La rivoluzione in corso, appena iniziata, che riguarda il rapporto cittadini-potere politico si chiama «Twitter», «Wikileaks». Stiamo vivendo un cambiamento antropologico: i blog, Twitter e i social network sono la nuova «agorà elettronica». In questo vedo una tendenza, già evidente nella crisi provocata da Wikileaks, dalla quale emerge chiaramente un’esigenza di trasparenza che parte dal basso e si confronta con le gerarchie finanziare, di impresa e anche governative[3]. Wikileaks evidenzia una tendenza irreversibile della cultura dell’elettricità, iniziata con il matrimonio fra linguaggio ed elettricità attraverso le linee del telegrafo. Questo lo vedeva già McLuhan nel 1966:
oggi il mondo istantaneo, con media d’informazione elettrica, coinvolge tutti nello stesso istante. Il nostro è un nuovo mondo dedicato al momento presente. Il tempo in un certo senso si è fermato e lo spazio è svanito. Come i primitivi noi viviamo nel nostro villaggio globale, pieno di eventi simultanei. Il villaggio globale non è creato dalle macchine a motore e nemmeno dagli aeroplani, ma dal movimento istantaneo dell’informazione elettrica. Il villaggio globale è allo stesso tempo grande quanto l’intero pianeta e piccolo quanto il paese dove ciascuno di noi è impegnato, maliziosamente, a mettere il naso negli affari altrui. Non vi si trova necessariamente armonia, ciascuno è sempre più preoccupato per ciò che succede al vicino che non a se stesso e alla propria vita[4].
L’incontro del linguaggio con l’elettricità è iniziato con il telegrafo e si è evoluto fino al suo stato presente di maturazione, che è Twitter. Non è più solo il mezzo attraverso il quale l’informazione passa: si è integrato con essa, tanto che oggi il medium è il messaggio. Nel reame del chiacchiericcio virtuale e multisensoriale il linguaggio si confonde con i sensi e penetra ogni cosa. Wikileaks fa emergere una tendenza transnazionale propria dell’opinione pubblica che, divenuta globale, si oppone all’opacità della concentrazione locale. La chiave di lettura del cambiamento si trova nella relazione fra trasparenza ed elettricità. L’elettricità è veramente in ogni dove, incluso il nostro corpo. Il nostro sistema nervoso centrale è gestito dall’elettricità, al livello delle sinapsi. Essa penetra, scansiona ogni cosa, abbatte le barriere fra le sue applicazioni (network) organiche e tecniche. Abbatte tutte le barriere, come McLuhan per primo ha predetto ancora una volta:
ora condividiamo troppe cose per rimanere estranei. Un esempio: nell’era dell’esplosione dell’informazione tutte le divisioni fra gruppi di età, di famiglie, nazioni diverse e anche mercati non esistono più. Le pareti cadono. Le persone devono improvvisamente affrontare questa nuova prossimità, questo nuovo modo di affrontare il mondo, e allo stesso tempo devono sapere che tutto quanto accade può non essere sempre favorevole. È determinante porsi questa domanda: cosa significa per me tutto quello che sta accadendo?[5].
Wikileaks ha rivelato l‘irreversibile tendenza alla trasparenza che caratterizza la cultura della rete. La rete, fonte sempre più determinante della definizione del nostro inconscio, è anche il luogo del venire alla luce. Quale che sia la prima fase di pubblicazione per determinate rivelazioni, esse viaggiano in rete verso la più ampia diffusione possibile. E, soprattutto, coinvolgono un’opinione pubblica crescente. Tradizionalmente ristretta alle questioni locali, l’opinione pubblica dei nostri giorni diviene globale, come hanno dimostrato Wikileaks e le rivoluzioni nei paesi arabi. Facebook è stata protagonista della prima rivoluzione di Tunisi e Twitter in quella egiziana. L’opera di Assange ha segnato un punto di non ritorno per le democrazie di tutto il mondo, benché secondo John Goldsmith:
Assange può illudersi di essere stato responsabile della primavera araba. Il fatto però che giornali di un certo rilievo quali il Guardian[6] possano diventare un mezzo al servizio di un uomo che pensa di usare i nuovi media per appiccare il fuoco di certo crea preoccupazioni, soprattutto alla luce degli avvenimenti che perlopiù sembrano aver portato una rivoluzione solo apparente[7].
