Il relativismo etico è attualmente una concezione della morale molto discussa negli ambiti politici e filosofici, ed in ambito religioso essa è addirittura definita come una ideologia del male. Scopo di questo elaborato, è ricercare ed indagare le concettualizzazzioni gnoseologiche dietro al fenomeno “relativismo”, per mostrarne punti di luce e punti d’ombra ad esso inerente, onde evitare che in ambiti extra filosofici e non venga troppo travisato. I limiti di una ricerca filosofica sul fenomeno “relativismo” debbono essere subito posti: il relativismo è un tema trattato sin dagli albori della filosofia greca, ed ha percorso insieme all’uomo tutte le fasi della sua crescita intellettuale. Ma trattare tutte queste parti, e sussumerle in un unicum che debba anche essere sintetico risulterebbe una ricerca superficiale e improponibile. Perciò, l’autore dell’elaborato si concentrerà su un filosofo che anch’egli si è occupato del fenomeno “relativismo”: F .W .Nietzsche (1844-1900).
Che cos’è il relativismo etico in Nietzsche? Esso, può essere definito, storicamente come una situazione di pensiero, avvenuta dopo la morte di Dio e il crollo di tutte le verità metafisiche di cui lo stesso Nietzsche si fa portavoce, capendo l’importanza della relatività del pensiero e dell’essenzialità di essa. Nel relativismo, ciò comporta, un annullamento di tutte le verità conosciute dogmaticamente o meno, consacrate ad essere universali ed oggettive. Contro il positivismo, movimento filosofico e culturale che aveva posto lo studio dei fatti della scienza, Nietzsche obietta:
Contro il positivismo, che si ferma ai fenomeni: “ci sono soltanto i fatti”, direi: no, proprio i fatti non ci sono, bensì solo interpretazioni. Noi non possiamo constatare nessun fatto “in sé” [1].
Di conseguenza, il mondo, o l’idea che abbiamo di esso, deve necessariamente entrare in relazione con infinite prospettive diverse di per sé, tanto da svalutare il concetto dell’unico mondo possibile. Possiamo scorgere queste tracce di relativismo, già nel testo di Così parlò Zarathustra (1883-1885), nella fattispecie se si analizza il brano intitolato “Dei mille ed uno scopo”.
Zarathustra afferma di aver visto molti paesi e popoli che sono diversi fra essi, nei quali:
Molte cose che questo popolo approva, sono per un altro un’onta ed una vergogna: questo io ho trovato. Molte cose che qui erano chiamate cattive, le ho trovate là ammantate di porpora.[2]
Di conseguenza, notando questa essenziale differenza nelle culture, Zarathustra conferisce ai valori, il manifesto della volontà di potenza di un popolo.
Inoltre questa necessità di valori, posti dalla volontà di potenza, sono intrinseci alla nozione di umanità, secondo Nietzsche:
Per conservarsi l’uomo fu il primo a porre dei valori nelle cose- per primo egli creò un senso alle cose, un senso umano!(…) [3].
L’interpretazione, perciò sta alla base dei nostri fatti e dei nostri istinti, in quanto esseri umani; ma c’è di più, in quanto Nietzsche aveva criticato le cosiddette “verità” oggettive, in quanto in esse non c’è niente di vero, poiché noi non conosciamo la natura in se e per sé ossia non conosciamo il noumeno delle cose (per usare un linguaggio kantiano). Queste verità non sono che false illusioni, come ci spiega meglio, nello scritto Su Verità e Menzogna in senso extramorale.
[…] Se io formulo la definizione del mammifero, e in seguito vedendo un cammello, dichiaro: “ecco un mammifero” in tal caso viene portata alla luce senza dubbio una verità, ma quest’ultima ha un valore limitato, a mio avviso; è completamente antropomorfica e non contiene neppure un solo elemento che sia “vero in sé” reale ed universalmente valido, a prescindere dall’uomo […] [4].
Ed infine, si può concludere il discorso del filosofo tedesco con questo passo:
Che cos’è dunque la verità? E’(…) una somma di relazioni umane che sono state potenziate […] e che dopo un lungo uso sembrano a un popolo solide, canoniche e vincolanti: le verità sono illusioni di cui sé dimenticata la natura illusoria […] [5].
Si potrebbe interpretare Nietzsche come una sorta di liberatore e di fautore della piena relatività, ma forse, da un certo lato, può essere bene inteso come colui che fece capire all’individuo l’importanza delle proprie opinioni, tali da poter essere poste come nuove verità. L’opinione, o propria visione del mondo, deve essere costruita secondo la propria esperienza, e integrandosi con essa, sostituire la vecchia verità. Da un altro lato, il relativismo conduce però ad un congelamento del pensiero corrente, e conduce allo scetticismo, in quanto non si può mai giungere nemmeno ad una verità tantomeno convenzionale, ossia frutto di una convenzione fra uomini. In fondo, tutte le scienze nascono dalla convenzione fra individui di un certo rango intellettuale, i quali si sono accordati su simboli e nomi da assegnare ad un certo fenomeno che in seno al loro punto di vista hanno osservato, e grazie ad essa la nostra vita è migliorata e continua a migliorare. Inevitabilmente, il relativismo conduce ad una chiusura in sé stesso dell’individuo e porta all’incomunicabilità di popoli diversi e delle loro rispettive “volontà di potenza”. Questa è l’aporia indissolubile del relativismo, il quale, benché nel corso della storia della filosofia ha reso pieno potere alla ragione umana nella sua intrinseca spontaneità ed autodeterminazione, segna oggi, nel ventunesimo secolo, ancora un elemento di divisione e separazioni fra le diverse culture.
[1] F. W. NIETZSCHE, Frammenti Postumi, 1885-1887
[2] F. W. NIETZSCHE, Così parlò Zarathustra, Piccola Biblioteca Adelphi, 2003, pag 64.
[3] Ivi, pag 65
[4] F. W .NIETZSCHE, Su verità e menzogna in senso extra morale, in La Filosofia nell’epoca tragica dei greci e scritti 1870-1873, iccola Biblioteca Adelphi, 2003, pag 236.
[5] Ivi, pag 233.
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