolastico e l’inadeguatezza crudele dei sistemi educativi tradizionali, ma anche quale significato acquisti il credo per chi cresce insicuro e incapace, e quale gioia profonda possa dare all’ignorante il recitare una sura a memoria.
Il canto religioso che accompagna il finale evoca infine il potere terapeutico della fiducia (non solo a scuola) e il potenziale liberatorio della fede, sempre presente accanto al disciplinamento e all’oppressione. Come sempre, nulla come l’osservare la sua scuola ci permette di capire una società, in questo caso, quella iraniana.
Di pomeriggio, tra piccoli lavoretti domestici e le pagine di dettato da compilare, pochi di questi bambini possono giocare o trovare aiuto nei compiti dai padri e dalle madri analfabeti. I fratelli e le sorelle, quando disposti ad assisterli, esercitano su di loro una grande severità. Le frustrazioni e le punizioni corporali segnano così questi piccoli dai volti disperati e quasi senza parole, la gran parte disciplinati, raramente ribelli tormentati dai sensi di colpa, che a volte hanno ancora la forza di immaginare il loro futuro.
E’ questa l’interpretazione che emerge nel quarto video, dalle parole di un padre colto, vissuto all’estero per molti anni. Nel sesto, il padre di un bambino in difficoltà e considerato ritardato, illustra con grande lucidità la pressione familiare e scolastica sulla performance del figlio e il circolo vizioso tra insuccesso e paura di sbagliare che il bambino non riesce a spezzare.
Nel commoventissimo finale, torna davanti alla camera un bambino traumatizzato che in precedenza il regista non era riuscito ad intervistare a causa del pianto dirotto. Dopo lamenti e implorazioni perché possa parlare alla presenza del suo amico, improvvisa la risposta a una domanda di religione …
In altri paesi non fanno i compiti a casa e dove li fanno, danno maggior peso alla loro creatività. Come si vede, qui i nostri bambini sono sottoposti a forti pressioni. Gli insegnanti sembrano sfogare i loro complessi, e a casa se la prendono con noi che non sappiamo cosa fare o non fare e non siamo in grado di gestire questo problema, col risultato che riversiamo le nostre frustrazioni sui bambini e finiremo per avere una generazione indignata e triste, predisposta a ogni tipo di disturbo psicologico.
I bambini vengono talmente scoraggiati e rattristati che alla fine sarà una generazione priva di ogni creatività, capace solo di copiare. E così vogliamo affrontare il XXI secolo.. Credo che il Ministero farebbe bene a smetterla con questi metodi e queste regole che andavano bene nel Medioevo. Gli insegnanti, con tutti i loro problemi, dovrebbero trovare modi più stimolanti per insegnare ai bambini. I genitori dovrebbero lasciare che i loro figli se la cavino da soli. E’ sbagliato obbligare i bambini a fare i compiti perché così sviluppano una naturale resistenza nei confronti del sistema educativo. […] Io credo che un voto è buono se è superiore alla volta precedente. L’idea di studente modello non ha alcun senso. C’è un proverbio che dice: non darmi del pesce, insegnami a pescare. Noi stiamo dando il pesce ai nostri bambini. Certo qui impareranno molte cose, ma non a pensare.
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