Non potrà più esistere una diplomazia segreta e incontrollata? Se la risposta è affermativa, questo si deve a Internet. Secondo Michele Mezza, vice direttore Rai International:
i cosiddetti Position Paper sono documenti segreti o confidenziali a disposizione di comitati. Ogni ragazzo d’ufficio può accedervi e dunque divulgarli, non importa quanto segreti essi siano. I Pentagon Papers erano Position Papers, dunque potevano essere o non essere studiati o discussi da un qualche comitato del Congresso. Questo è un esempio di «news behind the news» (la notizia dietro la notizia): prima notizie del genere erano considerate provocazioni e distorsioni. Adesso sono la dimensione normale del giornalismo, quella che nutre la stampa underground e che a sua volta arriva al pubblico dei mezzi tradizionali[8].
Ciò è utile perché il pianeta deve sviluppare una qualche forma di attenzione più vigile, più mobile, che porti a non accettare racconti costruiti sulla convenienza di qualcuno. Per formare gli anticorpi servirebbe un antibiotico-bomba, ma anche queste dosi omeopatiche possono andar bene. Dalla pubblicazione dei dispacci segreti su Wikileaks alla rivolta in Tunisia c’è un passaggio non di strategie, ma di sentimento inconscio. Quello di Wikileaks è stato un momento nel quale ci siamo risvegliati e abbiamo rigettato l’ipocrisia dei governi. Ipocrisia e anche un po’ di malcelata doppiezza sono a volte necessari alla diplomazia, ma a tutto c’è un limite. Il movimento degli Indignados è un’altra espressione di rivolta, di richiesta e di incitamento all’assunzione di responsabilità nei confronti del potere. I nuovi media non hanno certo creato questo sentimento, tuttavia l’hanno reso visibile a livello locale e globale. Il ragazzo egiziano che vede la ribellione del ragazzo tunisino si sente chiamato in causa indipendentemente dalla distanza geografica. Lo stesso per tutti gli altri. Come diceva McLuhan, i linguaggi elettronici hanno
«fatto del mondo intero l’estensione della nostra pelle».
Perché ha vinto Wikileaks?
Lo spiega Zeynep Tufekci:
Prima, le persone potevano sempre comunicare l’una con l’altra con un limite: mai più di una a una, o comunque poche ogni volta. Adesso i social media non solo permettono di comunicare, ma permettono di farlo con più persone velocemente. Questo è un cambiamento qualitativo [.]. Con Facebook/Blog/Twitter, la gente ha superato barriere e tabù in Egitto, Tunisia, e altrove. Nuovi discorsi sono arrivati ad essere discorsi pubblici. Tutto questo è differente rispetto all’essere controcorrente da soli, ciascuno un’unica voce fuori dal coro[9].
Tufekci continua chiedendosi: «cosa cambia con i Social Media?» Si risponde:
ci sono effetti a livello di network (cambiano le forme e le strutture dei network, la velocità di trasmissione) e gli effetti di campo o «field» (riforma e ricreazione della sfera pubblica). Gli effetti di network in campi – cascate d’informazione – fanno emergere preferenze – religiose o politiche – generalmente nascoste. Si tratta di un cambiamento profondo nella sfera pubblica[10].
Secondo Felix Stalder[11] sono cinque i trend di base sui quali è possibile far convergere le valutazioni:
1. Velocità, ubiquità (basso costo, cloud computing) e mobilità delle comunicazioni; leaking pervasivo e continuo (hacker, plants, spie); fluidità generale dell’informazione; difficoltà nel mantenere segreti e possibilità di trasmetterli alle persone pertinenti. Dice Stalder:
Siccome l’informazione è riservata, deve circolare in stretti limiti che non possono essere sempre ben definiti [.], e deve scorrere attraverso molte mani. Questo crea le precondizioni tecnico-organizzative per il trapelare massiccio d’informazioni sensibili [12].
