Il Rasoio di Occam approfondisce la questione del diritto alle armi che negli Stati Uniti gode di tutela costituzionale. Il tema, da tempo al centro del dibattito politico e giuridico americano non si lascia infatti ridurre agli interessi economici che solleva e alle pressioni politiche corrisponenti, ma investe le radici ideali della cultura costituzionale americana, a partire dalle quali il diritto ad essere armati mostra di avere pressoché lo stesso rilievo di altri diritti fondamentali della persona.
Quando un uomo con la pistola incontra un uomo
col fucile, quello con la pistola è un uomo morto.
S. Leone, Per un pugno di dollari (1964)
Le stragi nei luoghi pubblici – scuole, università, residenze studentesche, cinema – rientrano tra i delitti che negli ultimi anni hanno scosso nel modo più intenso l’opinione collettiva degli Stati Uniti (ma i mass media ne hanno amplificato l’impatto su una scala molto più ampia), generando acuti sentimenti di sdegno ed esecrazione. Ogni crimine violento contro una o più persone è egualmente inaccettabile sul piano morale, ma questo tipo di eventi ha – persino se confrontati al terrorismo di matrice politica o religiosa, vulnus primario della memoria americana nell’epoca più recente – specifiche caratteristiche che enfatizzano le reazioni di repulsione e rabbia: il fatto che sovente le vittime siano adolescenti o bambini colpiti nelle scuole, luoghi-simbolo della prima socializzazione; inoltre, il fatto che essendo molto spesso tali aggressioni effetto di azioni solitarie da parte di individui giovani e incensurati, esse siano del tutto imprevedibili quanto alla tempistica, agli obiettivi, alle modalità di esecuzione ed ai possibili esiti. Una duplice angoscia si genera, dunque, considerando la dinamica di questi fatti sia dal versante delle vittime che da quello dei colpevoli.
Nell’ultimo quindicennio, periodo successivo alla strage nella Columbine high school verificatasi il 20 aprile del 1999 a Littleton (Colorado)[1], il dibattito pubblico sulla circolazione delle armi, sulla loro accessibilità e sull’assenza (o l’insufficienza) di controlli che garantiscono a questi articoli livelli di diffusione equivalenti a quelli dei più comuni beni di mercato è stato riacceso con frequente cadenza di fronte ai nuovi episodi che hanno riaperto le ferite appena cicatrizzatesi dei precedenti, sino al picco traumatico del 14 dicembre 2012, data dell’uccisione di venti bambini in una scuola elementare a Newtown (Connecticut)[2]. In quasi nessun caso, e nemmeno in quest’ultimo – rispetto al quale il governo aveva deciso di reagire varando restrizioni alla vendita di armi automatiche ad alto potenziale offensivo (le c.d. armi d’assalto)[3] – si è messo radicalmente in discussione il principio di fondo, ossia che pistole e fucili possano essere commercializzati come avviene per altri oggetti di consumo.
Ma contrariamente a una tesi riduzionista, sebbene suggestiva, tale idea non è – o non è solo – la conseguenza del forte potere di pressione della “lobby delle armi”[4], bensì trova il suo fondamento nel secondo emendamento della Carta dei diritti (Bill of rights), che dal 1791 accompagna la Costituzione degli Stati Uniti. Esso recita così:
Essendo una milizia ben organizzata necessaria alla sicurezza di uno Stato libero, il diritto dei cittadini di detenere e portare armi non potrà essere infranto.
Si tratta, allora, di capire che rapporto esista tra questa facoltà e altre che vengono elencate nel medesimo documento, quali il diritto di libertà di culto, di opinione, di riunione, di libertà e sicurezza del proprio domicilio, di subire un equo processo nel caso in cui si sia fatti oggetto di azione penale. Nel condurre questa ricostruzione può essere utile adottare un punto di vista che consideri storicamente tre profili: filosofico-politico, legislativo, giurisdizionale.
