Cornelius Castoriadis, Perché non siamo in democrazia

by gabriella

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Perché la società si sgretola in un pullulare di egoismi, razzismi, disuguaglianze crescenti e perdite di solidarietà? Perché cresce l’assenteismo elettorale, mentre i partiti sono sempre meno “rappresentanti del popolo” e sempre più burocrazie volte a perpetuare il loro potere? Perché sembra che esista “una sola politica possibile”, quella del liberismo di mercato suggerita dalla tecnocrazia capitalista?

Per Castoriadis, la crisi della democrazia è la crisi dei presupposti filosofici impliciti dell’occidente. (…)

Sotto il video [a cui ho aggiunto sottotitoli in italiano], l’intervista concessa a Maurizio Blondet, su Avvenire, 26-2-1992. In coda all’articolo un breve stralcio di un’intervista in cui il filosofo spiega il funzionamento della democrazia ateniese.

Per sua esplicita ideologia, la nostra società non ha alcun progetto collettivo, e non vuole averne. Si ritiene che siano gli individui a dare un senso alla propria vita, indipendentemente da ogni quadro e da ogni progetto collettivo. Ciò che è un’assurdità’ totale. Ogni neonato dovrà inventarsi la propria lingua? [Cornelius Castoriadis su Le Monde]

Lei rimpiange le società che imponevano un progetto pre-costituito, o un senso precostituito alla vita degli individui? Ma queste società sono o ideologico-totalitarie, o religiose-integraliste.

Non deploro affatto la perdita del senso precostituito. Una società democratica, è appunto una società che mette in discussione proprio i significati imposti dall’alto, e per ciò stesso apre alla creazione di significati nuovi. Penso alla democrazia greca. A Socrate che mette in discussione i significati, le istituzioni stabilite dalla tribù: Da lì comincia l’occidente. E la democrazia.

E l’individuo?

In quella democrazia l’individuo partecipava alla creazione di significati nuovi. Sia come “autore” (uomo politico o artista), sia come “recettore”(elettore o “pubblico”)

Come sarebbe a dire, “pubblico”?

Paragonate l’educazione che ricevevano i cittadini ateniesi (e anche le donne e gli schiavi) assistendo alle tragedie di Eschilo e Sofocle, e quella che ricevono oggi i telespettatori guardando Dinasty. Tutt’altro tipo di pubblico. Nella democrazia d’oggi che di fatto è una oligarchia liberale, si cercherebbero invano cittadini responsabili, ” capaci di governare o d’essere governati”, come diceva Aristotele. La centralità dell’educazione in una società democratica è indiscutibile. E invece, oggi, l’educazione manca. La società presenta l’immagine di un vuoto totale di significati. Si suppone che l’individuo sia libero di fare ciò che vuole, di dare alla sua vita il senso che crede. In apparenza.

Perché in apparenza?

Perché il presunto individuo libero non è, nella maggioranza dei casi, che una marionetta che agisce come gli impone spasmodicamente il campo storico-sociale: fare soldi, consumare, godere (se gli riesce)…Libero di dare alla sua vita il senso che vuole, di fatto gli dà il senso che ha corso in una società in cui il solo valore è il denaro, la notorietà televisiva, il potere nel senso più volgare o ridicolo. Ogni individuo libero scimmiotta semplicemente ciò che altri 50 o 100 milioni fanno nello stesso momento.

Dunque la società che sostiene di “non imporre valori precostituiti”, in realtà li impone occultamente.

Certo: l’individualismo oggi, è la faccia individuale del progetto capitalista. Nonostante quel che si dice, c’è un progetto sociale: assurdo e indegno allo stesso tempo, se l’obiettivo centrale della vita umana non è quello di cambiare l’auto ogni tre anni.

Come siamo arrivati a questa degenerazione della democrazia e della libertà individuale?

Io pongo la data del cambiamento intorno al 1950. In quel tempo la società cessa di mettersi in questione. Ora, una società democratica- ricordiamo Socrate e le sue continue domande- è appunto un “mettersi in questione”: sa e deve sapere che non c’è risultato assicurato, e a partire da questo sapere la società crea significati. Ma s’apre questo, è sapersi mortali. L’esperienza della libertà è l’esperienza della mortalità di tutti i significati. Ora se c’è una cosa evidente della società contemporanea occidentale, è la sua paura della morte, il suo sforzo di nasconderla. Non senza relazione con questo rifiuto di “mettersi in discussione” è avvenuta la privatizzazione della vita

Privatizzazione della vita?