2. Crisi morale e strutturale delle istituzioni: dalle fantomatiche «Weapons of Mass Destruction» passando per la rivolta dei paesi arabi, fino ad arrivare alle rivelazioni di Ruby, non si può più credere all’onestà dei governi (e per quanto tempo ancora non è dato sapere). Si scatenano guerre in stile basso impero romano: non si crede all’ideologia. Due tendenze contradittorie: più libertà alla periferia; più controlli al centro. Diceva Assange in alcune interviste:
più segreta ed ingiusta è l’organizzazione, più le leaks (perdite) creano paura e paranoia nei leader e nei pianificatori. Questo deve condurre alla diminuzione dell’efficacia dei meccanismi di comunicazione interna [.] e di conseguenza a un declino cognitivo nell’intero sistema[13].
3. Nuovi poteri dell’individuo («the super-empowered individual»[14]). McLuhan spiegava già che «cinema e TV hanno un potere incontrollabile di far diventare le persone più normali possibili e selezionate nella maniera più casuale possibile entità strapotenti». Adesso è sempre più evidente la super-potenza di individui capaci di trasmettere informazioni istantaneamente a numeri sempre più elevati di persone. Basta pensare al caso Assange per capire che il vero potere sta cambiando di mano. Un uomo solo, non necessariamente cattivo senza essere un angelo, è capace legalmente e globalmente di mantenere in ostaggio lo stato più potente del mondo. Dall’altro lato esiste anche il potere della gente anonima, quella degli utenti di Twitter, un potere di risposta del cittadino, del consumatore, dell’individuo della strada a ciò che succede.
Wikileaks e Twitter condividono la stessa tendenza alla trasparenza. Hanno forme di distribuzione complementari: Wikileaks è un tipo di aggregatore e Twitter è propriamente la tecnologia della trasparenza diffusa. Twitter costituisce un esempio di risposta individuale al potere.
4. Trasformazione della sfera pubblica: la partecipazione della gente è rapidamente aumentata perché è più ampia, più veloce, più sostenuta, meglio protetta. Sono in corso cambiamenti nelle forme dei network; per esempio, oggi sappiamo che le donne del Cairo hanno partecipato attivamente dalle loro case all’organizzazione delle riunioni degli uomini in piazza Tahrir. Una rete nuova e inaspettata di collaborazione attraverso la rete. Il risultato è stato una ridistribuzione e un nuovo orientamento delle reti locali.
Intanto si è venuto a sapere che prima dell’ultima ribellione che ha avuto successo, altre sono state soffocate, non solo con una brutalità estrema, ma anche attraverso il controllo completo sui media e sulle notizie. Di nuovo, Tufekci ricorda attraverso l’esempio della Tunisia che c’erano stati altri grandi tentativi di resistenza all’ingiustizia del potere, la prima volta a Gafsa nel 2008 – la città mineraria che ha protestato contro assunzioni manovrate dalla corruzione. I rivoltosi furono isolati: allora c’erano solamente 28.000 utenti Facebook nel paese. Il secondo tentativo, quello di Sidi Bouzid nel 2010, ha visto l’auto-immolazione di Mohamed Bouazizi. A questo punto la protesta è andata avanti viralmente e ha coinvolto almeno 2 milioni di utenti di Facebook.
La rete, è noto, raccoglie ed amplifica consensi e dissapori, in un vortice i cui effetti naturalmente non restano confinati nelle pagine del web. I precedenti di questo fenomeno sono abbastanza numerosi:
1994: Chiapas (il ruolo del Subcomandante Marcos su Internet)
1998: Andrah Pradesh (la scommessa del governatore di controllare la distribuzione e la verifica delle spese pubbliche attraverso una rete amministrativa)
2001: Filippine (la caduta di Estrada, dovuta all’uso di SMS gratuiti)
2009: Iran (la protesta degli utenti di Twitter)[15].
È possibile comprendere in questo modo anche l’uso di Twitter durante le elezioni in Iran. L’opinione pubblica espressa dai social media dimostra, inoltre, di non essere più locale ma globale: per adattarsi a questo livello occorre un grado in più di maturazione della rete. Con Wikileaks si arriva esattamente a questo livello, perché si arriva a sapere tutto su tutto. Detto questo, l’aumento della partecipazione della gente in strada, come osserva Tufekci, aiuta fortemente i movimenti grassroots (con base popolare) come la Primavera Araba o gli Indignados. Si noti che l’effetto emozionale, quello dell’auto-immolazione di Mohamed Bouazizi, o, in Egitto, quello del blog di Mahmoud Salem[16], ha rafforzato continuamente la partecipazione.