1) Il diritto dei cittadini di portare armi ha un antecedente storico nel Bill of rights inglese del 1689[5]. Dopo la deposizione di Giacomo II, il suo successore (e marito della figlia Maria II) Guglielmo D’Orange sottoscrive questa Carta costituzionale destinata a divenire uno dei pilastri del sistema di governo britannico. Essa sancisce la libertà di parola, la libertà di religione, il divieto per il re di mantenere un esercito stanziale in tempo di pace senza il consenso del Parlamento e, in generale, è caratterizzata dalla priorità dei diritti individuali rispetto al potere politico. Nell’elencare i passati abusi della monarchia contro cui la Carta avrebbe posto un argine, i Costituenti avevano fatto cenno anche alla disparità di condizioni tra “papisti” e protestanti nel possesso delle armi: riconosciuto ai primi, negato agli altri. Cosicché, tra le disposizioni del Bill of rights si legge che
“i sudditi protestanti possono tenere armi per la loro difesa, secondo le loro condizioni e in accordo a quanto consentito dalla legge” (articolo 7).
Nel coevo Secondo trattato sul governo di John Locke, il capitolo XVIII è dedicato alla “Tirannide”, ossia l’esercizio del potere oltre il diritto. In esso viene sviluppato un ragionamento sulla facoltà di resistenza che ha due capisaldi: nessuno è al di sopra della legge e pertanto l’abuso di autorità è illegittimo sia che provenga dal re che da un piccolo funzionario,
“anzi è tanto più grave nel caso del primo perché maggiore è la fiducia a lui conferita”[6];
inoltre, se in condizioni normali nessuno può opporsi all’autorità, è possibile farlo contro “la forza iniqua e illegittima”[7] [argomento già presente in Giovanni di Salisbury e Tommaso d’Aquino, NDR]
Si è osservato che la versione americana del Bill of rights del 1791 fa, a differenza di quella inglese, riferimento a una “milizia” e che, quindi, si tratti di due regole più eterogenee di quanto il loro tenore letterale non lascerebbe a prima vista supporre.[8] Ma è incontestabile che la teoria dei diritti naturali che si sviluppa alla fine del Settecento nei dibattiti politici delle colonie americane sia una diretta filiazione di alcune delle principali idee del giusnaturalismo inglese, anche perché
“gli americani avevano più diritto della maggior parte degli altri popoli di parlare dello stato di natura come se fosse stato o potesse essere una situazione reale”[9].
Nella teoria politica della rivoluzione americana legge naturale e diritti naturali degli individui erano un binomio inscindibile. Questi ultimi erano qualificati come: assoluti, eterni, essenziali, inalienabili e investivano le sfere primarie dell’esistenza al fine di garantire l’autoconservazione, la libertà, la proprietà, la resistenza contro la tirannide.[10] In particolare, Thomas Jefferson aveva sottolineato la necessità di proteggere la libertà dei cittadini contro l’oppressione delle truppe militari britanniche enfatizzando la tesi della “supremazia civile” per la quale solo una milizia composta da cittadini avrebbe scongiurato i rischi derivanti dall’esistenza di un esercito professionale[11]. Un risultato di queste elaborazioni è la Dichiarazione dei diritti della Virginia, stesa da George Mason e adottata il 12 giugno 1776.
Essa, al punto 13, stabilisce:
Che una milizia ben organizzata, composta dal popolo addestrato all’esercizio delle armi, rappresenta la naturale e più idonea protezione di uno Stato libero; che devono essere evitati, quali pericolosi per la libertà, gli eserciti stanziali in tempo di pace: e che in ogni caso l’autorità militare deve essere rigorosamente subordinata al potere civile e ubbidire a quest’ultimo.[12]
Il secondo emendamento della Costituzione americana viene chiaramente da qui. Esso mescola, nei due periodi da cui è composto, la necessità di una milizia civile a difesa di una comunità libera e il diritto individuale di detenere armi già noto nella legislazione della madrepatria inglese. Secondo alcune interpretazioni, questi due profili sarebbero del tutto equivalenti. Nessuno dei due dovrebbe prevalere sull’altro[13]. Secondo altre tesi, viceversa, sebbene esso non contenga un esplicito riferimento alla “difesa comune” come taluni degli estensori auspicavano, non si può trascurare che sia l’unico tra gli emendamenti a contenere un preambolo finalistico (“essendo necessaria…alla sicurezza di uno Stato libero”) e che l’espressione “ben regolata” riguardante la milizia renda assai problematico l’uso di tale disposizione contro la possibilità di esercitare un controllo sulle armi[14].
