Una bella ricognizione sull’incremento universale del controllo biopolitico, dalle post-democrazie europeee alla pre-teocrazia turca. Al piano sanitario e mediatico osservato da Dubosc si potrebbe aggiungere, sul versante scolastico, la raccolta dati allegata ai quiz INVALSI e la documentazione che i consigli di classe si apprestano a produrre per i cosiddetti studenti BES (Bisogni Educativi Speciali).
Una giovane coppia turca mi ha raccontato le strategie biopolitiche del governo di Erdogan, volte a favorire una maggiore compliance all’ethos maggioritario: i servizi sanitari (come altrove) dedicano una parte di tempo crescente alla raccolta e informatizzazione dei dati: il risultato è che le famiglie delle donne maggiorenni che restano incinte al di fuori del matrimonio ricevono una lettera ‘informativa’ che attiva dinamiche familiari facilmente intuibili.
Il mio medico di base si lamenta che la mole di procedure burocratiche al pc è aumentata molto anche da noi. In un bel numero di aut-aut dedicato alla diagnosi psichiatrica, Luciana Degano Kieser e Giovanna Gallo descrivono i nuovi usi della diagnosi nella ‘postdemocrazia’ tedesca. In Germania si calcola che il numero dei medici impiegati nel controlling è di circa il 20 per cento. Il 12 per cento dei giovani laureati in medicina non cura pazienti ma è impiegato in attività valutative e di controllo delle procedure.
Il controlling ha diverse sfaccettature distribuite tra industrie farmaceutiche, assicurazioni e nuove istituzioni miste che si occupano di allocazione risorse, definizione dei ‘pacchetti-cura’ o controllo delle competenze e dei ruoli degli ‘erogatori di prestazioni’. I burocrati della medicina devono garantire la ‘razionalità’ dei processi che vengono affidati – come la diagnosi – non solo ai computer ma alle strategie delle case farmaceutiche. Basti dire che nella Bassa Sassonia parte dell’assistenza psichiatrica extra-ospedaliera (un business che include fino a 13.000 persone con diagnosi di schizofrenia) è stato appaltato a una società interamente controllata dall’industria farmaceutica Jansenn-cilag del gruppo Usa Johnson & Johnson. Il progetto è legittimato dal controllo ‘scientifico’ di un partner tecnico che è pure affiliato alla stessa Jansenn .
D’altro canto l’imminente uscita del manuale diagnostico DSM5 suscita molti interrogativi sugli interessi delle case farmaceutiche nel proliferare delle categorie diagnostiche volte a problematizzare la fenomenologia della vita nel suo insieme e che potrebbe trovare nel ‘rimedio’ farmacologico il paradigma per una sorta di imperturbabile benessere, una sorta di impercettibile ‘abaissement du niveau mental’ in cui tutto va bene e a cui non si debba pagare un pegno di sofferenza come nell’alcolismo o in altre forma di dipendenza ‘patologica’. Ma naturalmente nel DSM ci sono pur sempre le malattie psichiche gravi. E’ noto che per la psichiatria ortodossa se uno schizofrenico guarisce è perché la diagnosi era sbagliata. Gli errori di prognosi sono sempre ricondotti a errori di diagnosi… e la diagnosi può fare molto comodo. Ma il discorso è ampio e aut-aut ha il merito di discuterlo da molti vertici di osservazione.
Accompagno mia figlia ai giardinetti. Spesso mi capita di rilevare come a partire da un piccolo spunto immaginativo si crei facilmente un clima che favorisce il gioco di gruppo – Mi metto sotto lo scivolo e faccio finta di venderle un gelato… dopo poco cinque o sei bambini dai 5 ai 9 anni accorrono a comprare anche loro gelati… Qualcuno si fa prendere gioiosamente la mano e comincia a rubarli, i miei gelati immaginari. Una bambina dallo sguardo severo di 5, 6 anni che nel gioco decide di fare la poliziotta allora mi fa “ma non hai installato delle telecamere di sorveglianza?”.
Come fanno bambini così piccoli a interiorizzare il panopticon? Certo, si dirà, dai genitori, ma ci vorrebbe una analisi puntuale dei dispositivi di normalizzazione precoce che sospendono il tempo non nella meraviglia del presente animato ma nella rassegnazione ai doppi messaggi socio-culturali.
Un cartone animato di grande successo è Peppa Pig. (operazione commerciale di tale successo che a Milano è stata organizzata una manifestazione fieristica di tre giorni interamente dedicata al merchandising)
Peppa Pig è un cartoon inglese, apparentemente molto semplice, il cui principale fascino per i bambini sembra essere l’intercalare di grugnitini maialeschi nella conversazione di mamma, papà, parenti e figli maialini. L’altro aspetto affascinante è il tentativo di dar conto dei comportamenti paradossali degli adulti. Questo è senz’altro l’aspetto che poteva essere più interessante ma che si risolve in una rilettura di ciò che è il politically correct materno in una logica di adattamento al conformismo piccolo borghese britannico, fatto di ironia, disincanto e divertimento controllato. Il padre è il rappresentante dell’es che non riesce mai ad aderire se non a piccoli desideri stupidamente pulsionali mentre la madre rappresenta la normalizzazione (e normatizzazione) di un buon senso adattivo, collettivo, sdrammatizzante e quanto mai noioso.
Un esempio: la famiglia va in campeggio: il padre accende la televisione e dice guardiamoci un programma tv sugli uccelli, e poi scaccia un uccellino che si era posato sulla tele. La mamma allora interviene censurandolo, «ma dài, siamo nella natura, non guardare la tv…» La soluzione proposta dalla madre è: «andiamo in un bel parco di divertimenti a tema ..». Insomma ecco il politically correct che sostituisce la tv ma che è sostanzialmente un altro ersatz dell’esperienza immaginativa diretta, il tutto mediato comunque da un dispositivo mediatico che pretende di fare una critica al dispositivo mediatico, proponendosi come dispositivo mediatico educativo e corretto, ma divertente e falsamente trasgressivo… Può darsi che il cartone a volte serva a raccontare un po’ il mondo bizzarro dei grandi e forse sono un po’ prevenuto ma verrebbe voglia di analizzare seriamente questi programmi per l’infanzia che a me paiono il grado zero della sterilizzazione di ogni attività immaginativa. Molto meglio i cartoni di Miyazaki!
Qualche anno dopo, la mancanza di riti di passaggio che medino con i daimon dell’anima mundi (con ‘la struttura che connette’ diceva Bateson) fa sì che i giovani devono costruire individualmente le proprie pseudo-iniziazioni e appartenenze gruppali che sovente esprimono un desiderio privo di orizzonte che scade nella violenza sterile o nella retorica frustrata senza progettualità come sa bene proprio l’Inghilterra dei cari Peppa Pigs. E forse il disincanto proposto come benevolo controllo viene proposto anche così, nella assenza di ogni «connessione formale con la vita immaginativa dell’anima» come ci racconta Patrick Harpur riprendendo molti dei temi cari a Hillman.
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