Quanto all’impatto globale dei nuovi modi di comunicare, un’indicazione è fornita dalla linea dell’osservatorio sugli abusi internazionali delle Nazioni Unite che, a partire delle testimonianze di Facebook e altri social network, ha fatto una dichiarazione dicendo che le cose che succedevano in Tunisia erano improponibili, e che era assolutamente necessario fare un’inchiesta e sapere precisamente che cosa fosse successo.
Finora l’effetto di Wikileaks è ancora più simbolico che effettivo, perché le cose che abbiamo imparato da Wikileaks sono banali: Assange ha fatto eliminare dai documenti pubblicati informazioni troppo precise per evitare di divulgare notizie troppo pericolose per le persone. L’apporto simbolico di Wikileaks è di far capire immediatamente di cosa si tratta, benché non si tratti per niente di uno strumento «wiki», come ha precisato Jimmy Wales, il fondatore-ideatore di Wikipedia. Wales ha denunciato Wikileaks perché l’organizzazione si è attribuita scorrettamente il nome «wiki», non permettendo affatto la partecipazione dell’utente:
Wales ha anche espresso irritazione a proposito dell’utilizzo da parte del sito del termine «wiki», che si riferisce a un sito che permette a differenti utenti di collaborare e portare il proprio contributo. «Voglio prendere le distanze da WikiLeaks, vorrei che non usassero questo nome, in quanto non sono un “wiki”. Inizialmente una via facile attraverso la quale sono diventati famosi è stata l’uso della parola “wiki“, che è stato infelice, secondo me», ha detto durante una conferenza a Kuala Lumpur[17].
Questo dibattito dà valore alla metafora, perché usare la parola «wiki» portava alla mente il sito più venerato al mondo, Wikipedia. Intanto, la vera importanza di Wikileaks è consistita nell’aver portato l’attenzione globale su un fenomeno in corso che si può connettere con altri fenomeni in generale evoluzione.
La domanda è: fino a che punto il potere può controllare Wikileaks o Twitter? Fra le conseguenze possibili di Wikileaks, c’è il pericolo che tutti i poteri siano tentati di esercitare una repressione più forte, sul genere della proposta del decreto Alfano: punire penalmente i provider che trasmettono contenuti «illegali» in Italia[18]. A questo punto viene da chiedersi: se è possibile fare una cosa del genere, cosa verrà dopo? A livello tecnico si può controllare la Rete e a livello giuridico controllare la gente. La cosa stupenda della controllabilità della Rete è che è vero tutto e il suo contrario.
La tracciabilità inizia dal cellulare. Un’architettura tecnica segue i vostri spostamenti geografici in un paese, con tutti i dettagli pertinenti: una tecnica di controllo potenzialmente assoluto. Quanto al secondo caso, il controllo legale vi rende realmente perseguitati. Il pericolo esiste ma è relativo allo stadio di maturazione globale: ogni volta che abbiamo cambiato medium di base, è successo uno stravolgimento epocale e un cambiamento nei paradigmi di vita. Dall’uso del corpo al testo scritto all’elettricità, ogni volta la società ha dovuto subire una lotta di transizione, caratterizzata da sistemi che opponevano resistenza e rappresentavano esattamente la mentalità del passato, non in grado di comprendere la realtà in corso. La vera tragedia è vivere in una società caratterizzata da due modi di pensare la realtà che non possono letteralmente adeguarsil’uno all’altro. È successo con l’alfabeto greco, con la stampa, con la radio, con la televisione e adesso con Internet: è una variazione sul tema. La differenza oggi porta verso una volontà di maturazione, un trend di maturazione percepibile nello sviluppo di Internet.
Negare l’evidenza, provare a controllare l’informazione, questa è una strategia del passato: quella del futuro è Wikileaks. Siamo arrivati al momento della metamorfosi dal quantitativo al qualitativo; quando Wikileaks ha cominciato ad arrivare al pubblico all’inizio del 2010, tutto questo non era ancora accaduto. Una delle 12 tesi su Wikileaks di Patrice Riemans e Geert Lovink propone:
mentre ci si può rivolgere a Wikileaks come ad un progetto (politico) e sottoporla a critica per il proprio modus operandi, la si può anche vedere come la fase pilota di un’evoluzione verso una cultura assai più generalizzata di rivelazione anarchica, oltre la tradizionale politica dell’openness e della trasparenza[19].