2) Nei due secoli successivi all’entrata in vigore della Costituzione e con intervalli scanditi dalla maggiore o minore recrudescenza dei crimini di sangue, numerose leggi federali sono intervenute a regolare la materia delle armi. Nel 1934, il National Firearms Act, di pochi anni successivo all’eclatante “massacro di san Valentino” (Chicago, 1929) che aveva colpito una banda rivale di Al Capone, introduce alcune restrizioni alla spedizione postale di armi, ne sottopone alcune a tasse speciali, per altre fissa un obbligo di registrazione. Nel 1968, il Gun control act, che ugualmente arriva in un decennio carico di violenze traumatiche per la nazione americana quali furono gli omicidi di John F. Kennedy (1963), di Malcolm X (1965), di Martin Luther King e di Robert Kennedy (1968), introduce alcune restrizioni al possesso di armi escludendolo per una serie di categorie: persone sotto processo o condannate per delitti puniti con la reclusione superiore a un anno, persone con problemi di salute mentale o già internate presso strutture psichiatriche, latitanti, persone congedate con disonore dalle Forze armate, persone cui era stato rifiutato un visto di ingresso nel Paese, persone che avevano volontariamente rinunciato alla cittadinanza americana. Ma negli anni ottanta, il vigoroso recupero dell’ideologia liberista e individualista conduce all’emanazione del Firearms Owners Protection Act (1986) che attenua taluni di questi vincoli e reintroduce, ad esempio, la vendita interstatale di armi o la spedizione di munizioni attraverso il servizio postale. Pochi anni dopo, il Brady Handgun Violence Prevention Act (1993) stabilisce che la vendita di armi a livello federale da parte di un commerciante autorizzato possa essere, salvo alcune eccezioni, preceduta da controlli sugli aspiranti acquirenti[15].
A tale ondivaga regolazione federale, fa riscontro una condizione molto diversificata della legislazione dei singoli Stati. A livello costituzionale vi sono quattro tipologie: Stati che non riconoscono alcun diritto inalienabile di possedere armi (solo quattro: California, Iowa, Maryland, New Jersey); Stati che collegano tale diritto costituzionale alla difesa comune; Stati (la parte largamente maggioritaria) che definiscono tale diritto come un insopprimibile diritto individuale; infine, lo Stato del Minnesota che non riconosce esplicitamente il diritto alle armi ma nella cui Costituzione esso può essere implicitamente ricavato da altre disposizioni[16]. Nella legislazione ordinaria degli Stati che riconoscono il diritto di possedere armi vi è poi un campionario di specifiche condizioni riguardanti l’acquisto (che può essere o meno sottoposto ad autorizzazione), la verifica di requisiti personali (l’essere incensurati, la buona salute mentale), la possibilità di detenere armi o portarle anche con sé e l’eventualità che presso particolari luoghi (aeroporti, scuole, tribunali, prigioni) non si possa in nessun caso circolare armati.[17] Ma se si guarda semplicemente al diritto di detenere e portare armi così come configurato dal secondo emendamento della Costituzione federale, occorre prendere atto che persino sul suo contenuto gli esiti dell’attività ermeneutica della Corte Suprema sono stati nel tempo sensibilmente differenti.
3) Prima del National Firearms Act la Corte era intervenuta solo in due casi sul secondo emendamento: nel 1876 (U.S. vs Cruikshank) e nel 1886 (Presser vs Illinois). Una volta che, con il N. F. A., si comincia a legiferare sui limiti di tale diritto si determina, in modo più stringente, la necessità di stabilire se e come questi limiti intacchino una prerogativa di rango costituzionale. Nel 1939, nel caso U. S. vs Miller riguardante il trasporto di un’arma non registrata dall’Oklahoma all’Arkansas da parte di due delinquenti di piccolo taglio, la Corte Suprema stabilisce che nessun diritto individuale era stato violato con l’imporre regole sulla trasportabilità delle armi giacché chiaramente il secondo emendamento difende la possibilità di costituire milizie civili e va applicato tenendo a mente solo quello scopo.[18] Tutt’altra vicenda quella del caso District of Columbia vs Heller su cui la Corte si pronuncia nel 2008.