Dal 1950 circa, l’equilibrio e la conservazione della società capitalistica moderna è stato ottenuto rinviando ciascuno nella sua sfera privata. Così, a spese della partecipazione democratica, il capitalismo ha trionfato. Il fatto è che, paradossalmente, ha funzionato finora solo perché ha ereditato una serie di tipi umani che non ha creato lui, e che non sa creare: il giudice incorruttibile, il funzionario integro, l’educatore che si consacra alla sua vocazione, l’operaio con una coscienza professionale. Questi tipi non sono nati da sé. Sono stati creati in periodi storici precedenti, in riferimento a valori allora consacrati e incontestabili. Uomini formati dalle società dove gli individui partecipavano a creare valori. Oggi, questi valori suscitano, notoriamente, il riso. Oggi conta solo la quantità di danaro che avete intascato, quante volte siete apparsi in tv.

Dunque il capitalismo assoluto sta segando il ramo su cui poggia, “logorando” i valori che lo fanno funzionare. Ma intanto, la società è ridotta a….

Alla sterilità.

Prego?

La società veramente democratica, come ho detto, è fondata sul sapersi mortale, sull’esperienza della mortalità. Per questo crea valori. Crea “monumenti imperituri”, vuol mostrare agli uomini del futuro la possibilità di dar significato alla vita anche sull’orlo dell’abisso.

Opere d’arte, grandi romanzi, filosofia, grandi architetture…

Opere che possono pretendere una validità universale. Le opere di una collettività sono lo specchio in cui essa può guardarsi, riconoscersi e mettersi in questione. La nazione stessa non può definirsi che come collettività che ha creato opere universali. Essere francese, se non si vuol cadere nel razzismo, significa appartenere a una cultura che va dalle cattedrali gotiche alla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, da Montaigne agli Impressionisti.

E se, come oggi, si parla di fine della filosofia, di fine della grande narrativa, cosa significa?

Chi costata che nel quadro dell’ “individualismo democratico” non c’è più spazio per le grandi opere, pronuncia – senza saperlo né volerlo – una prognosi di morte per questa società.

Nel video seguente Castoriadis esamina la natura della democrazia nella forma greca classica, spiegando il ruolo dell’educazione in un contesto in cui la scelta è considerata opinabile, non epistemica, né appannaggio degli esperti.

Cosa facevano gli ateniesi? E’ molto interessante. Sono i greci ad aver inventato le elezioni, è un fatto storicamente attestato. Ma chi si eleggeva ad Atene? Non si eleggevano, in generale, i magistrati che erano designati per estrazione a sorte o a rotazione. I cittadini erano considerati capaci di governare e di essere governati. Tutti sono capaci di governare, dunque si tira a sorte. Perché? Perché la politica non è materia di specialisti. E perché non è affare di specialisti? Perché non c’è scienza della politica, c’è opinione, la doxa dei greci, non c’è epistéme.

Ho fatto notare d’altronde, che il fatto che non esistano specialisti in politica e che le opinioni dunque si equivalgano, è la sola giustificazione ragionevole del principio maggioritario. Dunque il popolo decide e i magistrati sono eletti a sorte o designati a rotazione. Ci sono attività specializzate, finalizzate alla realizzazione di opere considerevoli la cui arte non è facilmente acquisibile, dunque ci sono attività specializzate, la costruzione dei cantieri navali, la costruzione dei templi, la conduzione della guerra .. Ci sono degli specialisti, dunque è li che li si elegge. Sono questo le elezioni, perché elezioni vuol dire elezione dei migliori. Ma su cosa ci si basa per l’elezione dei migliori? E’ qui che è particolarmente apprezzata l’educazione del popolo perchè è lui che sceglie. Si fa una prima elezione, si valuta e si osserva se si è eletto ad esempio un cattivo stratega, allora non lo si rielegge o lo si revoca.

Ma questa doxa, questa opinione che si può immaginare non così condivisa, è certamente un postulato assolutamente teorico, perché diventi concreta, più o meno, bisogna che sia coltivata. E come può essere coltivata una doxa relativa al governo? Beh, governando! Dunque la democrazia è così, è questo l’importante, è un affare educativo che concerne i cittadini, ciò che non esiste assolutamente all’epoca attuale [2:39]. — continua —

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