Conclude Esther Dyson nel suo intervento on line:
alla lunga WikiLeaks ha importanza per due ragioni. La prima è che abbiamo bisogno di una più equilibrata distribuzione di potere fra la gente ed il potere. L’informazione – e specificamente il potere che ha Internet di diffonderla – [aggiungerei insieme all’istruzione, cioè alla capacità di comprendere le informazioni, ndr.] è la nostra miglior difesa contro i comportamenti negativi privi di controllo. Secondo, noi desideriamo davvero poter credere e fidarci dei nostri governi ed istituzioni. Il punto della chiarezza [openness] è indurre coloro che detengono il potere a comportarsi meglio – e permetterci di fidarci più di loro. Piuttosto che vederli come nemici, dovremmo sapere cosa stanno facendo, e forse avere più voce in capitolo riguardo a quello che fanno[20].
[2] M. MCLUHAN, An Interview: McLuhan on Russia, in “The McLuhan DEW-Line Newsletter”, 2 (1970), 6, p. 3.
[3] Nel periodo successivo all’esplosione di Wikileaks e al ruolo del cosiddetto «Quinto Stato di Internet» (http://www.oii.ox.ac.uk/research/projects/?id=57) nella Primavera Araba, è chiaro che questo «network di network» è diventato sempre più centrale in relazione agli sviluppi globali.
[4] M. MCLUHAN et al., McLuhan on McLuhanism, dibattito per il WNDT Educational Broadcasting Network, Newark (NJ) 1966.
[5] Ibidem.
[6] Assange sostiene che il “Guardian” abbia violato questo accordo quando «il redattore capo delle inchieste investigative, David Leigh, ha rivelato, sconsideratamente e senza chiedere la nostra approvazione [.] la decodifica delle password in un libro pubblicato dal “Guardian”» (Cfr. P. NOBLES, The Guardian and Wikileaks: is this the future of journalism?, in “Econsultancy”, 2 settembre 2011,http://econsultancy.com/uk/blog/7956-the-guardian-and-wikileaks-is-this-the-future-of-journalism). Secondo Wikileaks, «rivoluzioni e riforme corrono il rischio di andare perdute nel momento in cui cablogrammi non pubblicati arrivano ai contractors dell’intelligence e ai governi prima che alla sfera pubblica». Patricio Nobles commenta che «a parte l’ironia del fatto che un uomo che fa trapelare materiale riservato che qualcuno ha apertamente infranto la legge nel far trapelare cerchi di controllare mediante un accordo legale il rilascio di quelle informazioni, lo spirito di questo accordo, che Rusbridger certamente aveva capito, in apparenza dava ad Assange una sorta di controllo editoriale sul “Guardian”».
[7] J. GOLDSMITH, Seven Thoughts on Wikileaks, in “Lawfare”, 10 dicembre 2010,http://www.lawfareblog.com/2010/12/seven-thoughts-on-wikileaks/
[8] M. MEZZA, Sono le news, bellezza. Vincitori e vinti nella guerra della velocità digitale, Donzelli, Roma 2011.
[9] Z. TUFEKCI, Internet and social change: Social Media and Collective Action Under Autocracies, conferenza del’IDRC in collaborazione con Cairo University and UNDP alla Cairo University, 30 maggio 2011.
[10] Ibidem.
[11] F. STALDER, Contain this! Leaks, whistle-blowers and the networked news ecology, in “Eurozine”, 29 novembre 2010, http://www.eurozine.com/articles/2010-11-29-stalder-en.html.
[12] Ibidem.