Nel 1976, nel Distretto di Columbia, era stata introdotta una legge molto severa in materia di armi. Essa imponeva che il possesso di pistole e fucili fosse subordinato a registrazione e prevedeva regole di custodia in casa molto dettagliate. Tale normativa fu impugnata da Dick Heller che reclamava il diritto di registrare una pistola che avrebbe portato con sé per difesa personale. In questo caso la Corte suprema, introducendo una sottile distinzione tra la prima e la seconda parte del secondo emendamento (definite: “clausola introduttiva” e “clausola operativa”) stabilì che, per quanto non si potesse dissociare dal contenuto della disposizione l’intento dei padri costituenti di creare le condizioni per organizzare una milizia civile e sebbene nessun diritto individuale possa essere inteso come illimitato, di certo il secondo emendamento è posto a difesa di un diritto individuale e, come tale, esso non può essere limitato da nessuna regolazione oltre una certa soglia se non violando la Costituzione medesima. Le stesse valutazioni sostengono una decisione successiva della Corte suprema nel caso McDonald vs City of Chicago, Illinois. In questa controversia, oltre a censurare una legge municipale che aveva escluso quasi tutti i privati cittadini dal possesso di pistole, la Corte precisa che il secondo emendamento va ritenuto come posto a tutela di un diritto individuale spettante indistintamente a tutti i cittadini degli Stati Uniti[19].
Le strategie argomentative utilizzate nel caso “Heller” sono state fatte oggetto di numerose critiche. Un autorevole docente ha affermato che la derubricazione della prima parte del secondo emendamento a semplice dichiarazione di intenti e l’affermare che non esiste tra parte “introduttiva” e parte “operativa” alcun vincolo sintattico con la conseguenza che esse possono essere lette separatamente,
“fa violenza non solo a coloro che lo scrissero, ma anche al pubblico che lo ha letto, gli ha conferito significato e l’ha ratificato”[20].
Le sentenze della Corte suprema possono essere contraddette da altre sentenze di tenore differente e, d’altronde, anche le ultime lasciano spazio al criterio della limitabilità, entro una certa estensione, al diritto di possedere armi. È ragionevole supporre che il dibattito su quest’argomento continuerà a lungo.
NOTE
[1] Un evento che ha costituito un punto di svolta nel sistema di rappresentazione di questa tipologia di delitti divenendo oggetto, oltre che di numerose ricostruzioni giornalistiche, di quattro diversi lungometraggi: Duck.The carbine high massacre (W. Hellfire e J.Smack, 2000), Bowling for Columbine (M. Moore, 2002; premio Oscar come miglior documentario e premio César nel 2003), Zero day (B. Coccio, 2003), Elephant (G. Van Sant, 2003; Palma d’oro e premio alla migliore regia a Cannes nel 2003) nonché di due saggi monografici: Fixing Columbine. The challenge to american liberalism (D. Lambert Coleman, 2002) e Columbine (D. Cullen, 2009).
[2] Un resoconto degli ultimi venti anni di stragi nelle scuole e nelle università degli Stati Uniti è proposto da F. Seneghini, Da Columbine alla strage degli Amish. La lunga scia di sangue nelle scuole americane, in “Corriere della Sera”, 15 dicembre 2012, p. 18.
[3] Iniziativa che nello spazio di due mesi, da gennaio a marzo 2013, si arena sulle spaccature del Partito democratico e sulla resistenza ai cambiamenti della componente dei suoi senatori eletti negli stati del sud. Cfr.http://www.repubblica.it/esteri/2013/03/20/news/armi_affonda_la_riforma_obama_no_allo_stop_dei_fucili_da_guerra-54946015/
[4] O di una delle sue più eminenti espressioni, la N. R. A (National Rifle Association).