[13] D. FRIEDMAN, Interesting Piece on Assange, in “Ideas”, 6 marzo 2011,http://daviddfriedman.blogspot.com/2011/03/interesting-piece-on-assange.html
[14] ZENPUNDIT, The Super Empowered Individual, in “Zenpundit”, 28 ottobre 2006,http://zenpundit.blogspot.com/2006/10/super-empowered-individual-man-is.html
[15] Cfr. Iran’s Twitter revolution, editoriale del “Washington Times”, 16 giugno 2009,http://www.washingtontimes.com/news/2009/jun/16/irans-twitter-revolution/
[16] Si tratta di “Rantings of a Sandmonkey”, http://www.sandmonkey.org/
[17] France Press, Wikipedia co-founder slams Wikileaks, in “The Row Story”, 28 settembre 2010,http://www.rawstory.com/rs/2010/09/28/wikipedia-cofounder-slams-wikileaks/
[18] Ho vissuto la censura personalmente in Corea e in Cina dove non avevo accesso a YouTube, nè accesso a Facebook. L’impossibilità di avere accesso a YouTube era un problema per me, perché facevo conferenze e volevo far vedere le cose di cui parlavo, ma non ne avevo la possibilità.
[19] P. RIEMANS – G. LOVINK, Dodici tesi su Wikileaks, in “IntoFreeFlow”, 9 dicembre 2010,http://infofreeflow.noblogs.org/post/2010/12/09/dodici-tesi-su-wikileaks-di-geert-lovink-e-patrice-riemens/
2. Non è chiaro se questa è una caratteristica permanente o un fenomeno temporaneo, indotto dal martellare della pubblicità. Wikileaks sembra credere nella prima possibilità, e ciò appare ogni giorno di più come la verità.
3. Wikileaks nella sua forma presente rimane un prodotto tipicamente occidentale e non può sostenere di rappresentare una conquista universale o globale.
4. Assange e i suoi collaboratori rifiutano di essere etichettati nei termini di «vecchie categorie» (giornalisti, hacker, etc.) e sostengono di rappresentare una nuova Gestalt nel palcoscenico del mondo dell’informazione.
5. Il giornalismo investigativo tradizionale consisteva in passato di tre fasi: portare alla luce fatti, sottoporli a controllo incrociato e inserirli nel contesto di un discorso comprensibile. Wikileaks svolge il primo compito, sostiene di svolgere il secondo, ma omette il terzo completamente.
6. Wikileaks è una tipica «SPO» («Single Person Organization», o «UPO»: «Unique Person Organization»). Le SPO sono riconoscibili, eccitanti, fonti d’ispirazione e facili da presentare nei media.
7. Ciò che alcuni vedono come «citizen journalism» («giornalismo fatto dai cittadini»), viene chiamato da altri «guerra dell’informazione».
8. Mentre l’estensione e l’astuzia del supporto tecnico di Wikileaks sono provati dalla sua stessa esistenza, la pretesa di Wikileaks di disporre di svariate centinaia di analisti volontari ed esperti non è verificabile e, francamente, scarsamente credibile. Questo è chiaramente il tallone d’Achille di Wikileaks, non soltanto dal punto di vista del rischio e/o della sostenibilità, ma anche dal punto di vista politico.
9. Wikileaks è riproducibile? Assisteremo al sorgere di sezioni nazionali o locali che mantengono lo stesso nome? Che regole del gioco osserveranno? Dovremmo piuttosto vederli come una concezione che viaggia da contesto a contesto e che, come un meme, si trasforma nel tempo e nello spazio?
10. Una critica come quella qui espressa non ha il fine di forzare Wikileaks dentro un format tradizionale; al contrario, singifica esplora se Wikileaks (e i suoi futuri cloni, associati, avatar e membri congeniali di una famiglia) dovrebbe presentarsi come un modello per nuove forme di organizzazione e collaborazione. Non possiamo sfuggire alla sfida della sperimentazione con i nuovi network post-rappresentazionali.
11. La parola «Wiki» nel suo senso letterale è veramente fuorviante, come Jimmy Wales di Wikipedia si è dato pena di sottolineare. Contrariamente alla filosofia di collaborazione di WIkipedia, Wikileaks è un laboratorio chiuso portato avanti con l’aiuto di un numero sconosciuto di volontari senza volto. A dispetto di tutti i suoi svantaggi, e contro tutte le previsione, Wikileaks ha reso un servizio notevole alla causa della trasparenza, della democrazia e della chiarezza.
[20] E. DYSON, WikiLeaks’ Flawed Answer To a Flawed World, in “The Vienna Review”, 5 febbraio 2011,http://www.viennareview.net/special-reports/wikileaks-flawed-answer-flawed-world-4556.html
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