[5] Punto terminale di un secolo attraversato da sanguinosi conflitti civili. Cfr. L. Stone, Le cause della rivoluzione inglese, Torino, Einaudi, 2001; G. Carocci, La rivoluzione inglese: 1640-1660, Roma, Editori Riuniti, 1998.
[6] J. Locke, Il secondo trattato sul governo. Saggio concernente la vera origine, l’estensione e il fine del governo civile, trad. it. di A. Gialluca, Milano, Rizzoli, 20012, p. 339.
[7] Ivi, p. 341. Esiste, beninteso, una tradizione teorica sul “diritto di resistenza” anche prima della riflessione di Locke. Per approfondimenti si vedano: G. Cassandro, Resistenza (diritto di), in “Novissimo Digesto Italiano”, volume XV, Torino, Utet, 1968, pp.590-613; Le droit de résistance.XIIe-XXe siècle, textes réunis par J.C. Zancarini, Paris, ENS editions, 1999; A. Buratti, Dal diritto di resistenza al metodo democratico: per una genealogia del principio di opposizione nello stato costituzionale, Milano, Giuffrè, 2006.
[8] Cfr. D. B. Kopel, It isn’t about duck hunting: the british origins of the right to arms, in “Michigan Law Review” 93 (1995), p. 1349.
[9] C. Rossiter, L’alba della Repubblica. Le origini della tradizione americana di libertà politica, trad. it di C. Scelba, Pisa, Nistri-Lischi, 1963, p. 499.
[10] Ivi, pp. 514-517.
[11] Ivi, pp. 529-530.
[12] Ivi, pp. 546-547.
[13] Cfr. R. Shalhope, The ideological origins of the second amendment, in “The journal of american history”, 69 (1982), p. 610. Per approfondimenti sull’argomento “sovranità politica – diritti naturali” nel costituzionalismo americano si vedano: B. Schwartz, The great rights of mankind. A history of the american Bill of Rights, New York, Oxford University Press, 1977; G. S. Wood, I figli della libertà. Alle origini della democrazia americana, trad. it. di D. Panzieri, Firenze, Giunti, 1996; M. Fioravanti, Costituzionalismo. Percorsi della storia e tendenze attuali, Roma – Bari, Laterza, 2009.
[14] Cfr. L. H. Tribe, American constitutional law, Mineola – New York, The Foundation Press Inc., 19882, p. 299, n. 6.
[15] Cfr. R. Spitzer, The right to bear arms: rights and liberties under the law, Santa Barbara, ABC – CLIO, 2001; A. Winkler, Gunfight: the battle over the right to bear arms in America, New York, W. W. Norton & C., 2011.
[16] Cfr. R. A. Creamer, History is not enough: using contemporary justifications for the right to keep and bear arms in interpreting the second amendment, in “Boston College Law Review”, XLV (2004), pp. 919-925.
[17] Cfr. R. Golden, Loaded questions: a suggested constituional framework for the right to keep and bear arms, in “Minnesota Law Review”, 96 (2012), pp. 2185-2187.
[18] Cfr., L. Epstein, T. G. Walker, Constituional law for a changing America: rights, liberties and justice, Washington D. C., CQ Press, 20128, pp. 388-389.
[19] Ivi, pp. 390-396.
[20] D. T. Konig, Why the second amendment has a preamble: original public meaning and the political culture of written constitutions in revolutionary America, in “UCLA Law Review”, 1233 (2009), p. 1297.
Ernesto De Cristofaro (1972), ricercatore di Storia del diritto medievale e moderno presso il Dipartimento “Seminario Giuridico” dell’Università di Catania, pubblicato i saggi: Sovranità in frammenti. La semantica del potere in Michel Foucault e Niklas Luhmann (Ombre Corte 2007), Codice della persecuzione. I giuristi e il razzismo nei regimi nazista e fascista (Giappichelli 2008), Il senso storico della verità. Un percorso attraverso Foucault (Il Melangolo, 2008). Con Carlo Saletti, ha curato Precursori dello sterminio. Binding e Hoche all’origine dell’“eutanasia” dei malati di mente in Germania (Ombre Corte, 2012).
Commenti recenti